RELIGIONE
Perché la Milizia?
dal Numero 30 del 15 agosto 2021
di P. Ambrogio M. Canavesi e P. Wawrzyniec M. Waszkiewicz

Quali ideali hanno ispirato la vita e l’attività del nostro Martire della carità? Fin dagli anni degli studi romani, egli aveva intravisto lo svolgersi di una grande battaglia, ne aveva compreso la portata, aveva individuato la strategia per combatterla. Ne parlano gli autori di “Guerrieri serafici” nelle pagine conclusive del loro libro, che pubblichiamo col permesso dell’editore. 

L’insonnia del poeta

In una notte del settembre del 1863 il poeta Giosuè Carducci non poteva addormentarsi. Se fossero le muse a disturbarlo, oppure il diavolo, non tocca a noi giudicarlo. Basti dire che una potente ispirazione gli dettava ben cinquanta strofe di uno scorrevole inno.

In Italia si realizzava il cosiddetto “Risorgimento”. Tre anni prima, la spedizione dei Mille, sotto il comando di Garibaldi, aveva sottomesso al Piemonte il sud della Penisola. Il più intelligente dei futuri “padri della patria” (come l’agiografia laicista chiama la “quaternità” rivoluzionaria Mazzini-Cavour-Garibaldi-Vittorio Emmanuele), Camillo Benso conte di Cavour, sotto il pretesto di salvaguardare il Papato dall’irrefrenabile estremista Garibaldi, convinse il re di Sardegna e di Piemonte, Vittorio Emmanuele II, ad invadere lo Stato Pontificio. 

Il 18 settembre 1860 l’esercito piemontese sconfisse, nella battaglia di Castelfidardo, le quattro volte meno numerose truppe papali. Nel 1861 si proclamò l’Italia unita. Ma la soddisfazione dei rivoluzionari con lo stendardo tricolore non poteva essere piena, finché mancava la Città Eterna coi suoi dintorni. Quella Città Eterna dove – malgrado la sconfitta di Castelfidardo – regnava ancora l’inflessibile Pio IX e ancora tuonava con le sue encicliche, ancora proclamava i sillabi degli errori, ancora fulminava il cattolicesimo liberale, così utile per l’opera rivoluzionaria. Roma sarebbe caduta solo nel 1870. Quando poi, otto anni più tardi, Pio IX sarebbe morto da “prigioniero in Vaticano”, i trionfanti nemici della Chiesa avrebbero assalito il suo corteo funebre, cercando di buttarne le venerate spoglie nel Tevere. 

La conquista della Penisola, ora terminata, fu un’operazione massonica fin nel midollo delle ossa e – se tralasciamo la vergognosa partecipazione dei summenzionati cattolici liberali allo svolgimento di essa – fin nel midollo delle ossa fu anticattolica. Se Garibaldi e Bixio primeggiavano nel manifestare il loro odio verso la Chiesa, Cavour primeggiava nel combatterla efficacemente; basti pensare alla soppressione degli Ordini religiosi da lui progettata e realizzata.

Era, dunque, l’autunno del 1863, quando Giosuè Carducci – massone anch’egli – durante una notte insonne componeva il suo celebre Inno a Satana. Il testo, traboccante di odio verso la Chiesa, elogia il principe delle tenebre, in quanto (secondo l’interpretazione lasciataci dall’Autore stesso) simbolo di «tutto ciò che di nobile e bello e grande hanno scomunicato gli asceti e i preti». Quattro decenni più tardi il vecchio panegirista del diavolo avrebbe ricevuto anche il premio Nobel: gli sarebbe stato attribuito solo nel 1906, un anno dopo il cattolico fervente Sienkiewicz, come per compensare... Allora, invece, scriveva:

«Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vindice
De la ragione!
Sacri a te salgano
Gl’incensi e i vóti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti».

