FEDE E SCIENZA
La Luce in fondo al tunnel
dal Numero 20 del 21 maggio 2023
di Antonio Farina

L’universo non ha l’essere in sé né si spiega da se stesso, ma ha bisogno di Dio. Partendo dalle teorie più recenti che riguardano il futuro dell’universo, vediamo come le prospettive siano piene di speranza per il ritorno del Redentore. Non sarà il trionfo della morte “termica” del cosmo ma il trionfo di Cristo, alfa e omega di tutta la Creazione.

Se si interroga un qualsiasi dizionario della lingua italiana o un’enciclopedia troviamo la seguente definizione di cosmologia: «La cosmologia è la scienza che ha come oggetto di studio l’universo nel suo insieme, del quale tenta di spiegare in particolare origine ed evoluzione. In tal senso essa è strettamente collegata con la cosmologia intesa come branca della filosofia» [1]. E in effetti i primi “cosmologi” sono stati i filosofi della natura e gli astronomi del mondo antico. Nel mondo occidentale le prime teorie cosmologiche, pur sorte in un contesto di credenze religiose, presentavano anche alcuni fondamenti scientifici. Restano famosi i risultati dei grandi pensatori greci: Anassimandro, Aristotele, Platone, Ipparco, ecc., e la principale teoria comunemente accettata era quella geocentrica: la terra posta al centro dell’universo. Il suo autore fu Claudio Tolomeo nel II secolo d.C., per cui essa è nota come Teoria tolemaica. Non tutti però erano d’accordo con Tolomeo: Aristarco da Samo per primo sostenne che invece era la terra che ruotava intorno al sole. Oggi la questione è risolta e l’astronomia moderna si è affrancata da questi dubbi “esistenziali”. 
I telescopi terrestri e spaziali, i satelliti, le sonde automatiche che a centinaia sono state spedite per esplorare la luna, il sole e i pianeti del sistema solare hanno restituito un quadro del cosmo chiaro e coerente per cui si parla di “modello standard” della cosmologia. Questo però non vuol dire che si sia capito tutto o che si sappia tutto. Al contrario l’universo rimane un mistero scientifico intrinseco sia per la sua genesi che per il suo evolversi nel tempo. Non sappiamo con certezza quale sia la sua “geometria”, cioè se abitiamo un universo euclideo a curvatura nulla come quella di un foglio di carta piatto, oppure se invece sia presente una curvatura spazio-temporale su larga scala. 
Nel primo trentennio del 1900 un grande impulso alla comprensione dell’universo è arrivato dalla Teoria della Relatività generale di Einstein, dalle osservazioni dell’astronomo inglese Edwin Hubble scopritore della recessione delle galassie, e dalla elaborazione teorica di molti cosmologi come per esempio il fisico e presbitero belga Georges Edouard Lemaître: l’universo e tutte le cose che esso contiene non sono eterni. È molto probabile che lo spazio-tempo-energia-cariche abbia avuto un inizio (t=0) circa 13,8 miliardi di anni fa. Niente di scientificamente sensato però si può affermare di quanto sia accaduto proprio nell’istante t=0 perché cessano di essere valide le espressioni matematiche delle teorie cosmologiche. In base agli esperimenti effettuati nei grandi acceleratori di particelle, e in virtù della Relatività generale, sembra verosimile che qualche tempo dopo l’inizio di tutto, la struttura spazio-temporale abbia subito una rapidissima dilatazione nota comunemente con il termine (alquanto impreciso) di “Big Bang”. Questo nomignolo fu coniato dallo scienziato Fred Hoyle nel 1949 durante un programma radiofonico sulla BBC. 
L’intento di Hoyle era evidentemente faceto, umoristico se non addirittura dispregiativo nei confronti della teoria espansionista perché egli era sostenitore della stazionarietà dell’universo e non riusciva a concepire una sua “espansione”. Sicuramente si tratta di una definizione infelice e fuorviante perché lascia immaginare una sorta di immane, primordiale, super energetica esplosione avvenuta in un punto particolare dello spazio siderale. Ma il modello standard non prevede questo. Esso ipotizza che in t=0 sia iniziata l’esistenza fisica stessa dello spazio-tempo (il contenitore), dell’energia-materia e delle cariche che sono il suo contenuto. Questo scenario ha una grande importanza euristica perché implica la non esistenza di un particolare “centro” dell’universo, ma “tutto è esploso dovunque”. Conviene piuttosto immaginare il Big Bang come una grande “dilatazione” in quattro dimensioni del tessuto spazio-temporale simile e analoga a quella bidimensionale della superficie di un palloncino che si gonfia. Inoltre le condizioni iniziali sono fissate in modo preciso e ordinato: l’universo neonato iniziò a espandersi con una