SPIRITUALITÀ
Scelto per il martirio: beato Padre Mario Borzaga
dal Numero 37 del 27 settembre 2020
di Paolo Risso

La grandezza di un uomo si percepisce spesso con il passare del tempo. Ciò è vero anche per Padre Mario Borzaga, sacerdote trentino missionario Oblato di Maria Immacolata nel Laos, beatificato nel 2015. Guardiamo a lui a 60 anni dal suo martirio.

Nel 1932, a Trento nel rione della Bolghera, da famiglia cattolica nasce Mario Borzaga. Educazione cristiana dai suoi genitori e dai sacerdoti che Dio pone sul suo cammino. Gesù, Gesù solo, al centro della sua vita. Un desiderio solo: continuare Gesù. Giovanissimo entra in seminario, per diventare sacerdote. 

Oblato di Maria, missionario di Gesù 

A 20 anni è colpito dalla vita di un missionario che ha speso tutta la sua vita per convertire le anime a Gesù, il solo che salva. Così entra nel noviziato degli Oblati di Maria Immacolata, fondati a Marsiglia, verso la metà dell’Ottocento, dal vescovo sant’Eugenio de Mazenod. Qui, nell’oblazione a Maria, intensifica la sua devozione mariana, che sarà luce che lo guiderà, anzi lo “abbaglierà”, lungo tutto il suo cammino sacerdotale. Nel 1956, prima di consacrarsi a Gesù per sempre, scrive nel suo diario il suo “sogno di felicità” per la sua vita futura: «Ho capito la mia vocazione: essere un uomo felice pur nello sforzo di identificarmi con Gesù crocifisso. Quanto resta ancora di sofferenza, Signore? Tu solo lo sai e per me, sia fatta la tua volontà, in qualsiasi istante. Se voglio essere come l’Eucaristia, un buon pane spezzato per essere mangiato dai fratelli, devo per forza, prima, passare attraverso la morte di croce. Prima il sacrificio, poi la gioia di distribuirmi ai fratelli di tutto il mondo... Se mi distribuisco senza passare prima e sublimarmi nel sacrificio, do ai fratelli affamati di Dio solo me stesso, un cencio di uomo. Ma se accetto la mia morte in unione a quella di Gesù, è proprio Gesù che riesco a dare con le mie stesse mani ai fratelli. Non è pertanto una rinuncia a me stesso che io devo fare, ma il potenziamento di tutto quello che in me può soffrire, essere immolato, sacrificato in favore delle anime che Gesù mi ha dato di amare» (1). 

Nel 1957 è ordinato prete. Allora annota nel suo diario: «Se Gesù mi ha dato amore, devo rendergli amore, se mi ha dato sangue, gli devo rendere sangue». Nello stesso anno, sa che un gruppo di missionari Oblati verrà inviato nel Laos e lui si offre per questa pericolosa missione: sa di trovarvi una popolazione pagana cui annunciare Gesù, in un ambiente di povertà e di sacrificio. Il Laos è in guerra, percorso dai guerriglieri comunisti. Padre Mario sa che padre Jean-Baptiste Malo, delle Missioni estere di Parigi, nel 1954 è morto di sfinimento presso un campo di concentramento vietnamita. Ma tutto questo lo convince che lui deve essere in quel lontano paese per convertire le anime a Gesù, nella Chiesa Cattolica, egli sa che “non vi è altro nome dato agli uomini nel quale sia stabilito che possano essere salvati, se non quello di Gesù” (cf. At 4,12). Non ci si salva grazie a qualsiasi religione, non basta il dialogo né la promozione umana (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, nn. 4-5). 

Padre Mario parte per il Laos nell’autunno del 1957. Il Laos, incuneato tra il Vietnam e la Tailandia, ha visto i primi missionari cattolici nel 1884, ma lì le conversioni sono rare; tuttavia il Vangelo viene ricevuto con favore da alcune “tribù” di montanari, di religione animista. Nel 1940 il Giappone ha invaso i paesi dell’Indocina, Laos compreso, ma alla capitolazione del Giappone nel 1945, il “Pathet Lao”, gruppo di comunisti vietnamiti, scatena la guerriglia contro il governo laotiano. 

