RECENSIONI
Il problema della moda cristiana nella crisi presente | Un libro di Virginia Coda Nunziante
dal Numero 3 del 15 gennaio 2023
di Maddalena della Somaglia

La moda è una formidabile arma rivoluzionaria ed esige di essere combattuta quando minaccia di stravolgere i principi della morale cattolica e gli stessi valori portanti della cultura occidentale. Dobbiamo far sì che il nostro abbigliamento sia espressione di un “Cristianesimo vissuto”. 

Il tema della moda, al centro dell’attenzione dei mass media, è ignorato, nei suoi aspetti culturali e morali, dal mondo cattolico. Più che opportuno giunge dunque il libro La moda cristiana nell’insegnamento della Chiesa curato da Virginia Coda Nunziante (Edizioni Fiducia, pp. 121, € 12,00). L’Autrice, per dieci anni presidente della “Marcia per la Vita” (2011-2021) e ora presidente dell’associazione “Famiglia Domani” ci presenta in queste pagine una selezione di documenti pontifici del Novecento, soprattutto di Pio XII, preceduti da una sua ampia introduzione di carattere storico e dottrinale. Come scrive la Curatrice del volume, ogni società ha alle sue spalle una concezione del mondo che non si esprime solo attraverso scritti filosofici o politici, ma innanzitutto attraverso un modo di essere che si può anche definire come la moda di quel tempo. La moda è infatti anche l’espressione storica del modo di pensare e di vivere di una società e, sotto questo aspetto, può essere oggetto di un giudizio, non necessariamente morale, ma storico. I cambiamenti della moda nella storia ci aiutano a comprendere i mutamenti culturali e morali di una società, che a loro volta possono essere oggetto di giudizio da parte della filosofia o della teologia cristiana. In questo senso Pio XII afferma che «la società, per così dire, parla col vestito che indossa; col vestito rivela le segrete sue aspirazioni, e di esso si serve, almeno in parte, per edificare o distruggere il proprio avvenire» [1].
Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira ha osservato da parte sua che «le trasformazioni verificatesi lungo i 60 anni che vanno dal 1789 al 1848, hanno portato gli uomini ad accettare come buono, come normale, ciò che era antinaturale, cacofonico, grottesco, addirittura dantesco. Si è riusciti così a deformare lentamente l’uomo. Per fare sì che l’opinione pubblica accettasse queste trasformazioni radicali del modo di vivere, la Rivoluzione si è servita soprattutto della moda [...]. La moda è stata il grande veicolo della Rivoluzione. A mio avviso, essa è stata un veicolo più efficace della stessa stampa. Aggiungo: più efficace addirittura del cinema o della radio, che non sono stati altro che schiavi della moda».
Virginia Coda Nunziante ricorda, ad esempio, il ruolo svolto dallo stilista austriaco Rudi Gernreich, un attivista omosessuale, che con il suo “compagno” Harry Hay fondò nel 1954 la Mattachine Society, la prima organizzazione per la liberazione omosessuale negli Stati Uniti. Gernreich esercitò sulla moda una profonda influenza, anticipando la “fluidità tra i generi”. Ideò i primi topless e teorizzò, con il suo Unisex Project, l’abbigliamento unisex, vestendo i modelli maschili e femminili con abiti identici.
«Con lo stile unisex – osserva l’Autrice del volume – la donna si mascolinizza mentre l’uomo tende all’effeminatezza, influenzando l’uomo della strada che ormai accetta questi ruoli interscambiabili tra i “generi” maschile e femminile. Il concetto che si vuole far passare è che la differenza maschio-femmina è un mero fatto culturale e non naturale. E proprio al fine di rendere questa utopia una normalità bisogna imporla nelle scuole affinché i bambini siano indottrinati fin da piccini. Il vestiario è ancora una volta uno strumento rivoluzionario: gli asili, le scuole dove l’ideologia del “gender” viene applicata, fanno vestire i bambini da femmine e le bambine da maschi, dipingono le unghie ai maschietti ai quali viene insegnato il ricamo o l’uncinetto, mentre le bambine si dedicano a smontare motori o giocare con le macchinine».
La moda dunque è una formidabile arma rivoluzionaria ed esige di essere combattuta quando minaccia di stravolgere non solo i principi della morale cattolica, ma gli stessi valori portanti della cultura occidentale. Fin dal 1919, papa Benedetto XV raccomandava all’Unione femminile cattolica di stringere una lega per combattere le mode indecenti, mentre sia Pio XI che Pio XII affermavano la necessità di “una crociata” contro gli insidiatori della morale denunciando le responsabilità della stampa, del cinema, degli spettacoli di varietà. Da qui, secondo papa Pacelli, sorge la grave responsabilità del cristiano che dovrà fare molta attenzione ai pericoli e alle rovine spirituali «seminate dalle mode immodeste, specialmente pubbliche, per quella coerenza che deve esistere tra la dottrina professata e la condotta anche esterna» [2].
Dopo Pio XII, non risulta che altri papi siano intervenuti sulla questione della moda e sulle conseguenze che essa ha, principalmente sulla donna, ma a cascata sulla società intera. A partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965) sembrerebbe anzi che si sia impressa un’accelerazione nella rivoluzione femminile, o meglio femminista, all’interno della Chiesa stessa, fino a portare ad un cambiamento profondo nell’abbigliamento e nel comportamento dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose.
Di fronte a questa decadenza dei costumi, soprattutto le donne sono chiamate a reagire e devono iniziare a farlo rendendosi consapevoli di ciò che il fenomeno della moda significa. Virginia Coda Nunziante conclude giustamente: «La moda in fondo è lo stile di una persona. Ma lo stile esprime le idee che ci guidano. Attraverso il nostro abbigliamento esprimiamo infatti una visione del mondo e, se è vero che l’esempio conta quanto le idee, è anche nel modo di vestirci che potremo esprimere il nostro “cristianesimo vissuto”».

Note
[1] Venerabile Pio XII, Discorso ai partecipanti al I Congresso Internazionale di Alta Moda, 8 novembre 1957.

[2] Ibidem.

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