SPIRITUALITÀ
Un genio per Cristo: Francesco Faà di Bruno
dal Numero 42 del 27 ottobre 2019
di Paolo Risso

L’erede dei marchesi Faà di Bruno, con davanti a sé uno splendido avvenire, abbandona per Cristo agi e gloria e consacra a Lui ogni sforzo: studi, lavori manuali, magistero scientifico e fondazioni a catena. La sua è un’esistenza che valorizza ogni minuto: “In un quarto d’ora – diceva – si può vincere una battaglia”.

Mi “incontrai” con lui la prima volta quando un padre domenicano mi fece dono di un aureo libro: Uno scienziato davanti all’Eucaristia (Marietti, Torino 1960), in cui l’autore, lo Scienziato appunto, dimostra che il mistero dell’Eucaristia non è contrario alla ragione ma la supera e la eleva, con la Sapienza di Dio. Da allora rimasi affascinato da questa nobile luminosa figura.


Carriera militare

Ultimo di 12 figli, Francesco Faà di Bruno nasce ad Alessandria, il 29 marzo 1825, da genitori nobili e benestanti, di nobiltà e di beni più antichi dei Savoia, originari di Bruno d’Asti, dove c’è ancora, bellissimo, il loro antico castello. Famiglia cattolicissima e formazione dolce e austera all’amore a Gesù e alla sua Chiesa. Due sorelle di Francesco diventano religiose; due fratelli sacerdoti. Anche lui, da ragazzino, pensa di donarsi tutto a Gesù, mentre frequenta i primi studi a Novi Ligure, Allievo dei Padri Somaschi.
A nove anni perde la mamma, e cresce pensoso, intelligentissimo e dedito allo studio con passione. A 15 anni, di ritorno a Torino, si iscrive all’Accademia militare della città subalpina. Si distingue per stile, studio, capacità militari, senso del dovere e del sacrificio, amore alla patria. A 19 anni, nel 1846, Francesco è nominato luogotenente. È segnato a dito per la sua fede professata e per la sua purezza, cose non del tutto gradite al mondo, neppure al mondo militare. Ma lui sa andare controcorrente al mondo, per amore di Gesù.
Ha 23 anni, quando partecipa alla prima guerra di indipendenza (1848-’49), aiutante di campo del principe Vittorio Emanuele, futuro re d’Italia. Nella sanguinosa battaglia di Novara, vede morire molti giovani soldati. Non dimenticherà mai quelle vite stroncate e andate all’inaspettato incontro con Dio. Durante la battaglia, il suo cavallo è colpito a morte, ma lui benché ferito ad una gamba, essendo molto alto, rimane in piedi e si mette in salvo. Nei mesi precedenti, stupito che non ci siano carte con rilievi aggiornati sulla zona di guerra, aveva raccolto i dati necessari per una “gran carta del Mincio”, che servirà nella successiva guerra di indipendenza nel 1859.
Nella “Torino dei Santi”, i passi del giovane ufficiale si incontrano con quelli di Don Bosco, così deposta la sciabola in sacrestia, gli capita spesso di servire la Messa al Santo dei giovani, prima di recarsi all’Accademia. Il nuovo re, Vittorio Emanuele II, convinto dalle doti e dall’ottimo carattere dell’ufficiale, gli promette di nominarlo precettore dei suoi figli. Per perfezionare i suoi studi, il capitano Faà di Bruno va a Parigi, alla Sorbona, a laurearsi in matematica. Quando però ritornò a Torino nel 1851, l’incarico di precettore reale gli viene revocato, perché il suo stile di cattolico fervente infastidisce la corrente anti-cattolica che dilaga nell’ambiente che lo circonda. Addirittura viene sfidato a un duello da un commilitone, cui essendo cattolico, si sottrae.
Allora il capitano, deluso dagli uomini, soprattutto dai potenti, si dimette dall’esercito che pure ama, per servire come soldato di un altro Re, Gesù solo, il Re dei re, il Signore dei dominanti.


