RELIGIONE
Vita di una santa “immensa”
dal Numero 09 del 27 febbraio 2022
di Cristina Siccardi /1

Debole di costituzione e molto provata fisicamente sin da bambina, santa Ildegarda crebbe conservando sempre una grande forza spirituale. Le rivelazioni celesti e la stima degli uomini non la invanivano, le tribolazioni e persecuzioni terrene non l’abbattevano, perché viveva sempre tesa unicamente all’unione con il suo Signore, di cui era umile voce.

Santa Ildegarda di Bingen apparteneva ad un nobile casato di proprietari terrieri tedeschi: ultima di dieci fratelli, nacque da Ildeberto di Bermersheim e Matilda di Vendersheim, nel paese di Bermersheim vor der Höhe dell’Assia Renana, nell’estate del 1098 di un giorno imprecisato, un anno prima che i crociati conquistassero Gerusalemme. Fu una bambina diversa da tutte le altre e ne era pienamente cosciente, fin dalla più tenera età, chiamata alla vita, perché nella cristianità fede e giustizia davano segni di cedimento, come lei stessa lascerà scritto nelle sue note autobiografiche, riportate dai suoi primi biografi, i monaci benedettini Goffredo e Teodorico: 

«La sapienza nella luce dell’amore mi insegna e mi comanda di dire come io sia stata posta in questa visione. E non sono io a dire queste parole, ma la vera Sapienza le dice di me e così mi parla: “Ascolta, o creatura, queste parole e dille, non secondo te, ma secondo me; e istruita da me, così parla di te”: nella mia prima formazione, quando Dio, nel grembo di mia madre mi chiamò alla vita, scolpì nella mia anima questa visione. Infatti nel 1100 dopo l’incarnazione di Cristo, la dottrina degli apostoli e l’ardore della giustizia, patrimonio dei cristiani e degli spirituali [ecclesiastici], incominciò a languire e si faceva vacillante. Sono nata in quei tempi e i miei genitori con gemito [tra i sospiri] mi consacrarono a Dio [...]» (1).

Erano trascorsi cento anni dalle attese catastrofiche del millenarismo, quando la paura rapì l’umanità credendo che sarebbe giunta la fine del mondo. Il fluire del tempo e della storia, invece, avevano continuato la loro corsa e il «mondo naufrago», come lo definiva Ildegarda, proseguiva le sue battaglie fra il bene ed il male. Ecclesiastici peccatori inquinavano la Chiesa e da ogni angolo si invocava la sua riforma perché eresie, sete di potere, corruzione dottrinale e corruzione morale la contaminavano. 

Non c’è aspetto della vita, nel periodo compreso fra l’XI e XIII secolo, che non abbia subìto un rilevante miglioramento; con il Sacro Romano Impero, finito il panico di un’imminente fine del mondo, tutto prese vigore nella Christianitas (questo il modo di definire l’Europa, termine coniato dall’imperatore Federico II, 1194-1250) e si avviarono, potremmo dire, “cicli produttivi” prodigiosi: nella cultura come nella religione (pensiamo al pensiero teologico), nella spiritualità (gli Ordini religiosi contemplativi e mendicanti innescarono un circolo virtuoso all’interno delle stesse comunità civili) come nell’arte, nell’artigianato come nei commerci.

I medioevalisti parlano di «rivoluzione» demografica, agraria, feudale, commerciale, artigianale, urbana, intellettuale, ma il termine rivoluzione è di per sé fuorviante: sarebbe più consono parlare di un’Europa cristiana che sprigionò tutte le energie accumulate nei secoli precedenti.

