SPIRITUALITÀ
Celibato: un clero libero per una Chiesa libera
dal Numero 32 del 5 settembre 2021
di Mons. Domenico Tang Yee-ming, SJ

Una conferenza attualissima sul valore del celibato sacerdotale, mentre la grande maggioranza del ricco e decadente episcopato tedesco si ribella alle chiare indicazioni di Roma in merito. È attualissima anche per capire come una Chiesa locale possa resistere di fronte all’attacco dei poteri mondani, cosa cui anche noi in Italia dovremo abituarci. Il succo è questo: il celibato è libertà e la libertà del clero rende libero il popolo fedele.

Premessa

La Chiesa Cattolica in Cina è stata ed è una fucina di martiri ed eroi della Fede che hanno perseverato nonostante secoli di persecuzioni, ultimamente quelle del regime comunista. Specie sotto la brutale dittatura di Mao Zedong decine di migliaia di cattolici furono assassinati e altrettanti finirono in carcere senza processo e per la sola ragione che volevano rimanere fedeli a Roma e non aderire alla chiesa scismatica fondata dal Partito Comunista Cinese con il nome di Associazione Patriottica. Fra questi eroi c’è stato mons. Domenico Tang Yee-ming, SJ (1908-1996), amministratore apostolico di Canton e poi vescovo in esilio della stessa diocesi. Il Prelato gesuita non volle mai staccarsi dal Papa e per questo fu imprigionato per ben 22 anni, di cui 7 in isolamento, senza un processo e sottoposto a continui interrogatori, umiliazioni, deprivazioni. Per tutto il lungo periodo di prigionia ebbe un solo vestito. Fu liberato nel 1980 perché aveva un tumore e anche grazie al cambio di fase in Cina dovuto alla morte di Mao. Poté così recarsi all’estero e di lì reggere in esilio la sua diocesi e girare il mondo per predicare il Vangelo. 

Nel 1993, in Vaticano, presso la Congregazione per il Clero, spiegò perché il celibato sacerdotale è essenziale per l’identità del sacerdote e che persino i burocrati rossi dovettero ammetterne la capacità di alimentare la resistenza dei fedeli, un vero pugno in faccia per l’ideologia marxista. 

Questa conferenza è attualissima mentre la grande maggioranza del ricco e decadente episcopato tedesco si ribella alle chiare indicazioni di Roma in merito. È attualissima anche per capire come una Chiesa locale possa resistere di fronte all’attacco dei poteri mondani, cosa cui anche noi in Italia dovremo abituarci. Il succo è questo: il celibato è libertà e la libertà del clero rende libero il popolo fedele.

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Avevo 14 anni quando dissi a mia madre che volevo diventare prete (1). Lei mi mandò a Macao a circa 40 miglia a ovest di Hong Kong (dove ero nato) per entrare nel seminario di San Giuseppe che si trovava lì. Sei anni dopo, ottenni il permesso del mio vescovo di entrare nella provincia portoghese della Compagnia di Gesù. Dopo gli studi abituali, fui ordinato a Shanghai nel 1941 e rimasi in quella città ad occuparmi dei cattolici di lingua cantonese fino al mio ritorno a Canton nel 1946 e fui assegnato a Shekki, una città a nord di Macao. Il 1° ottobre 1950, Pio XII mi nominò amministratore apostolico della diocesi di Canton.

Questi primi anni di ministero sacerdotale furono difficili, perché i comunisti erano già al potere e i fedeli cattolici erano sottoposti a forti pressioni. Il mio approccio fu pastorale e la mia prima cura fu quella di animare il clero che era stato scoraggiato dai cambiamenti rivoluzionari che stavano avvenendo allora in Cina [...]. Iniziai un programma di intensa attività pastorale con frequenti sermoni, ritiri e altre pratiche devozionali. Invitai il clero e le suore a partecipare a questo apostolato. Le relazioni con le autorità politiche si deteriorarono a causa del mio rifiuto di accettare l’Associazione Patriottica che esse avevano creato per separare la Chiesa cinese dalla Santa Sede. Io stesso fui sottoposto a sei denunce pubbliche e infine arrestato e portato in carcere il 5 febbraio 1958. Per i successivi 22 anni, fui tenuto lontano da tutti i familiari e dagli amici [non gli fu concessa alcuna visita in carcere, tanto che la famiglia lo credeva morto, n.d.r.]. Durante sette anni fui anche tenuto in isolamento dai miei compagni di detenzione. La preghiera e lo Spirito del Signore mi hanno sostenuto soprattutto in quelle ore buie in cui a volte mi sentivo distante da Lui.