Missionario in prima linea 

Questa la situazione che trova padre Mario, quando arriva a Kengsadok, dove impara la lingua e le innumerevoli conoscenze, per far fronte a tutte le necessità in quell’impervio paese. Citiamo dal diario: «È difficile imparare in silenzio, da tutti, soprattutto a credere, a soffrire, ad amare Gesù. Dio non mi chiede ora le cose eroiche che sognavo, ma di lavorare nell’oscurità, con pazienza e senza risultati apparenti». Sperimenta presto, come Gesù nel Getsemani, la paura della sofferenza e della morte. In un giorno molto duro di prova, scrive: «La mia croce sono io: io croce a me stesso. La mia croce è la lingua che non riesco a imparare. La mia croce è la mia timidezza che mi impedisce di dire una parola con un laotiano». Prega: «Tutto è tuo, Signore, anche lo sconforto, l’angoscia, il rimorso, l’oscurità. Ti amo, ti amo più di qualsiasi persona degna di essere amata, perché Tu, Gesù, sei l’amore».  

Alla fine del 1958, padre Mario, 26 anni, viene inviato a Kiukiatiam, la sua prima sede missionaria, nell’etnia “Hmong”. Presto è solo in mezzo a indigeni di cui si occupa per la loro promozione umana e per la loro evangelizzazione. Celebra la Messa, il centro della sua vita, “il tutto della sua vita”, insegna catechismo, prepara i catecumeni al Battesimo, confessa, cura i malati nel dispensario della missione, visita i villaggi, senza paura né riposo. La lingua “hmong” è diversa dal laotiano, e padre Mario stenta a farsi capire. Tuttavia si mette all’opera, rendendo alla sua gente mille servizi e conquistando i loro cuori, non tanto per sé ma per Gesù. 

Molto incline alla musica, evangelizza insegnando canti religiosi, in primo luogo la Salve Regina in lingua hmong. La sua vita è durissima: prova ripugnanza per il cibo del Laos, per la mancanza di igiene, il clima che debilita. Nel suo diario, scrive: «Tutto per Gesù. In ogni modo sorrido, non perché sia sicuro di me stesso, ma perché sono sicuro che Gesù, nella sua battaglia, adopera anche i fanti addormentati come me, e perciò ci tengo a fargli sapere che io sono tale: purché mi adoperi per qualcosa... Che cosa ho fatto io per meritare tanto amore da parte di Gesù?». 

La situazione in cui opera è difficilissima. Così la descrive, padre Mario, nelle lettere che scrive nel 1959: «La messe del Signore è molta... Oltre le brughiere e le paludi solcate dai bufali, sulle montagne abitate dai Hmong. Tutto è da cominciare con la grazia di Dio. Servono centinaia di operai, ma siamo solo mezza dozzina. Voi pregherete perché la nostra santità risplenda come fiaccola nella notte. Il missionario si è fatto vagabondo per amore di Gesù e di chi vaga nelle tenebre; eremita per amore, per Gesù che è stato abbandonato, e di chi nella fredda solitudine del paganesimo aspetta la mano dell’apostolo che gli apra le porte del Cielo». 

Tutto potrebbe scoraggiarlo e indurlo a lasciare, ma padre Mario sa che, anche in un ambiente di missione come il suo, nel Laos o come dovunque, la Fede esige di essere proposta, poiché le moltitudini hanno il diritto di conoscere Gesù, l’unico Salvatore: per questo lo slancio missionario, l’impegno a convertire, va mantenuto vivo, anche quando tutto sembra contrario. I suoi catechisti, da lui formati con suprema dedizione, diranno di lui: «Ogni sera andavamo da lui a pregare e a studiare la nostra fede con lui. Vegliava su di noi, come un padre. Ci ha fatto osservare la Legge di Dio, ci ha dato la vita divina della grazia. Ha combattuto, con gli altri missionari, l’abitudine di offrire polli alla divinità in sacrificio per ottenere la guarigione dei malati. Per preservare la nostra fede, ci ha proibito di partecipare alle feste buddiste». Infine: «Padre Mario aveva un solo grande amore: Gesù Cristo, per il quale consumava la vita». 