 

Lucifero nella loggia e in Vaticano

Conquistata dai piemontesi nel 1870, Roma ad oggi è piena dei ricordi massonici di quell’epoca. L’altare della patria, ad esempio, venne edificato a prezzo del trecentesco convento francescano di inestimabile valore. L’adiacente chiesa dell’Aracoeli sopravvisse solo grazie al fermo intervento dell’ambasciatore spagnolo. Il ponte Vittorio Emmanuele, collocato vicino al famoso ponte Sant’Angelo, ne è una diabolica caricatura. Anch’esso ornato da figure angeliche, ma con un diabolico cambio di prospettiva: due angeli sono rivolti dalla parte del Vaticano, minacciando con delle spade la Basilica petrina; dalla parte opposta (quella “risorgimentale”) del fiume stendono le corone lauree verso il detto altare della patria... 

Nel 1889 a Campo de’ Fiori, poco distante sia dall’altare della patria che dal ponte, venne collocata la statua di Giordano Bruno. Suo autore era il futuro grande maestro della Massoneria italiana, Ettore Ferrari, e l’inaugurazione del monumento diede ai massoni occasione per una manifestazione alla testa della quale vennero portati due stendardi neri con l’immagine di Lucifero. Pochi anni dopo scoppiò un grande scandalo, quando si scoprì che i massoni nella loro loggia – collocata a palazzo Borghese – ridussero la cappella in una cloaca e collocarono nel salotto una statua di Satana. 

Durante il pontificato di Benedetto XV – il quarto dei papi “prigionieri in Vaticano” – cadde anche il quarto centenario della rivoluzione protestante e il secondo della fondazione della Massoneria. Era l’anno 1917. Lo scultore Ferrari stava a capo del Grande Oriente d’Italia, e probabilmente proprio per sua iniziativa il 17 febbraio, nell’anniversario della morte di Giordano Bruno, dal monumento di Campo de’ Fiori partì una clamorosa manifestazione massonica. I suoi membri sfilarono per le vie della Città Eterna, giungendo a piazza San Pietro, gridando le parole dell’inno di Carducci: «Ave Satana, o ribellione» e portando lo stendardo nero con Lucifero che schiacciava con i suoi sordidi piedacci san Michele arcangelo. A far corona a questo scandalo, striscioni blasfemi proclamavano la vittoria massonica sulla Roma papale, con significative provocazioni sia verso il Papa che verso tutti i cittadini cattolici. Su uno di essi stava scritto: «Il diavolo governerà in Vaticano e il Papa gli farà da guardia svizzera!».

Quel giorno il peccato abbondava nella Città Eterna! «Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20). Testimone di questa terribile anti-processione era un giovanissimo chierico francescano, fra’ Massimiliano Maria Kolbe. 

Questa esperienza lo scosse profondamente: ancora dopo molti anni e in diverse occasioni avrebbe ricordato per iscritto e a voce quella manifestazione empia (nei suoi Scritti troviamo ben tre di tali racconti, risalenti a tre anni diversi!).

Controffensiva

Tra le tante voci critiche di quella provocazione massonica nella Città Santa, forse solo san Massimiliano – allora semplice seminarista dei Frati Minori Conventuali nel convento di via San Teodoro – aveva compreso che la condizione basilare del trionfo del male su questa terra è l’inerzia dei buoni. Qualche anno più tardi avrebbe scritto: «Di fronte agli attacchi tanto duri dei nemici della Chiesa di Dio ci è lecito rimanere inattivi? Su ciascuno di noi pesa il sacrosanto dovere di metterci in trincea e di respingere gli attacchi del nemico con il nostro petto»

Com’è possibile che nel cuore stesso della Cristianità si organizzino processioni sataniche, che sotto le stesse finestre del Santo Padre si gridino bestemmie, e i fedeli sembrino non reagire? E – sia ben chiaro – non si trattava solo di difesa, bensì di attacco. 

La difesa è una strategia perdente dall’inizio, se non accompagnata da un attacco fondato sulla fiducia nell’Onnipotenza di Dio e nella Mediazione di tutte le grazie della Madonna: si trattava non solo di difendere la Chiesa dalle offensive di questi sgherri del diavolo, bensì di conquistare ogni anima sulla faccia della terra. 