È sulla base di questa esperienza che ho riflettuto sul tema che mi è stato presentato per un commento: “Il celibato – il cuore dell’identità e dell’impegno di un sacerdote”. Come vedo il celibato per il sacerdote? Lo vedo come una risposta a una chiamata del Signore, per darsi totalmente a Lui e alla cura del suo popolo. Un uomo sposato ha degli obblighi verso sua moglie e la sua famiglia. Questi sono di primaria importanza e non può sottrarvisi senza un grave danno per se stesso e per la sua famiglia. Questa è la sua responsabilità davanti al Signore. Perché il suo stile di vita – lo stato matrimoniale – è la sua risposta alla chiamata del Signore. Se un sacerdote si sposasse, questo impegno verso la famiglia avrebbe la precedenza sul suo ministero pastorale. Se le cose stanno così, chiedo: come può un sacerdote, che è chiamato a dedicarsi totalmente al suo popolo, sposarsi? Sarebbe immerso nel suo mondo, affannato e preoccupato per sua moglie e i suoi figli, e sarebbe seriamente combattuto tra due polarità: la sua famiglia e il popolo a cui presta servizio.

L’impegno di un sacerdote è una risposta a una chiamata del Signore. Il Signore stesso non si è sposato. Si è dato totalmente al suo popolo. È in questo modo che il sacerdote imita il Signore. Mi rendo conto che ci sono persone nella Chiesa di oggi che trovano questo tipo di impegno celibatario difficile, alcuni dicono addirittura impossibile. Forse dovremmo imparare una lezione dai comunisti cinesi. Durante la rivoluzione culturale in Cina, molti del clero furono costretti a sposarsi. Questo era un modo con cui i comunisti attaccavano la Chiesa e i suoi ministri. Non capivano il celibato, lo sminuivano e volevano eliminarlo. C’erano preti che si sposavano. Tuttavia, nel corso degli anni, i comunisti hanno visto che i cattolici non accettavano questi preti sposati come loro ministri. Si opponevano fortemente ad avere qualsiasi prete “cattolico” sposato come loro guida spirituale. Non credo che i fedeli esprimessero un giudizio personale su questi preti, ma piuttosto il fatto che vogliono preti celibi che possano dedicare tutta la loro vita al Signore e al suo popolo. Nessun altro impegno potrebbe conciliarsi. Sono stato testimone di molti casi di infedeltà al celibato nei miei lunghi anni di servizio pastorale. Non è per esprimere un giudizio sulle persone coinvolte, ma è triste dire che la maggior parte di queste non è rimasta fedele alla propria vita cristiana. Alcuni volevano ravvedersi ma erano ostacolati dalle loro “mogli” e non pochi, alla fine, hanno addirittura perso la fede. Cito due esempi di dominio pubblico in Cina. A Shanghai, un prete sposato voleva dire Messa in chiesa. I cattolici non glielo hanno permesso, allontanandolo dall’altare. A Kunming, un vescovo si è sposato e stava per celebrare una Messa pubblica. I cattolici locali si sono opposti pubblicamente e il vescovo non ha celebrato la Messa. Questa opposizione della comunità cattolica ha costretto le autorità comuniste a cambiare la loro politica. Ciò non è facile per loro. Hanno dovuto ammettere che solo i preti non sposati possono essere ordinati per servire queste comunità. Lo fanno non per ammirazione dello stato celibale in quanto tale, ma per preservare l’armonia nelle comunità.

Questa richiesta di sacerdoti celibi da parte delle comunità cattoliche cinesi si basa solo su un motivo tradizionale? Vale a dire, queste comunità desiderano avere sacerdoti celibi solo perché così è stato fatto in passato e quindi così dovrebbe continuare per il futuro? Io credo di no. Credo che le ragioni di queste comunità cattoliche che chiedono sacerdoti celibi vadano molto più in profondità della semplice tradizione [...]. Il celibato per il Regno di Dio ha un suo valore, come afferma il Signore stesso. San Paolo consiglia il celibato. Uno dei suoi valori è la libertà che dà alla persona. I celibi godono della loro libertà come un dono speciale con il quale possono dedicarsi completamente al Signore e alla sua opera. Questo distingue tali persone. Ciò non significa che queste persone siano migliori di altre che seguono una chiamata diversa del Signore. Significa, invece, che la persona celibe è consacrata, “messa a parte” per il servizio esclusivo alla comunità cristiana. Questo è – credo, e la mia esperienza me lo insegna – uno dei motivi principali per cui le nostre comunità cattoliche cinesi richiedono il celibato per le loro guide spirituali. Vogliono avere una persona consacrata e determinata a seguire completamente il Signore, che a sua volta possa portarli a conoscerlo, amarlo e seguirlo. Essi stessi si rendono conto di avere molti affanni e impegni quotidiani. A causa di queste preoccupazioni, possono non avere sempre una visione chiara delle vie del Signore. Hanno fiducia nelle loro guide spirituali che si sono consacrate completamente al Signore, per aiutarli a scoprire le Sue vie nelle loro vite.

Il celibato non è qualcosa di completamente estraneo alla nostra cultura cinese. Anche i monaci e le monache buddisti non si sposano. Essi cercano la liberazione dal desiderio, un distacco dai piaceri mondani che possono impedire loro di raggiungere il “nirvana” e anche i fedeli buddisti sono contrari a che i loro monaci si sposino [...]. Noto ciò non perché io voglia assimilare la scelta buddista del celibato con la professione cristiana del celibato intrapreso per il Regno di Dio come proclamato da Gesù nel Vangelo. Voglio solo sottolineare il valore oggettivo attribuito al celibato, e le aspettative che anche i non cattolici nutrono riguardo alla fedeltà nel vivere tale voto. Come nel caso dei sacerdoti cattolici, le autorità comuniste sono state costrette a riconoscere questo dato di fatto e così hanno smesso di obbligare i monaci e le monache buddisti a sposarsi.

Sono stato personalmente testimone molte volte della forza interiore che il Signore dà a una persona che affronta la perdita della libertà, la sofferenza e persino la morte. In particolare, desidero parlare di coloro che hanno fatto voto di celibato e che hanno perseverato nel loro impegno. So bene che non solo i cristiani celibi hanno dovuto testimoniare Cristo. [...]. Vorrei sottolineare però che una vita celibe, vissuta in stretta unione con il Signore, prepara molto bene al sacrificio supremo della propria vita, se questo è il cammino che il Signore ha riservato al suo fedele discepolo.

Penso al mio segretario, padre Anthony Ngan Tak-Kang. Molti lo ritenevano un santo vivente. Lui avrebbe sorriso a questo appellativo e si sarebbe meravigliato che una vita così ordinaria come la sua potesse meritare tale apprezzamento. [...]. Tuttavia, quando arrivò il momento della prova, dimostrò un coraggio e una forza d’animo più che ordinari. Il suo esempio eccezionale è solo uno dei tanti che i suoi fratelli sacerdoti di tutta la Cina hanno dato quando hanno dovuto attraversare lo stesso crogiolo di sofferenza. Nelle sue relazioni con le donne, padre Ngan era sempre gentile ma riservato. Questo non gli ha impedito di svolgere il suo lavoro pastorale verso chiunque lo richiedesse, uomini o donne. Nessuno ha mai potuto supporre una sua anche minima infedeltà agli obblighi del celibato sacerdotale. Questo è uno dei motivi principali per cui era così rispettato e persino venerato da tutti i cattolici che lo conoscevano. [...]. Fu arrestato lo stesso giorno in cui lo fui io e, come me, fu imprigionato senza processo. Fu mandato in un campo di lavoro nel nord della provincia di Guangdong. Tutto ciò che possedeva all’epoca erano i pochi stracci che aveva addosso. Aveva sempre vissuto poveramente e regalava continuamente tutto ciò che poteva a quelli più poveri di lui. Il cibo grossolano, il duro lavoro e la malattia (le sue gambe si infettarono e si gonfiarono tanto che non poteva più camminare) furono la causa della sua morte. Non ha mai vacillato nella sua dedizione al Signore e nella sua fedeltà alla Chiesa. [...]. 

Ci furono molti altri testimoni della fede in Cina. Mi vengono in mente le parole della Lettera agli Ebrei che incoraggiano noi che siamo rimasti indietro: «Anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,1-2).

Poco prima di essere rilasciato dalla prigione, sono stato sottoposto a un esame finale. Sono stato interrogato sul mio atteggiamento nei confronti del Vaticano; ho risposto: «Sono cattolico e non posso separarmi dal Papa». Questo fece arrabbiare il funzionario: «Dopo 22 anni lei è ancora lo stesso vecchio testardo». Dieci giorni dopo tornò da me e mi disse: «Prima di tutto, lei è onesto. Non ha mai usato il denaro dato alla Chiesa per il suo beneficio personale, nemmeno quello datole da sua madre. Secondo, non ha mai giocato con le donne e, infine, non ha mai fatto del male al popolo». Queste furono le tre ragioni portate per la mia liberazione. «Non aver mai giocato con le donne» era il modo negativo con cui il funzionario attestava il fatto che avevo mantenuto intatto il mio celibato. Naturalmente, questa era una grazia del Signore. Era una grazia che si manifestava persino a un governo ateo che non aveva bisogno del celibato. Eppure, nel rilasciarmi dalla prigione e nell’addurre questo come uno dei motivi, furono costretti ad ammettere che qualcosa del celibato era buono. Non potevano dire perché, ma noi cristiani possiamo, perché è Gesù che ha detto: «Vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 19,12). 

Nota

1) è possibile leggere la versione integrale (in inglese) di questo intervento di mons. Domenico Tang Yee-ming qui: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cclergy/documents/rc_con_cclergy_doc_01011993_fide_en.html

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