entropia nulla, cioè con una precisione quasi infinita di tutti i parametri e con velocità elevatissima a partire da curvatura, temperatura e densità estreme. Tutto ciò non trova una spiegazione scientifica perché teoricamente i valori iniziali potevano avere un valore arbitrario. Dopo un lasso di tempo di pochi secondi il quadro fisico-chimico generale diventa via via più comprensibile: in particolare c’è una buona corrispondenza dell’abbondanza cosmica degli elementi leggeri come l’idrogeno e l’elio con i valori previsti in seguito al processo di nucleosintesi primordiale [2]. Con il diminuire della temperatura, gli atomi ionizzati (plasma) hanno iniziato a diventare neutri e presumibilmente 380.000 anni dopo il Big Bang è avvenuto quello che gli studiosi hanno definito il “disaccoppiamento” della materia dalla radiazione e l’universo è diventato trasparente. Nasce così la radiazione cosmica di fondo (CMBR) osservata effettivamente da scienziati statunitensi negli anni ’60. Questa teoria “fisico-cosmogonica” è accettabile e attrattiva anche da un punto di vista religioso perché è in linea e non contraddice l’evento metafisico della Creazione da parte di Dio di tutte le cose visibili e invisibili. Sempre con fini speculativi e certamente senza la pretesa di predire avvenimenti futuri – una capacità che la scienza intrinsecamente non possiede – la cosmologia avanza anche alcune ipotesi su come potrebbe avvenire la “fine” dell’universo, intendendo con questo delineare scenari (cioè proiezioni) plausibili. Due possibilità vanno per la maggiore: la teoria del Big Freeze o della “morte termica” e quella del Big Rip. Stante le teorie attuali il “destino finale” dell’universo è segnato dal valore del parametro relativistico ? “densità di materia-energia” del cosmo. La maggior parte delle prove finora raccolte basate su misurazioni della velocità d’espansione, della densità di materia visibile ed oscura, dell’energia oscura e sull’analisi della radiazione cosmica di fondo, suggeriscono che l’universo sia “piatto” cioè dotato di geometria euclidea. Questo vuol dire che non collasserà gravitazionalmente sotto il suo stesso peso, cioè non “ricadrà su se stesso” annichilendosi. In verità qualche dubbio è stato sollevato nel 2019 da studiosi italiani che hanno riesaminato i dati raccolti dal satellite Planck e sembra che ci sia una qualche incongruenza ancora non ben chiarita. Un fatto è certo: la temperatura dello spazio sta diminuendo e il Big Freeze è uno scenario quasi ineludibile per cui l’universo diventerà troppo freddo per sostenere la vita. Tale teoria è sostenuta (almeno per quanto riguarda l’universo osservabile) dalla maggioranza dei fisici e dei cosmologi. Il cosmo raggiungerà uno stato di massimo disordine in cui tutto sarà omogeneo e senza differenze di temperatura. Ma quanto tempo dovremo aspettare perché tutto questo si verifichi? Per dovere di cronaca si riportano di seguito anche delle cifre, risultati dei modelli matematici:
- fra 100mila miliardi (sic!) di anni tutte le stelle si saranno raffreddate;
- fra 1 milione di miliardi di anni tutti i pianeti si saranno separati dalle stelle;
- fra 10 miliardi di miliardi di anni la maggior parte delle stelle si sarà separata dalle galassie;
- fra 100 miliardi di miliardi di anni le orbite di ogni tipo saranno decadute a causa delle onde gravitazionali... poi a distanza di tempo esorbitante ci sarà il decadimento del protone (se le teorie di grande unificazione sono giuste!), poi i buchi neri stellari evaporeranno in base al processo di Hawking, infine tutta la materia degenerata sarà quasi allo zero assoluto... 
La materia e l’energia si dissolveranno anch’esse, i buchi neri assorbiranno il restante, evaporando poi tramite la radiazione di Hawking; solo i fotoni continueranno ad esistere, senza gravità. Alcuni scienziati che accettano tale modello arrivano ad affermare che il tempo si “fermerà” (nel senso che non ci sarà più evoluzione dei sistemi) e si annulleranno i riferimenti delle distanze [3].
