SPIRITUALITÀ
Ricchezza che impoverisce: l’avarizia
dal Numero 30 del 28 luglio 2019
di Padre Luca M. Genovese

L’avarizia sa servirsi di molti ragionevoli pretesti per il suo sempre crescente bisogno di guadagno, anche sotto le vesti dell’utile per il prossimo. Un cuore avaro, in realtà, mente a se stesso, bramoso solo di appagare la propria insaziabilità. Quali sono gli effetti di tale vizio e quali i rimedi?

 «L’avarizia è adorazione degli idoli», esordisce san Giovanni Climaco (1). In effetti, come anche ci spiega san Paolo, «l’avarizia insaziabile è idolatria» (Col 3,5). L’avaro pensa solo ai suoi soldi e ai suoi beni. Non ha altro pensiero per la testa che quello. Può fare posto a Dio? No, certo. «Non si può servire Dio e Mammona» dice il Maestro (Mt 6,24). La ricchezza, o meglio il pensiero di essa, entra nelle più intime fibre del cuore. È uno dei vizi capitali più diffusi sotto l’egida del risparmio, della prudenza e della saggezza nel pensare al proprio futuro e a quello dei propri discendenti, non considerando la volatilità di un bene che oggi c’è e domani non c’è.
Il demone dell’avarizia si giustifica come «precauzione delle malattie, preveggenza per la vecchiaia, calcolo per i tempi di fame, avvertenza per i tempi di siccità». Ecco tutte le scuse, ma ve ne possono esser pure altre, per accumulare ricchezza, senza pensare ad altro.
La coscienza mente a se stessa perché l’attrazione sensibile del denaro e delle ricchezze è forte, quasi quanto quella del piacere e della lussuria. Anzi si dice che dove cessi questa cominci l’avarizia, una forma di concupiscenza più sottile, ma non meno avvinghiante e corrompente. Infatti chi non è più attratto dai piaceri della carne deve trovare per forza un’altra attrazione per appagare le sue brame. Ecco allora pronta l’avarizia ad affascinare con le sue brame le anime inerti dei poveri sprovveduti e privi della grazia di Cristo.
«L’avaro – continua il Crisostomo – si ride del Vangelo e ne trasgredisce volontariamente la legge. Mentre chi ha la carità riduce a nulla il suo patrimonio...». L’opposto esatto dell’avarizia è la carità evangelica, la libertà dai beni a favore di chi ne è privo. Così furono i santi: san Francesco, san Benedetto, i grandi eremiti del deserto egiziano che nulla possedevano. Così e più di tutti costoro fu la Vergine Immacolata, ricchissima nell’anima perché piena di grazia, ma umilissima e poverissima nelle cose perché superflue per il Regno dei cieli. Il distacco di Maria da ogni ricchezza è totale. Basta guardare ancora oggi la piccola casa di Nazareth trasportata a Loreto e divenuta centro di culto cristiano: quattro mura assolutamente spoglie e prive di ogni comodità... appena sufficienti per offrire un riparo per la notte e un posto di lavoro al coperto per il giorno. Questa era tutta la ricchezza di Maria Santissima. Perché la sua vera ricchezza era tutta nel suo Cuore, era l’amore di Dio e il suo grande ed infinito dono: Cristo Gesù suo Unigenito Figlio.
Con questa ricchezza si può rinunciare all’altra, quella del mondo. Senza questa ricchezza non si può rinunciare a nessuna delle passioni umane. La battaglia ferve nel nostro cuore e al di fuori terribili guerre ed ingiustizie si perpetrano perché nel cuore di molti ha vinto il peccato ed è stato ucciso e sepolto ancora una volta Gesù Cristo, salvezza dell’anima e del corpo.
«Colui che vive nella compunzione non può non rinnegare ciò che è corporeo e quindi coglie l’occasione per non risparmiarlo. Non dire che vuoi raccogliere per i poveri, perché ad essi bastano due soldi per acquistare il Regno» (cf. Lc 21,4).
In chi accumula denaro la scusa di aiutare i poveri è molto diffusa. Basta vedere oggi tanta politica pro immigrazione che è spesso volta sotto sotto ad arricchirsi con gli aiuti statali. Le stesse Ong, apparentemente senza scopo di lucro, con le loro navi-soccorso sembrano essere più macchine da soldi che enti umanitari. La loro connivenza con gli scafisti che si fanno lautamente pagare dai migranti disperati è nota. Dunque c’è una connivenza nel male dietro tanta difesa dell’immigrazione e questo arricchisce pochi e fa soffrire ed anche uccide molti.
«Ma chi vince questa passione si libera dalle preoccupazioni mentre chi ne rimane schiavo non potrà mai avere la libertà della preghiera». Chi non capisce la preghiera non potrà mai avere la libertà della povertà. Rimarrà sempre col pensiero ai soldi e quel pensiero lo dominerà. Infatti una grande maestra di preghiera, santa Chiara, offerta per tutta la vita al Signore nel suo piccolo eremo di San Damiano, fu anche una grande maestra di povertà.
Lasciò il privilegium paupertatis come un desiderio, un dono, un assoluto, per unirsi tramite esso al suo Sposo celeste Cristo povero e crocifisso. Il papa Gregorio IX approvò questo desiderio e lo consacrò definitivamente con bolla pontificia: «Secondo la vostra supplica, quindi, confermiamo col beneplacito apostolico, il vostro proposito di altissima povertà, concedendovi con l’autorità della presente lettera che nessuno vi possa costringere a ricevere possessioni. Pertanto a nessuno, assolutamente, sia lecito invalidare questa scrittura della nostra concessione od opporvisi temerariamente. Se qualcuno poi presumesse di attentarlo, sappia che incorrerà nell’ira di Dio onnipotente e dei beati apostoli Pietro e Paolo» (Privilegium Paupertatis).
La povertà è privilegio per un santo. Ma per un senza Dio è una condanna. Essa è infatti l’unica soddisfazione che c’è su questa terra, non essendoci più alcun Dio nel proprio orizzonte.
L’avarizia dunque è subdola, come ogni peccato. Comincia quasi per soddisfare un desiderio di bene (la salute, l’aiuto ai poveri, il futuro incerto, ecc.) ma poi finisce per essere la padrona assoluta dello spirito umano e tutte le cose devono servire ad essa.
«L’avaro comincia col voler accumulare per fare elemosina ma alla fine si mostra ostile ai poveri. Finché accumula fa il pietoso, quando ha già raggiunto la ricchezza stringe bene le mani».
Dio ci salvi da questo vizio condito di ipocrisia e di grande amarezza e tristezza interiore. Anche Giuda, che aveva la cassa (cf. Gv 12,6), cadde nello stesso vizio e per questo giunse a togliersi la vita.
La ricchezza infatti offre solo una consolazione esterna al bisogno che abbiamo di sicurezze. Certamente non consola un’anima in angoscia o di più in condizione di peccato e di bisogno di misericordia per aver perso la grazia di Dio. «Se uno desse tutte le sue ricchezze in cambio dell’amore non ne avrebbe che disprezzo» (Ct 8,7). 


NOTA
1) San Giovanni Climaco, Scala Paradisi (PG 88 924C-925a).

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