RELIGIONE
Prima di tutto: l’Essere! Dalla ragione alla Religione
dal Numero 3 del 21 gennaio 2018
di Paolo Risso

La modernità preferisce parlare di Dio e di religione mantenendo il discorso a livello di emozione, personale esperienza e percezione, diluendo l’oggettivo nel soggettivo. Il rischio è che non ci sia più Verità, ma solo opinione: non più l’Essere ma solo l’essere percepito. Ben oltre il fuggevole sentimento, l’uomo è chiamato ad un rapporto molto più alto, vero e stabile con Dio.

Oggi, dubitare, confondere le cose, diluire il certo nell’incerto, scolorire la Verità per preferire la ricerca, lasciare le certezze per limitarsi al sentimento, all’esperienza mutevole, è assai diffuso... anche tra coloro che pretendono di essere credenti in Dio e nel suo inviato Gesù Cristo, che anzi si sentono impegnati per Lui o addirittura portatori di una fede più aperta, più accessibile all’uomo d’oggi.
Il risultato di costoro, piaccia o non piaccia, è la loro confusione personale e la confusione che essi seminano nel cuore della gente, tanto più grave quanto più alto è il posto da dove parlano, nella scuola, in un giornale, in un programma Tv, su una cattedra. Sono pseudo-maestri, seminatori di zizzania, o almeno degli incoscienti e degli ignoranti. Ma sta anche a noi, illuminare, aiutare, sostenere, correggere i nostri fratelli con dolcezza, ma con sicurezza, certi di servire “la Verità che tanto ci sublima”.

Discorso ontologico

La prima differenza tra costoro e noi che vogliamo, per dono di Dio, essere testimoni e apostoli della Verità sta in questo: il nostro annuncio, il nostro insegnamento del Cattolicesimo, la nostra teologia – conforme al Magistero e alla Teologia della Chiesa – è essenzialmente ontologico, metafisico: cioè si appoggia sull’essere, coglie, afferma ed esprime l’essere della realtà.
Invece l’insegnamento degli pseudo-maestri di oggi – che sono legione – esprime soltanto una “fenomenologia”, limitandosi a descrivere in modo sommario e impreciso, dei fatti, ciò che appare a prima vista allo sguardo, a volte soltanto per sentito dire, “di seconda mano”. In fondo, a ben guardare, si tratta di dispute, spesso solo di chiacchiere – “flatus vocis” – dicevano i medioevali. “Inane vacum”, sì un grande vuoto!
Costoro pretendono di possedere “una teologia biblica”, dicendo che tocca alla Bibbia il primato in quanto “parola di Dio”. Ma questo odora di luteranesimo. Secondo loro, non ci sarebbe spazio per la metafisica, in quanto sarebbe solo costruzione umana dei greci pagani o dei medioevali, dimentichi, secondo loro, della “Parola” della Scrittura.
Molto meglio sarebbe seguire la Bibbia, come “l’album delle foto della famiglia di Dio”, la Bibbia che presenta un Dio che agisce e opera, più che Dio, il quale è. Un Dio che fa la storia e si mescola con la storia, più che Dio in se stesso. La Bibbia, dunque, il credente biblico, non avrebbe bisogno né di filosofia né di metafisica, neppure di teologia nel senso comune di dottrina della Fede, di Fede pensata, il più possibile compresa, fondata come “ragionevole ossequio” a Dio che si rivela. Ma questo è insipiente solo pensarlo, per chi pensa rettamente.
La Parola di Dio (“il Verbo di Dio”) che la Sacra Scrittura contiene, non rivela parole, tanto meno parole vuote, ma rivela la Realtà stessa, la Realtà per essenza, per eccellenza la Realtà, l’Essere stesso di Dio. Nella Sacra Scrittura è contenuta – in modo assai più alto e più profondo che nella filosofia greca – l’ontologia più alta, più densa, più ricca che esista. Dio stesso, a Mosè e in tutta la Rivelazione, si mostra e si definisce come “Io sono”, “Colui che è”, l’Essere assoluto. Definizione che Gesù fa propria, ogni volta che ripete “Io sono...”, “Sono io”, “Prima che Abramo fosse, Io sono”, ponendosi alla pari di Dio e irritando senza fine i giudei che lo rifiutano (cf. Gv 8,58).
Del resto, appare ovvio: come potrebbe Dio agire, se prima non è? L’agire segue l’essere, come ognuno che abbia buon senso vede. Allo stesso modo il rivelarsi segue l’essere, come l’amare, il condividere, il discendere di Dio sulla terra, nella storia. La rivelazione di Dio, l’irruzione di Dio in mezzo agli uomini con l’Incarnazione del suo Figlio, presuppone la sua Realtà, l’Essere che si rivela. E questo è l’ontologia, la metafisica.
Insomma: l’ontologia, la metafisica fonda la Rivelazione e si apre alla Rivelazione. Quanto veniamo dicendo, prima di essere “apologetica” (ciò che oggi purtroppo viene disprezzato) è Verità, anzi buon senso, realismo, concretezza, retto pensare.
A questo punto, si apre il discorso sulla Religione, nella sua essenza, nel suo fondamento più sicuro, nella sua realtà. La Religione non è sentimento, non è mito, non è elaborazione vuota della mente e del cuore. La parola stessa “Religione” indica rapporto, il rapporto più alto, quello tra Dio e l’uomo, tra due realtà che sono. Perché ci sia Religione, occorre che esistano, ci siano queste due realtà: l’uomo e Dio.

Dall’Essere: la Religione

“Religione” è parola latina che deriva dal verbo “religare”: si tratta dunque di un duplice legame tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e Dio.
Il primo legame esiste di per se stesso e basta che l’uomo lo scopra: l’uomo che pensa e si interroga si accorge presto che ieri non c’era, oggi c’è e domani non ci sarà più. Allo stesso modo, si accorge che così è delle cose del mondo, poste tutte tra un inizio e una fine.
La domanda impellente è: “Da dove vengo? E dove vado? Qual è l’origine? Dove la causa prima?”. Se l’uomo è colui “che è e non è”, come ogni altra cosa vivente, deve risalire a Colui che è per essenza ed è la fonte e il Creatore della vita: cioè Dio! A questo problema, il grande scienziato Enrico Medi (1911-1974) rispondeva: «Credo in Dio allo stesso modo che cinque per otto fa quaranta. Allo stesso modo, credo nella legge di Ohm: la corrente passa nel filo se il filo è inserito nella spina. Se questo è fanatismo religioso, io sono fanatico».
Ecco il primo “legame”: «Dio esiste ed è il creatore dell’uomo e del mondo». È realtà incontestabile, evidente a chi ha la mente limpida e non ottenebrata dalla carne e dai sofismi. Se qualcuno dicesse che il proprio orologio si è fatto da sé, se qualcuno raccontasse che, buttate per terra così a caso migliaia di lettere dell’alfabeto è nata la Divina Commedia, senza una mente che abbia programmato e realizzato, sarebbe più che normale dubitare della sanità mentale di costui. Allo stesso modo, chi nega Dio, come Principio e Causa prima, si pone fuori del percorso normale della ragione umana.
Il secondo “legame”, quello che costituisce davvero la Religione – che è appunto “rilegare” – è che l’uomo, scoprendosi creatura, riconosce Dio come suo Creatore e Signore.
Riconoscerlo è adorarlo: “io sono piccolissimo e Tu sei grandissimo; io posso poco o niente e Tu puoi tutto; la mia vita dipende da Te, la mia vita non può essere che per Te”. Riconoscerlo è obbedirgli: perché riconosco che il richiamo che sta in me – “fa’ il bene, evita il male” – viene da Te. Anzi Tu, mio Dio, sei Legislatore e Giudice – Nomoteta – dicevano gli antichi greci. Tu sei la Legge stessa.
A ben vedere – se il mio sguardo è limpido – di qui scaturiscono alcuni fatti fondamentali: se sono piccolo, quasi un nulla, mi rivolgo a Lui che scopro Immenso e Onnipotente e lo prego. Riconoscerlo è pregarlo, perché mi venga incontro. So anche che spesso, contro la sua Legge, faccio il male e non il bene e ne provo rimorso davanti a Lui, il Legislatore. Riconoscerlo è pure chiedergli perdono e riparare in qualche modo, il male che ho compiuto.
Questa è la Religione nella sua essenza, nella sua naturalità, nella sua realtà, nella sua origine, nella sua fondazione sicura. Anche il sentimento, il cuore dell’uomo ne è coinvolto: Dio, l’uomo lo sente come affascinante (Deus fascinans), che lo attira, e come tremendo (Deus tremendus) che lo intimorisce e qualche volta lo atterra. Ma oltre il sentimento, l’uomo, con la sua intelligenza, è chiamato a compiere il primo atto della Religione: conoscere Dio; e riconoscerlo, quindi adorarlo, obbedirlo, offrirgli la vita e il mondo.
Il primo grande passo è compiuto e non si perde nell’evanescenza, nel sentimento, nell’esperienza mutevole: è il riconoscimento e accettazione sicura del rapporto fondamentale, il più reale che esista, tra due realtà: l’uomo e Dio.