Professore, scienziato

Faà di Bruno parte di nuovo per Parigi, per frequentare la Sorbona e laurearsi ancora, in modo da poter competere con chiunque e servire al massimo l’umanità, secondo i talenti datigli da Dio. A Don Bosco lascia la cura de Il galantuomo, un calendario che pubblicava per i contadini, con consigli di agricoltura e di vita cristiana. Altresì già stampava La lira cattolica, una raccolta di canti sacri da lui composti; perché era anche musicista! A Parigi è allievo di Augustin Cauchy, illustre scienziato con il quale farà la tesi di laurea in Matematica e in Astronomia. Conosce e frequenta i più alti esponenti della cultura cattolica di Francia e di Europa, con alcuni stringe amicizia, come con il professor Federico Ozanam fondatore delle Conferenze di San Vincenzo. Diventa membro di una di esse, quella di Saint Germain des Prés, e condivide con loro la sua passione di amore ai poveri, imparato dalla mamma, a Bruno d’Asti, e sempre praticato. Con al centro della sua vita Gesù, come unico amore della sua esistenza, quando torna a Torino con le sue prestigiose lauree, potrà insegnare all’università subalpina nuove discipline. È matematico, astronomo, fisico, architetto, inventore, filosofo e teologo. Sì, teologo, cosicché quando i preti torinesi si trovano a dirimere qualche grave questione morale, si appellano alle sue posizioni, maturate nello studio della Sacra Scrittura, e della Summa di san Tommaso d’Aquino.
Tra i poveri che ama e predilige, il professore Faà di Bruno è colpito dallo sfruttamento delle “serve”, una categoria di ragazze che migravano dai paesi di campagna a Torino per servire nelle case dei signori e dei padroni. Comincia con l’istituire una scuola di canto per loro, per toglierle dalla strada. Le raduna presso la parrocchia di San Massimo e, attraverso il canto e la musica, trasmette la fede: insegnata, accolta, vissuta. Intanto fondava, come Ozanam, conferenze di San Vincenzo per l’aiuto e la formazione cristiana alle famiglie più povere. In questi anni – nel 1858 – acquista un terreno e una casa nel borgo di San Donato e il 2 febbraio 1869, apre quello che sarà il suo capolavoro, l’opera di Santa Zita per raccogliervi gratis le donne in cerca di servizio curando la loro formazione e legandole a famiglie moralmente sane.
Da “Santa Zita” si irradia la sua carità senza limiti, che raggiunge tutti i problemi sociali del tempo: i “fornelli economici” per dare un pasto caldo a chi ne abbisogna e non ce l’ha; l’apertura di lavatoi e di bagni per chi può essere utile; la fondazione di una comunità per le ragazze poco dotate (le clarine, in onore di santa Chiara); un pensionato per i sacerdoti; un altro per donne di “civil condizione”, ma sole, senza dimenticare le più povere; la scuola per le maestre future alle elementari; la scuola di preparazione alla formazione di buone famiglie; infine un liceo, dove Don Bosco manda pure i migliori dei suoi allievi di Valdocco.
Perché tutto questo impegno dove spendeva e dilapidava il suo patrimonio personale e si adattava a chiedere l’elemosina sulle porte delle chiese di Torino? Per amore a Gesù solo, che il prof. Faà di Bruno vede davvero nel volto dei fratelli e delle sorelle più poveri (cf. Mt 25,40). Il medesimo Gesù che egli adora a lungo davanti al Tabernacolo nelle chiese, che riceve ogni giorno nella Santissima Eucaristia. Gesù lo mobilita a mettere a suo servizio come un inno a Lui, Sapienza divina, la sua intelligenza e cultura superiore. Al suo rientro da Parigi, aveva incominciato a insegnare all’università, e alla scuola militare, cui era rimasto legato anche dopo le sue dimissioni dall’esercito... Prima lezioni libere, poi dal 1861, come professore aggregato alla Facoltà di Matematica e Fisica, dove fin da subito brilla il suo genio come un faro di luce, luce dalla sua scienza superiore e luce dalla sua fede luminosa nel Cristo, Via, Verità e Vita. Senza paura, senza complessi di inferiorità, a fronte alta, mai secondo a nessuno. Pur nell’ambiente liberale, positivista e massonico, anticattolico che lo circonda.