È questa l’epoca in cui si innalzarono le cattedrali gotiche, svettanti al cielo, sia nel loro interno, con gli spazi aperti verso l’alto, sia all’esterno, con i pinnacoli. Il gotico caratterizza una fase importante della storia dell’arte occidentale e la sua nascita ufficiale viene identificata con la costruzione del coro dell’abbazia di Saint-Denis a Parigi, consacrata nel 1144 e realizzata dall’abate francese Sugerio (1080/1081-1151) dell’Ordine cluniacense, coevo di santa Ildegarda e definito «architetto della luce». Paradigmatica l’epigrafe che l’Abate fece incidere sulla porta di bronzo della stessa Saint-Denis: «Per mezzo della bellezza sensibile, l’anima intorpidita si eleva verso la vera Bellezza e, da luogo ove giaceva sonnolenta, risuscita verso il cielo contemplando la luce di questi splendori». Di splendori si contornò, come vedremo in questo spazio a lei dedicato lungo le settimane, santa Ildegarda.

Monaci e monasteri hanno smesso da circa tre secoli di far parte della vita ordinaria degli europei. Non hanno cessato di esistere, ma non fanno più parte del cuore pulsante delle campagne e delle città del continente più ricco di storia, di arte e di cultura del mondo perché più ricco di spiritualità cristiana, quella spiritualità che tutto tende a nobilitare, anche i servizi più umili.

Il nome Ildegarda significa «colei che è audace in battaglia» e battaglia veramente fu per lei, dall’inizio alla fine della sua esistenza, che si chiuse ad 81 anni. La sua vita e le sue opere sono state trasmesse lungo i secoli e della sua presenza c’è ancora traccia nella devozione dapprima locale, fortemente radicata, ed oggi universale. Da rilevare che la chiesetta dove venne battezzata è ancora oggi presente e la gente vi si reca per pregarla, come pure presso la sua sepoltura, nell’abbazia benedettina di Santa Ildegarda a Eibingen nel comune di Rüdesheim in Assia, eretta nel 1904 sul modello dell’abbazia di San Gabriele a Praga, quale successione del monastero di Rupertsberg e della chiesa di Santa Ildegarda di Eibingen, fondati dalla Santa.

Resti murari della tenuta della nobile famiglia di Bermersheim sono ancora oggi visibili; essa era all’epoca inglobata fra mura di protezione che circondavano anche le case dei contadini, gli alloggi per la servitù, le stalle per gli animali, i granai, i magazzini e le dispense. Il nobile Ildeberto era il capo di una grande famiglia, il quale assicurava ad ogni membro sostegno economico, organizzazione, ordine, amministrazione. Nella casa paterna Ildegarda era causa di grande preoccupazione: 

«Soffriva ripetutamente, fin dall’infanzia, di malattie atroci, tanto che solo raramente riusciva a camminare. Ed essendo il suo corpo ininterrottamente soggetto a oscillazioni, la sua vita aveva l’aspetto d’un raro morire» (2). 

Lungo l’arco della sua immensa esistenza, rimase inferma nel letto e per lunghi periodi, anche anni; Ildegarda si diede sempre spiegazione di tutto ciò affermando che Dio, a volte, la puniva perché non agiva con tempestività agli inviti divini, inoltre quelle malattie, diceva, avevano il potere di mantenerla nell’umiltà. Durissime erano poi le lotte contro i demoni, mentre angeli, cherubini e santi andavano a confortarla nei momenti più tribolati. 

«Così si comportava la vergine fedele a Dio, tra vicende contrarie e vicende favorevoli, per cui non si inorgogliva in quelle favorevoli né si abbatteva in quelle contrarie; ma, conservando sia in un caso che nell’altro la medesima forza d’animo, non si lasciava scuotere dal biasimo, né si esaltava per la lode. Aveva l’animo teso, come un arco, alla piena disciplina» (3).

Sopraffatta dalla spossatezza e dalla mancanza di energie, Ildegarda era spesso costretta a letto anche nell’infanzia, tuttavia la vita ha sempre vibrato in lei e la brama di conoscere la realtà del Creato l’hanno mossa a ricerche e speculazioni personali che giungevano dalla saldezza della scienza in lei infusa, sia quella teologica che delle realtà visibili. Straordinaria e splendida la sua esperienza mistica: non cadeva in estasi, le sue visioni si rivelavano mentre lei era sempre cosciente a se stessa: 

«Tutto quello che vedo e apprendo nelle visioni, lo conservo nella memoria per lungo tempo, cosicché ricordo ciò che una volta ho visto; e contemporaneamente vedo, ascolto e apprendo, e quasi nello stesso momento ciò che apprendo lo comprendo; ma quello che non vedo non lo so, perché sono incolta e a malapena so leggere. Le cose che scrivo delle visioni le ho viste e udite; e non aggiungo altre parole oltre a quelle che sento e che riferisco, in un latino imperfetto, come le ho scritte nella visione; poiché nelle mie visioni non mi si insegna a scrivere come scrivono i filosofi, e le parole udite nella visione non sono come quelle che risuonano sulla bocca degli uomini, ma come fiamma che abbaglia o come una nube che si muove nella sfera dell’aria più pura» (4).

L’incolta che divenne dotta per volontà divina, divenne testimonianza della perfetta sintonia tra Fede e scienza, tra Sapienza divina e conoscenza umana, quindi dimostrazione plastica dell’immagine di Dio Uno e Trino impressa negli umani. Quando Ildegarda parlava e scriveva, infatti, era riverbero del soprannaturale nello stato di natura, constatazione ancora oggi verificabile nel leggere i suoi testi, densi di cognizione, di spiritualità, di ferma consapevolezza della realtà tutta intera, razionale e sovrarazionale.

Abitante del Regno di Dio, Ildegarda veniva illuminata dalla «Luce vivente» e tutto le veniva chiarito per esternare al prossimo il reale nella sua semplice (la Verità rivelata è semplice) complessità (la poliedricità delle cose e degli esseri creati).

Dovette sempre sopportare il suo fragile corpo, ma se le mancava l’energia fisica, non venne mai meno quella mentale e quella spirituale, costantemente visitata dallo Spirito Santo, fin dall’alba della sua vita: «Nel terzo anno di vita vidi una luce talmente intensa da far tremare la mia anima, ma essendo ancora troppo piccola non potevo esprimermi in proposito» (5).

A cinque anni iniziarono le visioni che si verificheranno sempre con la sua piena coscienza, senza mai cadere nel rapimento d’estasi.

«Le visioni che vidi non le ebbi nei sogni, né dormendo, né in momenti di frenesia, né con gli occhi e le orecchie del corpo, né in luoghi nascosti, ma da sveglia, con la mente chiara, guardandomi intorno con gli occhi e con le orecchie dell’uomo interiore, in luoghi aperti, in conformità alla volontà di Dio. Come ciò possa avvenire in una persona è difficile indagare». A noi basta conoscere i segreti della vita e dell’altra vita attraverso un Dottore della Chiesa del calibro di santa Ildegarda, magnifica interprete della cultura medioevale, aperta allo spirito ed alla libertà conseguente alla subordinazione a Dio, subordinazione che permette di essere liberi dalla seduzione della materia e dai poteri umani. 

Ella si sentiva umile «tromba di Dio». Ma è pur vero che lo strumento che l’esecutore sceglie ha una sua valenza: la musica di Beethoven acquista valore e incanto se proviene da un pianoforte Steinway & Sons; una sonata di Paganini viene maggiormente ottimizzata se è emessa dalle corde di uno Stradivari. Dio, come strumento a fiato nel mondo scelse Ildegarda di Bingen, che non era di questo mondo. (continua)

 

Note

1) Goffredo e Teodorico monaci, Vita di santa Ildegard, Libro II, cap. I, § 16.

2) E. Gronau, Hildegard. La biografia, Editrice Àncora, Milano 1996, p. 33; C. Siccardi, Ildegarda di Bingen. Mistica e scienziata, Paoline Editoriale Libri, Milano 2012 (5), p. 38.

3) Goffredo e Teodorico monaci, Vita di santa Ildegard, cap. III, § 31.

4) Ildegarda di Bingen, Il libro delle opere divine, a cura di M. Cristiani e M. Pereira, I Meridiani – Classici dello Spirito, Arnoldo Mondadori, Milano 2003, pp. CLX-CLXII.

5) E. Gronau, Hildegard. La biografia, Editrice Àncora, Milano 1996, p. 35.

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