I FIORETTI
L’aborto procurato: il parere di Padre Pio
dal Numero 42 del 27 ottobre 2013

Padre Pio mi fece prendere una sedia, e disse: «Siediti e dimmi come ti regoli tu, quale confessore, in materia di aborti».
Dopo aver sentito scattare, come un campanello di allarme o per lo meno come un campanello importuno, questa domanda, desiderai maggiormente scappare via; ma capii che andandomene avrei peggiorata la mia situazione e rimasi, rassegnato a beccarmi una bella lezioncina. Feci comunque un’osservazione fuori posto: «Come frate non credo di avere il dovere di pormi simili problemi». «Assittete (Siediti)», ingiunse indicandomi la sedia.
Nel timore di essere redarguito per qualche eventuale mio difetto in materia di aborto e nel desiderio di svicolare per la naturale riluttanza a incassare rimproveri, dimentico o non curante del fatto che così rinunziavo a qualche notevole guadagno spirituale o mi giocavo addirittura il posticino in Paradiso, preferii affrontare l’argomento indirettamente. Gli rivolsi magnificamente gravido di minacce, una domanda frettolosa rivolta a lui, senza vergognarmi della meschinità del contrattacco inopportuno: «Padre, lei stamattina ha negato l’assoluzione per procurato aborto a una signora; perché è stato tanto rigoroso con quella povera disgraziata?».
La domanda non era tanto innocente, quanto potrebbe apparire a prima vista, perché si accompagnava all’intima convinzione che lui, Padre Pio, sempre buono e misericordioso con tutti i membri della grande famiglia umana, sarebbe stato trattato duramente dalla giustizia divina, per “l’eccessivo” rigore adottato nel grande Tribunale della Penitenza, a cui, come ad un favo di miele gocciolante, attirava, per altro, migliaia di penitenti.
In altra occasione rispose a questo mio giudizio temerario ritorcendo l’argomento: «Perché? Tu che sei dolce con gli assassini e noncurante delle vittime, che cosa ti aspetti della giustizia di Dio? Un gesto di clemenza? [...] il giorno in cui gli uomini, spaventati dal (come si dice?) boom demografico, dai danni fisici o dai sacrifici economici, perderanno l’orrore per l’aborto, sarà un giorno terribile per l’umanità, perché è proprio quello il giorno in cui dovrebbero dimostrare di averne orrore». Poi, come mettendo una parentesi, continuò: «Tuttavia non sono tanto deficiente da credere di poter mettere il punto e la parola fine all’inizio del mondo: sono ottimista e credo fermamente nella possibilità di un ritorno ai primordi istinti della natura umana». Mi afferrò per la pettorina, mi calcò la mano sinistra sul petto, come se volesse impadronirsi del mio cuore e riprese con un fare molto sbrigativo: «L’aborto non è soltanto omicidio, ma è pure suicidio. E con coloro che vediamo sull’orlo di commettere con un solo colpo l’uno e l’altro delitto, vogliamo avere il coraggio di mostrare la nostra fede? Vogliamo recuperarli sì o no?!».
Con un sorriso tra l’incredulo e il canzonatorio, nascente, di solito, dalle labbra degli sconfitti, come colpito da un’ondata di pensieri gentili apparentemente, ma loschi in realtà, domandai: «Perché suicidio?». Secondo le mie convinzioni di quel tempo, la donna, eliminando un feto, salva, non ammazza se stessa. Non ero pessimista, ma una tintarella di pessimismo sprezzante e deteriore, forse comune un po’ a tutti, l’avevo pure io: cioè consideravo i feti delle semplici appendici, asportabili, non perché membri senza vita, ma perché appartenenti, questi membri, alla nostra brutta razza. “Che bisogno c’è di andare troppo per il sottile con miserelli come noi?”, mi domandavo, fiero di albergare, una volta tanto, delle machiavelliche e alte concezioni, nella mia mente abituata a strisciare tra gli ozi e i pettegolezzi.
Padre Pio, assalito da una di quelle, non insolite, furie divine, compensato da uno sconfinato entroterra di dolcezza e di bontà, mi rispose: «Capiresti questo suicidio della razza, se, con l’occhio della ragione, vedessi “la bellezza e la gioia” della terra popolata di vecchi bavosi e sdentati e spopolata di bambini: bruciata come un deserto. Se riflettessi, allora sì che capiresti la duplice gravità dell’aborto: con la limitazione della prole si mutila sempre anche la vita dei genitori. Questi genitori vorrei cospargerli con le ceneri dei loro feti distrutti per inchiodarli alle loro responsabilità e per negare ad essi la possibilità di appello alla propria ignoranza. [...] Quelle ceneri vanno sbattute sulla faccia di bronzo dei genitori assassini. A lasciarli in buona fede mi sentirei coinvolto nei loro stessi delitti. Vedi: io non sono un santo, eppure non mi sento mai così vicino alla santità, come quando dico parole forse un po’ forti, ma giuste e necessarie a questi criminali. Inoltre, dopo avere smascherato questi diabolici esseri, mi calmo e riesco più facilmente a distendermi e a “repusà nu poche (a riposare un poco)”. E sono sicuro di aver ottenuto l’approvazione di Dio per il mio rigore, proprio perché da Lui, dopo queste dolorose lotte contro il male, ottengo sempre, anzi mi sento imporre qualche quarto d’ora di meravigliosa calma».

Padre Pellegrino Funicelli,
Padre Pio tra sandali e cappuccio,
pp. 376-379

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