Queste idee puramente speculative si basano sulla costante di Hubble, ed è sostenuta da molti fisici, tra cui Alexei Filippenko, uno degli scopritori dell’energia oscura [4]; se quest’esito che fa rabbrividire ci può apparire conturbante (ed anche alquanto funesto), è ancora poco rispetto a quanto prevede la teoria del grande “strappo”, il Big Rip. Nel 2003, la rivista inglese New Scientist pubblicò un articolo di Robert R. Caldwell, Marc Kamionkowski e Nevin N. Weinberg in cui essi, in base ad alcune osservazioni, facevano l’ipotesi che la fine dell’universo possa avvenire come un “grande strappo finale” che distruggerebbe, disgregandola, la struttura fisica dell’universo. Concordando sul fatto che la vita come la intendiamo noi non potrà comunque esistere, in questo modello la costante cosmologica causerebbe un’accelerazione del ritmo di espansione dell’universo talmente enorme che ogni oggetto fisico dell’universo sarà alla fine fatto a pezzi e quindi ridotto a particelle elementari non legate tra loro. Lo stato finale sarà quindi una specie di “gas” di fotoni, leptoni e protoni (o solo i primi due, se il protone decade) che diventerà sempre meno denso e consistente. Le implicazioni possono essere le stesse del Big Freeze: un universo freddo e inerte per sempre. 
Ad onor del vero, recentemente si è aperto un dibattito fra gli studiosi: molti fisici ritengono che tale scenario non si verificherà mai poiché l’energia oscura non supera di così tanto la gravità. Se, come in precedenza, si vuol dare un ordine agli eventi, possiamo dire che i primi a sparire saranno gli ammassi di galassie. Le velocità di recessione tra le galassie, infatti, diventeranno maggiori di quelle che la forza di gravità può sopportare e le singole componenti si disperderanno. L’ammasso cesserà di esistere come oggetto gravitazionalmente legato. Successivamente, aumentando ancora il tasso di espansione, si raggiungerà una velocità tale da disgregare anche le singole galassie; stelle e gas verranno dispersi nello spazio. È plausibile che 60 milioni di anni prima dell’evento finale, anche la nostra via lattea sarà smembrata. Poi toccherà alla terra e all’intero sistema solare già duramente provati, se non distrutti, dalla fine del sole. Sarà solo questione di tempo prima che il tasso di espansione raggiunga livelli così elevati da distruggere anche atomi e molecole legate dall’interazione elettromagnetica. Siamo arrivati alla fine: l’universo diventerà un luogo completamente buio e morto, composto solamente da particelle elementari (quark, elettroni), che a causa dell’espansione dello spazio non potranno in alcun modo interagire. Che dire: coerentemente con la Teoria dei sistemi, l’universo che ci circonda è visto come un sistema fisico isolato: dato uno stato iniziale, il sistema evolve secondo leggi matematiche differenziali. Senza dubbio l’escatologia fisica dell’universo e della terra (irrimediabilmente incendiata dagli ultimi sussulti del sole) appaiono come un trionfo della morte e una caduta nel vuoto quantistico. La scienza ha questo limite: manca di una visione teleologica della Creazione, manca cioè di una visione finalistica di tutto ciò che esiste. La fede al contrario colma questo vuoto, lo sostanzia di speranza e ci prospetta un futuro diverso. 
San Pietro, primo successore di Cristo, vede ben oltre gli eventi fisici finali: «Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quale deve essere la vostra vita, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia [...]. Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall’errore degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell’eternità. Amen!» (2Pt 3,10-17). 
L’Apocalisse cristiana apre al trionfo della vita e non della morte; il trionfo di Cristo, l’alfa e l’omega di tutta la Creazione: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,1-2). Il servo di Dio don Dolindo Ruotolo, con la sua consueta irruenza, stigmatizza la miopia spirituale di una scienza chiusa alla trascendenza che non rende giustizia al quinto Dono dello Spirito Santo da cui proviene. Così commenta la pericope evangelica che recita: «Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito» (Lc 11,52). Dice don Dolindo: «Nell’epoca che per feroce ironia si chiamò e si chiama dei lumi, noi in realtà non abbiamo acceso che pochissime candele fumiganti, poste sotto il moggio, cioè al piano della terra. Non fa meraviglia, perciò, se a questa generazione sia ostico il soprannaturale e che si getti a capofitto nel baratro delle più banali e cervellotiche trovate dei più stupidi mestatori. Viviamo in mezzo alla splendente luce della Chiesa e dei suoi santi, ma vediamo tenebre dovunque, perché l’occhio nostro, interiore ed esteriore, è impuro». 
