RELIGIONE
Beato Franz Jägerstätter, un martire della coscienza insegna la via da seguire
dal Numero 45 del 5 dicembre 2021
di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino

Quando il vento dell’ideologia nazista inizia a soffiare nel suo paese, Franz ne comprende subito l’anima anticristiana e ne prende le distanze. Ma arriva per lui come per tutti la chiamata alle armi nell’esercito nazista. Disertare significa morire. Cosa fare? La sua risposta, la sua scelta, il suo sacrificio sono di straordinaria lucidità e attualità.

Agosto 1943. Nel carcere militare di Berlino-Tegel, un condannato a morte traccia con mano maldestra le righe seguenti: «Anche se scrivo con le mani incatenate, è meglio che avere la mia volontà incatenata. A volte, Dio si manifesta donando la sua forza a coloro che lo amano e che non pongono le cose terrene al di sopra delle realtà eterne. Né la prigione, né le catene, e nemmeno la morte possono separare qualcuno dall’amore di Dio, strappargli la sua fede e la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile».

Parole di una profondità sconvolgente, oltre che coinvolgente. Ma chi è quel singolare condannato? Si tratta di un martire della fede, beatificato dalla Chiesa Cattolica. Parliamo di Franz Jägerstätter, nato nel maggio del 1907 a St. Radegund, cittadina dove trascorse una giovinezza piuttosto dissipata. Poi, un giorno, rientrato in sé, ricordò le sue radici cristiano-cattoliche. Ne seguì una conversione religiosa intensa che lo portò a cambiare stile di vita. Messa la testa a posto, nel 1936 sposò Franziska Schwaninger, una donna di valore, alla quale la sua vita di fede deve tanto. 

Dal matrimonio nacquero tre bambine. Franz, nel frattempo, era diventato terziario francescano ed aveva anche prestato servizio militare. Ma i tempi erano cattivi. Con l’Anschluss la Germania nazista mise le mani sull’Austria annettendola al Terzo Reich. Il 10 aprile 1938 Jägerstätter votò “no” al plebiscito organizzato in Austria dai nazisti dopo l’Anschluss. Fu l’unico del suo paese ad osare di farlo... Profondamente cattolico, detestava il nazismo pagano e riteneva del tutto ingiustificata la guerra che esso aveva scatenato. 

Scoppiò lo scontro armato e Franz non aveva intenzione di prendevi parte perché non voleva parteciparvi come soldato tedesco. E così, a partire dall’aprile 1941, è deciso a non ottemperare più a una nuova chiamata al servizio nei corpi dell’esercito della Germania nazista. È convinto, dopo una lunga e prudente riflessione, che, se lo farà, peccherà collaborando direttamente a una guerra ingiusta spalleggiando le mire espansionistiche di un regime anticristiano.

La decisione di sottrarsi a una nuova chiamata alle armi gli valse molte critiche nel suo ambiente circostante. Sua madre gli mostrò le tragiche conseguenze da temere per lui e per la sua famiglia. Padre Joseph Karobath, il suo parroco, cercava di tranquillizzarlo sostenendo che poteva, senza peccato, partecipare alla guerra, perché non c’era altra via possibile. Ma – dirà il sacerdote – «Franz mi ha sempre controbattuto citandomi la Scrittura: “Non facciamo il male perché ne venga un bene” (Rm 3,8)». Franz interrogò anche il suo vescovo, mons. Joseph Fliesser che, secondo la sua propria testimonianza, cercava di convincerlo a obbedire alla chiamata alle armi: la questione di sapere se la guerra sia giusta andrebbe oltre la competenza di un semplice cittadino e Franz aveva dei doveri prima di tutto nei confronti della sua famiglia. Ma questa risposta del prelato non soddisfaceva Jägerstätter. 

Intanto il momento fatidico era ormai giunto. Nel febbraio del 1943, due anni dopo aver maturato la sua decisione, arrivò alla fine la chiamata alle armi. Jägerstätter, con coerenza e grande forza d’animo, rifiutò di presentarsi. Quando gli venne ingiunto di trovarsi alla caserma di Enns il 25 febbraio, Franz scrisse a padre Karobath, allora in esilio: «Devo annunciarle che forse perderà uno dei suoi parrocchiani... Poiché nessuno può ottenere che io venga dispensato dal compiere una cosa che metterebbe in pericolo la mia salvezza eterna, non posso cambiare nulla alla mia risoluzione, che lei conosce». Il sacerdote, a questo punto, colpito dalla limpidezza della testimonianza cristiana del suo parrocchiano, comprese la sua posizione e l’approvò.