Milite e sacerdote

Escono dalla sua mente formidabile i trattati di matematica, che erano oggetto delle sue lezioni. È sua, risalente al 1857, quando lui aveva solo 32 anni, la “formula Faà di Bruno”, che viene ancora usata oggi dagli scienziati della NASA e nei calcoli informatici. A guida dell’opera di Santa Zita, il professore, pure laico, sta preparando alcune giovani donne, innamorate di Gesù, che egli avvia alla consacrazione religiosa. A questo punto, riaffiora il suo antico giovanile desiderio di diventare sacerdote. Alcuni vescovi come quelli di Mondovì e di Alessandria, diversi sacerdoti illustri di Torino, come Don Bosco, certi della sua preparazione teologica pastorale, pur non essendo mai stato in seminario, lo incoraggiano al Sacerdozio.
L’arcivescovo di Torino, mons. Gastaldi, è d’accordo, ma vorrebbe per lui un periodo di preparazione in seminario... Ma Don Bosco ne parla al Santo Padre Pio IX. Nell’ottobre 1876, Faà di Bruno va a Roma, dove Pio IX in persona lo ammette agli Ordini sacri, lo fa consacrare diacono e il 22 ottobre 1876 lo fa ordinare sacerdote, regalandogli anche il calice preziosissimo per la sua prima Messa e tutte le Messe che avrebbe celebrato. La gioia tocca il culmine, in quel giorno santo: 52 anni, già capitano dell’esercito, professore esimio di matematica all’università, operatore sociale di primo piano e... sacerdote di Cristo.
Nel frattempo a Torino, ha fatto innalzare, presso l’Opera di Santa Zita, una grande chiesa dedicata alla Madonna del Suffragio, come centro della sua azione benefica, luogo di preghiera e di adorazione a Gesù Ostia e di suffragio per i defunti, in primis per le giovani vite stroncate dalle guerre. Presso la chiesa, Faà di Bruno ha fatto innalzare il meraviglioso campanile pressoché unico al mondo, da lui progettato, sormontato dall’arcangelo san Michele, con la sua sfida alle forze di Satana: «Chi mai è come Dio?». Il 1° novembre del 1876, l’abate Francesco Faà di Bruno celebra la prima Messa nella sua chiesa.
Gli restano 12 anni di vita. Continua a insegnare all’università, dove a causa della sua fede cattolica vissuta e del suo Sacerdozio ardente, non entrerà mai in ruolo, per l’opposizione dei nemici di Dio, mentre a Padova, lo spretato Roberto Ardigò, filosofo positivista, avrà presto la cattedra stabile. Così va il mondo, quando manca Dio! Più che mai si interessa dei poveri e dei piccoli. Sono sue alcune invenzioni come il barometro a mercurio, lo scrittoio per i non-vedenti, la sveglia elettrica, premiate in alcune esposizioni universali, la pubblicazione di un saggio scientifico sulle teorie delle forme binarie. Ormai famoso in Europa, in America e... mal visto dai massoni d’Italia!
Ma diventato sacerdote, don Francesco è tutto uomo di Dio, che passa lunghe ore in confessionale a dirigere le anime, che celebra la Messa, come la realtà più sublime di ogni sua giornata, che cura la liturgia e la sua chiesa dove nulla deve essere sciatto e feriale (come si inclina oggi), che si fa autore di musica sacra a cantare le lodi di Dio solo. La sua comunità di giovani consacrate diventa la Congregazione delle Suore Minime del Suffragio: “minime”, perché lui, benché sia un genio, vuole essere “minimo” davanti a Dio, nell’umiltà più radicale.
Nella sua camera, nella casa di Santa Zita, abbiamo visto una finestrella che si apre sul Tabernacolo della chiesa. Lì, sull’inginocchiatoio l’ex capitano dell’esercito sabaudo, il professore matematico illustre, il “servo dei poveri”, ora sacerdote, vegliava con l’adorazione eucaristica a Gesù-Ostia, sul mondo in agonia per tanti peccati e rifiuti di Dio.
Il 27 marzo 1888, il sacerdote santo va incontro a Dio. Il 30 marzo 1888, i suoi funerali nel silenzio, senza Messa e senza campane, perché è Venerdì Santo, il giorno del Sacrificio di Gesù, e lui se ne va nel silenzio più assoluto.
Il 25 settembre 1988, il Santo Padre Giovanni Paolo II, con la solenne beatificazione lo eleva alla gloria degli altari. Volli allora saperne di più, perché mi aveva appassionato fin dalla mia giovinezza. Lessi due volumi scritti su di lui, dal card. Pietro Palazzini (Città Nuova Editrice) e ora non finirei più di parlarne. Così, scrissi una sua biografia agile vivace, con il titolo Un genio per Cristo (ed. Il carroccio), un vero inno a Gesù che solo sublima la ragione e la fede dei suoi santi. Solo il Cattolicesimo ha uomini così, perché il Cattolicesimo è vero e divino. Ditelo al mondo di oggi.

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