Mosso dal primo istinto, san Massimiliano, sulle orme di quel san Francesco che andò dal sultano per guadagnare la sua anima a Dio, chiese ai superiori di potersi recare nella sede della Massoneria per convertire il Gran Maestro. I prudenti Padri frenarono allora lo slancio di quel seminarista focoso. A ragione, certamente! Ma, d’altra parte... il massone Carducci scrisse una volta che se avesse incontrato san Francesco, si sarebbe probabilmente convertito, e san Massimiliano non era forse un vero san Francesco del secolo XX? Del resto, anche del sultano Al Khamil i Fioretti ci narrano che egli morì cattolico. 

Inutile divagare sull’argomento: i superiori non acconsentirono. Lo slancio del giovane frate doveva dunque, per il momento, limitarsi al campo meramente spirituale. Per una coincidenza, proprio un mese prima di quella manifestazione massonica, il 20 gennaio 1917, cadeva il 75° anniversario della conversione di Alphonse Ratisbonne. Fu quella una conversione causata da un’eclatante apparizione della Madonna. Ratisbonne – ebreo miscredente, benché fratello di un ebreo convertito e fattosi sacerdote – accettò di portare addosso la Medaglia miracolosa, ovvero quella medaglia che nel 1830 la Madonna stessa aveva rivelato alla pia santa Caterina Labourè nel convento delle vincenziane di Rue du Bac a Parigi. Ratisbonne, per mero rispetto umano nei confronti dell’amico che gliel’aveva voluta regalare (e forse anche con una punta di scherno malevolo), accettò di portarla indosso e persino di recitare la preghiera ad essa annessa. Ma proprio attraverso quella piccola apertura del suo cuore alla Religione cattolica, la Vergine Santissima seppe penetrare fino all’intimo dell’anima di quel giovanotto miscredente, convertendolo istantaneamente alla Fede cattolica, e concedendogli persino di essere illuminato su tutti i misteri della nostra Fede. 

Proprio la Medaglia miracolosa doveva diventare l’arma preferita di san Massimiliano. La chiamava “pallottola dell’Immacolata”, la pallottola spirituale che colpisce i cuori, per uccidere gli uomini al peccato e farli risorgere alla grazia. Per la sua grande devozione verso questo avvenimento, il Santo pochi anni dopo avrebbe voluto celebrare la sua prima Santa Messa proprio sull’altare della conversione del Ratisbonne nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte a Roma. 

L’esercito dell’Immacolata

La necessità della preghiera ardente per ottenere la conversione dei massoni non significava, però, l’abbandono di una lotta organizzata contro i nemici della Chiesa. Nell’ottobre del medesimo anno 1917, pochi giorni dopo il miracolo del sole accaduto a Fatima e pochi giorni prima del colpo di stato bolscevico in Russia, san Massimiliano con alcuni compagni e con la benedizione del rettore del seminario, l’insigne dantista padre Stefano Ignudi, fondò la Milizia dell’Immacolata (Militia Immaculatae). Il fine di questa pia associazione era di impegnarsi «per la conversione dei peccatori, eretici, scismatici e soprattutto massoni» e la «santificazione di tutti, sotto la protezione e per la mediazione della Beatissima Maria Vergine Immacolata». 

La risposta kolbiana all’Ave Satana massonico era, dunque, l’Ave Maria. Al saluto satanico si doveva rispondere con il saluto angelico. La risposta alla ribellione (eco del luciferino Non serviam!) era l’Ecce Ancilla Domini. La risposta a “il diavolo governerà in Vaticano” era “Ipsa conteret caput tuum” (Ella ti schiaccerà i capo!) del Genesi 3,15. 

Stupisce il noto slancio apostolico di san Massimiliano, il quale «per la conversione dei peccatori, eretici, scismatici e soprattutto massoni» in breve tempo arruolò un vero esercito di apostoli religiosi e laici, fondò il convento più grande del mondo (Niepokalanòw), aprì una casa editrice gigantesca, fece funzionare una radio, avviò una missione in Giappone (dove pure dopo breve tempo cominciò il lavoro editoriale). 

Desiderava “cingere” il mondo intero con un nastro di libri e riviste che lodano l’Immacolata e richiamano le pecorelle smarrite all’unico ovile... ma anche ciò non sarebbe stato che l’inizio di un piano di riconquista cattolico e mariano, che doveva portare a conquistare uno a uno tutti gli ambiti della vita sociale. «Conquistare all’Immacolata un’anima dopo l’altra, un avamposto dopo l’altro, inalberare il Suo vessillo sulle case editoriali dei quotidiani, della stampa periodica e non periodica, delle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, sugli istituti artistici e letterari, sui teatri, sulle sale cinematografiche, sui parlamenti, sui senati, in una parola dappertutto su tutta la terra». 

L’impeto di quest’opera, come pure alcune parole dello stesso Santo, il quale parlava addirittura di un lavoro “febbrile”, potrebbero indurre in errore i suoi potenziali seguaci, trascinandoli verso un attivismo fatale. In realtà, l’intera opera kolbiana – anche in mezzo al frastuono di macchine tipografiche e al baccano della radio, o perfino al rumore di quell’“aeroplano più moderno” con il quale “il frate vestito di un saio rattoppato” doveva distribuire gli opuscoli apostolici in tutto il mondo – era fondata in tutto e per tutto sulla vita interiore. 

«Prima essere tutto per se stesso, e solo così tutto per tutti!», ripeteva il Santo. San Massimiliano si rendeva conto, anche grazie a Ettore Ferrari e ai suoi amici, che nel mondo dura una spietata guerra spirituale. Perciò egli non fondò la “Diplomazia dell’Immacolata”, ma la Sua “Milizia”. 

Nei nostri tempi di quietismo ed irenismo, quando la political correctness costringe a mordersi la lingua non soltanto ogniqualvolta si voglia pronunciare la parola “eretico”, ma anche “peccato”; “inferno” o “dannazione”, la rigidità di san Massimiliano dà fastidio. Fastidiosa è, del resto, la rigidità dei santi in genere, perché tutti i santi furono campioni della lotta spirituale. D’altro canto, si vede bene dove quell”‘irenismo cattolico” (che espressione assurda!) conduce. 

La Chiesa che al posto di “conquistare” vuole “far amicizia” con il mondo, da diversi decenni viene conquistata da quel mondo che non ci pensa nemmeno a fare amicizia con Lei... Il liberalismo (e soprattutto quello cattolico) non è altro che una profonda malattia dello spirito, un cancro spirituale che erode all’interno e che poi manda sulle trincee della lotta un cadavere, che ben presto è ridotto a nulla dai nemici. E perciò è una questione d’importanza fondamentale la riscoperta del carattere cavalleresco del Cattolicesimo. È una questione d’importanza fondamentale non aver paura della lotta. È una questione d’importanza fondamentale ricordarsi anche che questa lotta, pur non escludendo l’uso di «tutti i mezzi, tranne gli illeciti» (come diceva san Massimiliano), rimane anzitutto una lotta spirituale. 

Nessun’attività, nessun apostolato possono togliere di vista la santificazione propria. «Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria anima?» (Mt 16,26). Del resto: conquistare il mondo per l’Immacolata non sarà mai possibile, se non ai santi. Ben lo sapeva il fondatore della Milizia. 

Per questo ripeteva ai membri di essa che il terreno più importante della loro attività è la “M.I.-io”. Difficile, in effetti, conquistare il mondo, senza aver prima conquistato se stessi... ma chi riesce a conquistare se stesso, sottraendosi al dominio del peccato, allora sa donarsi anche completamente alla Madonna e divenire uno dei suoi cavalieri. Uno di quei «suoi cavalieri che [...] avanzano con l’odio, un odio implacabile, quell’odio che l’Immacolata stessa nutre nei confronti del male, del peccato, anche se leggero; [...] sarebbero avanzati però nutrendo nel cuore un amore senza limiti verso il prossimo, l’amore stesso dell’Immacolata, anche se il prossimo non solo fosse stato straniero, di razza o di colore diversi, ma addirittura nemico aperto della religione, dell’Immacolata, di Dio».

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