RELIGIONE
“Muoio contento al fianco di Cristo Re”
dal Numero 45 del 20 novembre 2016
di Raimondo Giuliani

La Provvidenza divina ha donato alla Chiesa un nuovo Santo a cui guardare mentre si appresta a celebrare la gloria del suo Sposo e Re. Si tratta del piccolo José Sanchez del Rio, canonizzato da Papa Francesco lo scorso 16 ottobre, conosciuto come “il più piccolo dei Cristeros”.

La storia del Messico, fin dal tempo della sua indipendenza, è stata caratterizzata da guerre civili, dittature, rivoluzioni, colpi di Stato. E ciò perché il Messico, grazie alla Fede cattolica molto viva, era divenuto una potenza, che preoccupava il vicino governo di Washington. Da qui i tentativi americani di laicizzare lo Stato messicano che culminarono con la persecuzione del Presidente Calles e la conseguente “Cristiada”, ossia la resistenza dei Cristeros.
“Cristeros” sono quei messicani fedeli che, fallita ogni rivolta pacifica, sono insorti con le armi contro il governo del Presidente che nel 1926 mise in atto una feroce opera di scristianizzazione del Messico, programmando: 1) la separazione tra Stato e Chiesa; 2) la scristianizzazione di tutti i luoghi pubblici come scuole e ospedali; 3) la proibizione per i Sacerdoti di vestire l’abito e di insegnare; 4) la confisca delle proprietà della Chiesa; 5) l’espulsione di molti Sacerdoti dal Paese; 6) il divieto di qualsiasi pubblicazione a sfondo religioso; arrivando infine a proibire per legge ogni culto cattolico pubblico, a imporre la chiusura delle Chiese, molte delle quali furono profanate.
Chiamati così dal loro grido di battaglia “Viva Cristo Rey!” (Viva Cristo Re!), i Cristeros formarono un vero e proprio esercito nazionale guidato dal generale Enrique Gorostieta Velarde, che andava di giorno in giorno infoltendosi fino a raggiungere i 50.000 uomini. Combattevano vestendo l’uniforme del Rosario e portando al collo un gran crocifisso. Questa dolorosa ma anche gloriosa epopea diede alla Chiesa centinaia di Martiri, tra uomini e donne, fanciulli e bambini, tutti coinvolti in una impareggiabile gara di fedeltà per dimostrare a Dio l’amore che non tradisce e non viene meno neanche davanti alla morte.
Tra questi, emerge un giovane fanciullo appartenente a un’agiata famiglia di agricoltori del Jiquilpan, molto numerosa, che al tempo di questi fatti si trovava nel piccolo villaggio di Sahuayo, nel Michoacàn. Il ragazzino dalla pelle candida e dai capelli neri, si distingueva per il bel carattere e per le molte amicizie, per l’amore alla vita di campagna e ai cavalli. Da quando aveva 10 anni si impegnava a portare con lui i ragazzi all’Adorazione eucaristica. Quando nell’agosto del 1926 le empie leggi calliste entrarono in vigore anche nel suo paese, i fratelli maggiori Macario e Miguel si arruolarono tra i Cristeros e il piccolo José li avrebbe seguiti senza paura se i genitori non avessero opposto un netto rifiuto per la giovane età.
Passato del tempo, per vincere le resistenze della mamma Joselito aveva iniziato a pregare il primo Martire cristeros, il beato Anacleto Gonzalez Flores, uno dei leader cristiani della santa battaglia, assassinato nell’aprile del 1927. Lo pregava di ottenergli la grazia di morire Martire come lui, e alla mamma che gli diceva che con i suoi tredici anni sarebbe stato più d’intralcio che d’aiuto, rispondeva con fede candida e adamantina: «Ma mamma non è mai stato tanto facile guadagnarsi il Cielo come in questo momento! Non voglio perdere questa occasione». A tali parole il cuore della mamma fu vinto e il piccolo José poté presentare al Generale la richiesta di arruolarsi nella milizia di Cristo. La risposta fu ancora negativa perché troppo giovane e la vita di campo troppo dura. José si offerse allora di servire i soldati e guardare ai cavalli, aggiungendo con semplicità che «sapeva fare il cuoco e cucinare i fagioli». Tanto candore e determinazione gli valsero un posto tra i Cristeros e la benevolenza di tutta la truppa.
