Federico e Amelia Abresch sono molto noti a Bologna alla fine degli anni ’20. Lui, di origine svizzera, protestante, si è fatto cattolico solo per far piacere alla moglie, ma rimane indifferente alla religione. Lei, dopo le nozze, si ammala. Tentate tutte le vie della scienza medica, Federico va da padre Pio per chiedere aiuto per la moglie e torna convertito. Poi porta la moglie dal Padre che guarisce. I due coniugi lasciano Bologna e vanno a vivere definitivamente a San Giovanni Rotondo, vicino al loro benefattore.
Fece il viaggio nel novembre del 1928 e tornò a casa completamente cambiato. Racconterà in una sua memoria: «Avevo da pochi anni lasciato il protestantesimo ed ero passato al Cattolicesimo, ma non avevo fede. Trovai un amico che mi introdusse nei misteri dello spiritismo. Stanco però ben presto anche di questi inconcludenti messaggi d’oltretomba, mi portai con fervore nel campo occultistico, magie di tutti colori, ecc. Feci poi la conoscenza di un signore che, con aria misteriosa, dichiarò di essere in possesso dell’unica verità: “La Teosofia”.
Il primo incontro con padre Pio mi lasciò un po’ freddo, perché mi rivolse solo poche parole asciutte, mentre mi aspettavo un’accoglienza più affettuosa se non altro come premio del sacrificio del lungo viaggio.
Il giorno dopo mi inginocchiai al confessionale, al tribunale di Dio. Tralascio tutti i particolari e riassumo solo quello che ha il carattere del soprannaturale, del divino. Padre Pio mi fece capire che nelle precedenti confessioni avevo taciuto alcune cose gravi e mi chiese se ero in buona fede, al che risposi che io la Confessione la ritenevo buona istituzione sociale, educativa, ma non credevo affatto nella divinità del Sacramento. Ma, già scosso per le impressioni avute, soggiunsi: “Ora però, Padre, io credo”. Il Padre intanto, con espressioni di grande dolore, mi diceva: “Eresia, quindi tutte le sue Comunioni erano sacrileghe... bisogna fare la Confessione generale, faccia l’esame di coscienza e si ricordi quando si è confessato bene l’ultima volta. Gesù è stato più misericordioso con lei che con Giuda”.
La mia testa era un turbine e non riuscivo a fermare i pensieri. Sentivo sempre nelle orecchie: “Si ricordi quando si è confessato bene l’ultima volta”. A stento riuscii a prendere questa decisione: volevo dirgli che ero protestante e malgrado dopo l’abiura fossi stato ribattezzato, e quindi cancellati per virtù del santo Battesimo tutti i peccati della vita passata, tuttavia, a mia tranquillità, la confessione volevo cominciarla dall’infanzia.
Quando il Padre tornò al confessionale mi ripeté la domanda: “Dunque, quando si è confessato bene l’ultima volta?”. Risposi: «Padre, siccome io ero...», ma il Padre m’interruppe, dicendo: “Bene, lei si è confessato bene quella volta quando è tornato dal viaggio di nozze. Lasciamo tutto il resto e cominciamo di qui”. Io rimasi senza parola, con commosso stupore capii che avevo toccato il soprannaturale, ma il Padre non mi lasciò tempo di riflettere e, nascondendo la conoscenza di tutto il mio passato, sotto forma di domande, enumerava con precisione e chiarezza tutte le mie colpe, precisando anche il numero delle Messe perdute.
Umanamente il Padre non poteva sapere che io feci il viaggio di nozze, e che appunto la Confessione da me fatta dopo di questo era veramente fatta bene. In realtà fu proprio così. Il giorno dopo che tornai dal viaggio, mia moglie mi espresse il desiderio che entrambi ci accostassimo ai Santissimi Sacramenti, e aderii. Per la Confessione mi recai dal medesimo sacerdote che mi aveva preparato per l’abiura e questo, sapendo che io ero una nuova pecorella e quindi poco pratico, mi aiutò con domande, ed ecco perché feci bene la Confessione. Rimasi sbalordito nel sentirmi dire da padre Pio cose che io stesso avevo dimenticato».
Rientrato a Bologna, il signor Abresch decide di portare da padre Pio anche la moglie. Ormai aveva piena fiducia nel religioso.
Renzo Allegri,
Padre Pio. Il Santo dei miracoli,
pp. 248-250