Scelto per il martirio 

Tra il 1959 e il ’60, imperversa la guerra in Indocina, nel Laos. I missionari restano, consapevoli di essere candidati al martirio. Imperversano i guerriglieri comunisti del “Pathet Lao”, pronti a sparare e a uccidere, soprattutto i preti cattolici. Domenica 24 aprile 1960, dopo la Messa, padre Mario è richiesto da un gruppo di Hmong, di venire nel loro villaggio, a tre giorni di cammino: vogliono istruirsi nella Fede e far curare i loro malati. Il giorno seguente padre Mario li segue. Con il catechista Paolo Thoj Xyooj, si mette in cammino, visita i villaggi, porta l’annuncio del Vangelo a chi incontra. 

I due arrivano nel villaggio previsto, Ban Phoua Xua, curano i malati, quindi ripartono. Il 1° maggio una pattuglia di Pathet Lao incontra il Padre e il suo collaboratore: è evidente che è un sacerdote cattolico. I comunisti gli legano le mani e le braccia dietro la schiena, dicendogli: «Sei un americano, un nostro nemico». Il catechista spiega loro che è italiano, che è missionario, venuto solo a fare del bene. I comunisti consigliano al giovane di andarsene, ma lui risponde: «Non me ne vado. Non sparate. Ma se sparate, uccidete anche me, io ho la stessa missione del Padre». 

Padre Mario, sotto le torture e le botte dei comunisti, rimane calmo e silenzioso. Così un giorno era stato fatto a Gesù e lui aveva desiderato e chiesto come un privilegio di avere la stessa sorte del divin Maestro. I comunisti li portano lontano dal villaggio, quindi li ammazzano entrambi. Il capo del gruppo comunista non dimenticherà quel giovane uomo di bell’aspetto, dallo stile di un agnello che essi avevano freddato in odio a Cristo. Decenni dopo racconterà: «Li abbiamo costretti a scavare la fossa. Sono stato io a sparare su di loro. [...]. Senza aspettare, li abbiamo coperti con un po’ di terra, poi abbiamo perquisito lo zaino del prete. Non c’era molto: delle cordicelle con dei grani, delle immagini con una donna radiosa, sola o con un bambino, oppure con un uomo che mostrava il cuore». Insomma, padre Mario aveva alcuni rosari e delle immagini della Madonna e del Sacro Cuore di Gesù, l’unico suo tesoro, null’altro. 

Quel 1° maggio 1960 era domenica, e padre Mario al mattino presto aveva già celebrato la Messa, con il suo catechista. Era stato il suo Viatico per la Vita eterna. Un altro catechista dirà: «Padre Mario è stato ucciso perché era andato ad annunciate la Buona Novella del Cristo e a curare in suo nome i malati. I comunisti, formati in Cina e nel Nord-Vietnam, volevano arrestare la diffusione del Cattolicesimo e costringere tutti ad aderire al marxismo-leninismo».  

Il 5 giugno 2015 la Chiesa ha decretato la beatificazione di padre Mario Borzaga, 28 anni appena, martire di Gesù, con altri sedici morti in Laos tra il 1954 e il 1970. Il giorno della sua Ordinazione sacerdotale sul suo diario lui aveva scritto: «Il Cristo che mi ha scelto, è il medesimo che ha dato vita e coraggio ai martiri e alle vergini: erano uomini come me, impastati di debolezza e di nulla... Anch’io sono stato scelto per il martirio». Padre Mario: un altro-Gesù.    

Nota

1) Citiamo dal diario di padre Mario Borzaga, OMI, Diario di un uomo felice, giorno: 17 novembre 1956.

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