Franz venne arrestato ai primi di marzo per renitenza alla leva e portato nel carcere di Linz. Qui ricevette la visita di un sacerdote, padre Baldinger, che lo invitava ad accettare la chiamata alle armi. Il prete sosteneva che l’indossare le armi non implicasse un’adesione al regime nazista; si sarebbe trattato soltanto di un atto di obbedienza civile che non avrebbe vincolato la coscienza. Ma Jägerstätter non si lasciò abbindolare.

Fu, per lui, una prova molto dura, una tentazione sottile e logorante perché non solo padre Baldinger ma tutti quelli che lo visitavano – e pure il suo avvocato – lo ponevano di fronte al ricatto morale: “Non pensi alle tue bambine? Che ti costa fingere di giurare? La pena prevista è la morte, lascerai la tua famiglia alla fame e segnata per sempre; sei sicuro che la tua posizione non derivi da orgoglio che tu confondi con la coerenza alla fede religiosa?”. Ma egli, tra le letture quotidiane della Bibbia, aveva presente Eleazaro, quell’anziano ebreo che rifiutò di mangiare carne di maiale al tempo della persecuzione di Antioco: anche a lui avevano suggerito di fingere per salvarsi la vita ma il venerando israelita aveva pensato al cattivo esempio che avrebbe dato ai giovani se avesse ceduto.

È per obbedire a Dio e salvare la propria anima che Jägerstätter seguì il giudizio della sua coscienza la quale, scrive san Bonaventura, è come l’araldo e il messaggero di Dio e ciò che dice non lo comanda da se stessa ma come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l’editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha la forza di obbligare.

Gli intimi pensieri annotati da Jägerstätter durante i suoi ultimi giorni mostrano la sua forza e la sua libertà interiori: «Si cerca sempre di piegare la mia risoluzione adducendo il fatto che sono sposato e ho dei figli. Ma l’aver moglie e figli cambia forse una cattiva azione in una buona? Oppure un’azione diventa buona o cattiva semplicemente perché migliaia di cattolici la compiono? A che cosa serve chiedere a Dio i sette doni dello Spirito Santo, se bisogna comunque praticare l’obbedienza cieca? A che cosa serve all’uomo aver ricevuto da Dio intelletto e libera volontà, se, come si sostiene, non spetta a lui discernere se questa guerra che fa la Germania sia giusta o ingiusta?».

La maniacale esattezza teutonica dei giudici ci permette oggi d’avere un lungo verbale, dove le motivazioni cristiane della condanna a morte sono accuratamente e ripetutamente precisate. In esso, tra l’altro, si legge: «Durante l’interrogatorio, l’imputato ha dichiarato che, se avesse combattuto per lo Stato nazionalsocialista, avrebbe agito contro la sua coscienza religiosa. Nel processo principale ripete la sua dichiarazione e aggiunse che, nel corso dell’ultimo anno, era giunto alla convinzione che, come cattolico credente, non poteva prestare servizio militare; non poteva essere contemporaneamente nazional-socialista e cattolico: ciò era impossibile [...]. La punibilità della sua azione non viene eliminata dal fatto che egli ritenga il suo comportamento necessario secondo la sua coscienza e le sue convinzioni religiose [...]. Per il crimine di renitenza alla leva è prevista la condanna a morte [...]. Per questo è condannato a morte» (in data 6 luglio 1943).

Nessuno fu in grado di infrangere la sua resistenza. E così Franz Jägerstätter fu ghigliottinato il 9 agosto 1943 a Brandeburgo. Papa Benedetto XVI ha riconosciuto ufficialmente il suo martirio il 1° giugno 2007. Vittima del nazismo in odio alla sua fede, è stato beatificato il 26 ottobre 2007.

La visione di fede cristallina e le parole limpide del nostro martire raggiungono tutti noi, inoculando nelle nostre anime, malate di attaccamento a questa vita ed incapaci di potenti slanci di fede e carità, un vigore soprannaturale benefico: «Cristo vuole da noi una professione aperta di fede, come Hitler la vuole dai suoi. Forse che si può servire a due padroni nello stesso tempo?».