Dunque in una interpretazione olistica del reale, tutto, passato presente e futuro dell’umanità nonché della stessa Creazione si spiegano, si rendono comprensibili e non contraddittori solo se li si radica nella persona di Nostro Signore. Lo dice bene san Paolo: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16). Il riduzionismo pseudoscientifico deborda nella biologia e provoca – ahimè – una triste conseguenza: anche gli esseri viventi sempre più spesso vengono considerati come meri “sistemi biologici” e gli eventi finali della vita declassati ad inevitabili conseguenze di princìpi fisici soggiacenti. Quando il “disordine” interno alle cellule supera un certo limite, oppure intervengono eventi esterni come infezioni, malattie, incidenti, ecc., allora subentra lo stato di morte. Entro un siffatto quadro intellettuale la morte biologica è considerata come un indesiderato, tragico, fatale, inevitabile “corollario” del secondo principio della termodinamica e niente di più. Una Weltanschauung (o concezione del mondo) che sfocia inevitabilmente nell’antropologia immanente che si è propagata un po’ dovunque: nella cultura, nell’insegnamento, nelle ideologie, nella filosofia e perfino nell’ordinamento giuridico delle società. Si genera così un conflitto interno penoso e insanabile: da un lato c’è la (comprensibile) aspirazione a voler dominare la realtà, dall’altro la presenza ineludibile del dolore e della morte che vanificano ogni sforzo e frustrano ogni ambizione e desiderio d’immortalità. Le conseguenze in campo umano e sociale sono nefaste: l’approvazione legale dell’eutanasia, del suicidio assistito (in Europa), di tutto ciò che può rappresentare un impossibile, utopico, velleitario scacco alla morte [5]. Sul versante filosofico le cose non vanno meglio: il neopositivismo approda alle infide sponde del transumanesimo il quale millanta un futuro di “immortalità informatica” mediante un ipotetico, sinistro e conturbante connubio tra l’uomo e la macchina. 
Dietro a tutto ciò c’è qualcosa di più che un’illusoria e fallace chimera, viceversa vi affiora un intento subdolo, truffaldino, specioso, irragionevole perfino, perché la scienza non salva. La ragione senza la fede partorisce mostri, aborrisce la morte e non è in grado di decifrarne il senso, né di sfiorarne il mistero. Dalla sponda quasi deserta della religione, invece, ci giungono le parole sorprendenti e piene di speranza di Cristo Nostro Signore: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,5). Sono le parole del Vincitore della morte: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). 
La Sapienza che discende dal Cielo ci svela orizzonti radiosi: «Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità» (Sap 3,1-4). 
Per ultimo consideriamo quei casi di cronaca che riportano i cosiddetti stati di pre-morte o di pre-morienza. I resoconti sono simili e si rassomigliano molto l’uno all’altro: la sensazione di trovarsi fuori dal proprio corpo, di percorrere un lungo tunnel alla fine del quale si intravede una luce abbagliante, come mai si era potuta vedere sulla terra. Qualcuno dice di aver incontrato i propri cari defunti e di aver avuto modo di parlare con essi. I medici naturalmente minimizzano e archiviano i fenomeni riportati come fatti onirici, allucinazioni indotte dai farmaci o come effetti collaterali del coma. Forse è così. Ma la fede una spiegazione può darcela: in fondo al Tunnel c’è una grande Luce. Una Luce con la “L” maiuscola. Una Luce che da Inaccessibile si fa accessibile, una sorgente di amore infinito, di una pace soprannaturale, piena di una speranza che non si macchia e non si corrompe. Alla fine del tunnel c’è Dio. Egli ci aspetta per donarci un’eternità di ineffabile gaudio, un giorno che non tramonta mai. La fede ci riempie, ci sostanzia, ci nutre di fiducia illimitata, fornisce quelle risposte che nessun mortale ci può dare, ci chiama ad una felicità che non alberga su questa terra e in nessun altro luogo se non nel Cuore palpitante dell’Eterno Dio. 
Durante un’omelia tenuta da un padre francescano minore in occasione delle esequie di un defunto, ad un auditorio, mesto, afflitto e addolorato per la perdita del caro congiunto, furono affidate queste inaspettate parole: «Di fronte alla morte si può reagire in tre modi, con tre azioni, con tre verbi che, per coincidenza, cominciano tutti e tre con la lettera “R”. Si può reagire alla morte con la Ribellione, si può reagire alla morte con la Rassegnazione, ma se si crede veramente in Cristo... si può reagire alla morte con la Risurrezione».  

Note
1)  HYPERLINK "https://it.wikipedia.org/wiki/Cosmologia" https://it.wikipedia.org/wiki/Cosmologia (astronomia)

2) Stephen Hawking, Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, Rizzoli, Milano 1998.

3) Walter Ferreri, Pippo Battaglia, Margherita Hack, Origine e fine dell’universo.

4) https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_ultimo_dell%27universo#

5) Si rammenta, al riguardo, l’ottimo film di Ingmar Bergman: Il Settimo Sigillo.
 

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits