FEDE E CULTURA
San Francesco non fu ecologista
dal Numero 41 del 29 ottobre 2023
di Guido Vignelli

San Francesco sembra essere il santo più travisato dei nostri tempi. Vogliamo allora presentare la vera figura di questo Santo confutando quelle tesi che pretendono presentarcelo come un ecologista, un contestatore e un vegetariano. 

Veniamo ora alla deformazione più recente della figura del Serafico. Esagerando il suo notorio amore per le creature, Francesco ci viene presentato come un profeta del moderno ecologismo dedito alla “salvaguardia del creato”, se non addirittura come un vegetariano e un “animalista” quale ce lo propinano i movimenti contro la caccia e la vivisezione. Alcuni poi giungono a dipingerlo addirittura come una sorta di naturista, ossia come uno che, nel rinunciare ai beni materiali, avrebbe rifiutato anche le “convenzioni” della civiltà, compresi i vestiti: eccolo quindi trasformato ai nostri occhi in un contestatore hippy, in un promotore del tribalismo e magari anche del nudismo. Insomma, questa tenerezza per le creature ha dato adito a tanta falsa letteratura e iconografia, distorcendo la fisionomia del “tutto serafico in ardore”.
Eppure il misticismo di san Francesco non presenta nulla che possa avallare quella perversa idolatria della natura tipica di chi venera Gea (o Gaia) al posto di Dio. Al contrario, egli considerava la terra come una dimora provvisoria, un luogo di esilio e di prova, un passaggio necessario per poter infine raggiungere la vera patria celeste. Fin dalla sua conversione, la bellezza dei campi e l’amenità dei vigneti, e tutte le altre cose che comunemente saziano gli occhi degli uomini, avevano perduto ogni attrattiva per lui [...] e cominciò a ritenere sommamente stolto chi si perde dietro simili cose.
Nel celebrare il Serafico, così insegna Pio XI: «Essendo l’araldo del gran Re, Francesco volle che gli uomini si conformassero alla santità evangelica e all’amore della Croce, non già che si trasformassero in sdolcinati amanti di fiori, uccelli, agnelli, pesci o lepri. Se egli mostrava una certa affettuosa tenerezza verso le creature, [...] non era mosso da altra causa che dall’amore per quel Dio che è comune origine, e in esse contemplava la divina bontà».
Se dunque il Santo amava contemplare spesso la natura, lo faceva solo per «lodare in ogni cosa l’Artefice divino, riferendo al Creatore tutto ciò che ammirava nelle creature [...]. Nelle bellezze del creato vedeva un riflesso della somma Bellezza celeste»; se esortava gli uomini a rispettare le creature, lo faceva solo per rispetto verso il loro Creatore. «Tutto assorto nell’amore di Dio, il beato Francesco considerava la bontà del Signore non solo in sé […] ma anche in ogni sua creatura; pertanto egli era preso da un singolare e cordiale amore per quelle creature, specialmente per quelle che gli rivelavano qualcosa di Dio» [...].
Francesco considerava gli animali, i vegetali e i minerali non come idoli, ma semplicemente come creature che, con la loro bellezza e col loro simbolismo naturale e soprannaturale, possono facilmente avviarci alla conoscenza e all’amore di Dio in Cristo. Egli, infatti, «ricercava con maggiore avidità e osservava più volentieri quelle creature nelle quali potesse cogliere qualche speciale analogia allegorica relativa al Figlio di Dio».
Così, ad esempio, la tenerezza che il Santo provava alla vista di un agnello era semplicemente dovuta al fatto ch’esso gli ricordava simbolicamente «l’Agnello mitissimo che volle essere ucciso per redimere i peccatori». La sua preoccupazione di liberare certi volatili imprigionati nelle trappole era mossa dal fatto che essi gli ricordavano «quegli uccelli così innocenti che, nelle Sacre Scritture, rappresentano le anime caste, umili e fedeli» che rimangono impigliate nelle insidie del demonio. Possiamo allora capire il profondo movente del Cantico delle creature, poema tanto frainteso quanto celebrato. Esso non intende promuovere un’idolatrica venerazione per “madre natura”, né annullare l’umana superiorità in una sorta di egualitario “erotismo cosmico”, ma intende semplicemente riaffermare la bontà intrinseca delle realtà terrene in quanto creature, ossia in quanto opera di Dio; queste sono celebrate come “teofanie” la cui intrinseca sacramentalità manifesta la divina bontà e permette all’uomo di contemplare, nella loro bellezza creata, la Bellezza increata. Giustamente san Giovanni della Croce affermò che qui Francesco «colse nella varietà del creato e nelle opere di Dio una musica silenziosa, una incomparabile armonia che supera tutti i concerti di questa terra» [...].
Quanto al preteso vegetarianismo del Santo, numerosi simpatici episodi testimoniano il contrario. Fra Ginepro, ad esempio, ci descrive Francesco mentre, ansioso di ristorare con carne di maiale un frate ammalato, insegna ai suoi compagni che «i porci sono stati creati ad uso dell’uomo»; in un altro aneddoto il Serafico, citando una disposizione della sua Prima regola, invita i discepoli a nutrirsi della carne che avevano ricevuto in elemosina, esclamando allegramente: «Come dice il Vangelo, mangiamo liberamente il cibo che ci viene apparecchiato!».
Anzi, egli soleva rallegrare le festività natalizie con un pranzo a base di carne, e si giustificava dicendo pittorescamente: «Quando è Natale, non vi sono astinenze che tengano! E se i muri potessero mangiare carne, bisognerebbe darla in pasto anche a loro!».
Insomma, non solo Francesco non ha mai condannato il consumo di carni o la caccia o l’impiego degli animali per l’umano vantaggio, ma anzi ammetteva che l’uomo ha pieno diritto di usufruire austeramente del creato, per il semplice fatto che animali, piante e minerali sono stati creati dalla divina Provvidenza al servizio del re del cosmo: «Ogni creatura dice e grida all’uomo: o uomo, Dio mi ha fatto per te!».  

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