Durante la Settimana Santa del 1943, pochi mesi prima della morte, così scriveva alla moglie: «Proprio questa settimana ci deve dare coraggio e forza. Cosa sono, infatti, i nostri piccoli dolori rispetto a ciò che ha patito Cristo? Se fosse volere di Dio che in questo mondo non possiamo più festeggiare una Santa Pasqua nel calore della famiglia, aspettiamo con gioiosa fiducia quando sorgerà l’eterna mattina di Pasqua, alla quale nessuno della nostra famiglia dovrà mancare». Dopo l’esecuzione venne consegnata alla famiglia la brutta copia dell’ultima lettera: «La più grande preghiera che devo rivolgervi è di educare le bambine come cattoliche devote, per quanto possibile. Posso dirvi, per esperienza personale, quanto sia penoso essere un mezzo cristiano: è più un vegetare che un vivere».

Padre Kreutzberg, cappellano del carcere di Berlino che conobbe Franz durante i suoi ultimi giorni, si chiederà dopo la sua dipartita: «Da dove viene la forza di carattere di quest’uomo semplice? Le sue lettere mostrano quanto egli vivesse delle grandi verità della sua fede cattolica: Dio, il peccato, la morte, il giudizio, l’eternità, il cielo e l’inferno; queste verità che aveva ricevute durante le omelie parrocchiali della domenica. In particolare, il pensiero dell’eternità e delle gioie del Cielo è stato per lui un grande aiuto e una preziosa consolazione nelle sue sofferenze e nel doloroso addio alla sua famiglia».

I mesi di carcere e quelli dopo la morte di Jägerstätter, dovuta proprio alla sequela intransigente della volontà di Dio, furono uno strazio per la moglie appena trentenne con tre figlie piccole da crescere: la gente smise di aiutarla nei campi, le bimbe venivano schernite e isolate, il partito le tolse ogni sussidio economico. Ma prima di morire, a sua moglie e a sua madre (che a differenza della devota sposa cercò di opporsi alla sua scelta), il Beato scrisse: «Avrei tanto voluto risparmiarvi questa sofferenza che dovete sopportare per causa mia. Ma sapete quello che ha detto Cristo: “Chi ama suo padre, sua madre, sua moglie e i suoi figli più di me non è degno di me” (cf. Mt 10,37)». 

 

Cosa c’entra tutto questo con l’oggi? Benedetto XVI parlò del relativismo come di una dittatura peggiore di quelle del secolo passato: davanti a soprusi e ingiustizie sempre più gravi nessuno si scandalizza più. Ci troviamo, oggi, davanti ad un regime dittatoriale camuffato che pretende obbedienza cieca ai suoi comandi e alle sue imposizioni. Nei confronti di un’autorità refrattaria ai valori e ai diritti fondamentali, inalienabili e universali dei quali dovrebbe essere a servizio, l’appello ad una coscienza formata e conformata alla legge naturale e soprannaturale è doveroso per ciascuno e risulta essere l’istanza ultima cui riferirsi nel naufragio della fede e della ragione a cui assistiamo. Franz Jägerstätter docet. Così fu per lui e così deve essere per noi.

Per quanto riguarda, poi, le indicazioni che provengono dai pastori della Chiesa, quante volte ci si sente dire che bisogna obbedire ciecamente alle autorità per essere buoni cattolici, mettendo di conseguenza in subordine i Comandamenti divini ai quali solo si deve obbedienza assoluta ed incondizionata? Ancora una volta, il martire austriaco ci dice con la sua vita ed il suo sangue che ciò non è vero. Non è volontà di Dio. Non è secondo verità e giustizia obbedire ciecamente ad un’autorità che pone se stessa al di sopra e al di là del bene e del male. Obbedirvi sarebbe conformismo e viltà. Resistervi, invece, eroismo e virtù vera. 

Allora, nella confusione relativista, suona ancor più stringente il monito del nostro Beato e fa luce sul nostro cammino accidentato: «Abbiamo l’obbligo di pregare Dio di inviarci o mantenerci un intelletto sano, che ci permetta di capire a chi e quando dobbiamo obbedire. Rincresce molto di questi tempi che anche tra noi cattolici ci siano così tante persone che obbediscono a cose alle quali dovrebbero ribellarsi e si ribellano ad altre a cui dovrebbero obbedire».

Ricordiamo queste parole. Ricordiamo il suo esempio. Chiediamo la sua intercessione perché possiamo essere degni di seguire le sue orme, senza cedimenti, senza compromessi e senza paura.

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