Essere e modernità

La modernità, errando, rifiuta di porre il problema in questi termini preferendo di tenere il discorso a livello di sentimento, di esperienza, di vitalismo, persino di slancio, di entusiasmo e di effervescenza, ma a ben osservare di “non-razionalità”, di irrazionalismo. Così tutto può essere sperimentato (non dico affermato, perché costoro non affermano nulla) e tutto può essere rifiutato, secondo – essi dicono – l’evolversi della coscienza e del sentimento, diciamo noi, secondo il gusto e il tornaconto del momento.
Negato che l’intelligenza possa raggiungere la Realtà, non c’è più Verità ma solo opinione; non c’è più l’Essere – negata l’ontologia e la metafisica – ma solo l’essere percepito. Oggi, uno dei verbi più usati, anche nell’omiletica, è percepire, non conoscere, affermare, credere, professare.
Non c’è più l’aquila che parte in picchiata verso il sole, e neppure l’uccellino che pure fragile si dirige alla meta, ma “la povera foglia fragile”, la piuma sbattuta dal vento che, sì, prova tutte le ebrezze, ma che presto finisce nel fango. Fin dal primo problema – quello di Dio e dell’uomo – la modernità non solo non aggiorna nulla, come ne ha la pretesa, ma già conduce diritto all’ateismo e al nichilismo, gaio o disperato che sia, ma sempre nulla. Mentre l’uomo è fatto per Dio infinito ed eterno, che è il Tutto, l’Essere e la Gioia senza confini.
Ultima conclusione della filosofia moderna – iniziata con Cartesio, con l’io al posto di Dio, l’io chiuso in se stesso invece che aperto alla realtà – a tanto disastro è giunta, perché ha rifiutato la “Filosofia perenne”, il realismo di san Tommaso d’Aquino: «Tolle Thomam et dissipabo Ecclesiam» (Togli Tommaso e distruggerò la Chiesa!), ha detto qualcuno. Non solo la Chiesa ma persino l’uomo, la sua ragione, il suo buon senso, l’equilibrio mentale.
Non può essere che così, dovunque si tenga come regola non la Verità che esprime l’essere, ma soltanto l’apparire, il sentire, il provare. Tutto è desostanzializzato, tutto è sradicato, tutto è sconvolto dalle fondamenta, al punto che il card. Joseph Ratzinger è giunto a scrivere: «La Liturgia della Chiesa, viene talvolta concepita, come se Dio non ci fosse» (cf. La mia vita, Edizioni San Paolo, Milano 1997, pp. 112-113). Il culto diventato ateo e umanistico.
Ma, non abbiate paura: anche nella modernità, è presente e operante il Cristo crocifisso e risorto, il vivente, che si riserva i suoi amici e li fa camminare nella Verità dell’Essere: «Abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).

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