La sera guidava il Rosario e incoraggiava tutti a difendere la propria fede, ogni giorno serviva la Santa Messa. Partecipava alla vita sacrificata che menava la truppa, mangiando il povero pasto di fagioli e tortillas e dormendo in fredde grotte o sotto le stelle in fitti boschi. Quando gli venne dato il compito di portabandiera, il suo sogno di scendere in campo come soldato di Cristo Re era divenuto realtà e la sua gioia indescrivibile, ma non ancora completa. Non si era arruolato in cerca di avventura ma in cerca del martirio da offrire a Cristo Re. La Cristiada non era un’ordinaria rivoluzione con tutti i suoi devastanti eccessi, ma l’esatto opposto: essa era una vera e propria chiamata alla santità e al martirio, come ogni resistenza armata in difesa della Fede.
Avvenne nel febbraio 1928, in un combattimento nei pressi di Cotija, che il cavallo del suo Generale fu abbattuto da un colpo di fucile; il piccolo José colse l’occasione per offrirsi eroicamente: «Generale, ecco il mio cavallo, si metta in salvo. Se muoio, non si farà sentire la mia mancanza, ma se lei muore, sì». Fu in quella circostanza che cadde prigioniero delle truppe nemiche dei Federali e così aveva inizio il suo calvario. Rinchiuso in carcere, cominciò la pioggia di minacce di fucilazione o di proposte allettanti per entrare tra le truppe governative anticristiane, a queste rispose: «Mai, mai! Prima morto!». Rifiutò ora dopo ora di abiurare la sua Fede e riuscì perfino a convincere i ricchi genitori a non pagare il riscatto di 5mila pesos che i Federali avrebbero accettato per liberarlo. Nemmeno sotto tortura, volle rivelare alcuna informazione suoi Cristeros, pur sapendo a cosa sarebbe andato incontro. Lui era pronto, e si dava da fare per preparare la mamma, scrivendole queste righe: «...sono caduto prigioniero durante il combattimento di oggi. Credo che sarò fucilato, ma non importa, mamma. Ti devi rassegnare alla volontà di Dio. Io muoio molto contento, perché muoio al fianco di Nostro Signore... Di’ ai miei altri fratelli di seguire l’esempio del più piccolo e farai la volontà del nostro Dio. Abbi forza e inviarmi la tua benedizione insieme a mio padre. Salutami tutti per l’ultima volta e ricevete il cuore di vostro figlio che vi ama entrambi e vi avrebbe voluto vedere prima di morire».
Il piccolo soldato di Cristo, accortosi che il luogo in cui lo tenevano prigioniero era una Chiesa trasformata in una stalla per cavalli e in un pollaio, dove i galli da combattimento giacevano sull’altare maggiore legati al trono dell’Ostensorio eucaristico, pieno d’indignazione e di zelo per la casa di Dio uccise tutti i galli e le galline. Quando i soldati del governo lo scoprirono la sua morte era ormai decisa. Con lui, destinato alla stessa fine, c’era un altro ragazzino di nome Lazzaro, alquanto spaventato, che José animava dicendo: «Coraggio Lazzaro, essi ci daranno tempo per tutto e poi ci fucileranno. Non rinunciare. Le nostre sofferenze dureranno solo un batter d’occhio».
Il 10 febbraio, un venerdì, sorse il giorno tanto desiderato: nel pomeriggio una scorta lo portò in caserma per mandare ad effetto la condanna a morte. Saputolo, il ragazzo scrisse l’ultima lettera a una delle sue zie: «...sono condannato a morte: alle otto e mezza di questa sera arriverà il momento che ho tanto desiderato» e chiedeva di potersi Comunicare l’ultima volta.
Quella notte, verso le undici, fu condotto a piedi al cimitero dove era stata già scavata la sua fossa. I suoi persecutori avevano deciso di farla finita con lui, ma con crudeltà raffinata: presero un coltello affilato e gli strapparono la pelle della pianta dei piedi costringendolo poi a camminare da solo fino al cimitero, su pietre e terra. Nessun lamento uscì dalle sue labbra, ma solo grida piene di coraggio e di sofferto amore: «Viva Cristo Re!», che sembravano toccare il cielo in mezzo al silenzio della notte deserta.
Arrivati, gli mostrarono la fossa: «Questa è la tomba dove stiamo per seppellirti». «Bene! – rispose il piccolo Cristero – Io perdono tutti voi poiché noi siamo Cristiani». Porse loro la mano e disse: «Ci rivedremo in Cielo. Tutti voi un giorno vi pentirete. Viva Cristo Re!».
Accecati dalla rabbia, nel vedere tanto mite coraggio, i soldati cominciarono a pugnalare il ragazzo, chiedendogli se avesse ancora qualcosa da dire ai suoi genitori: «Dica loro che ci vedremo in Paradiso». Ad ogni pugnalata gridava con voce sempre più flebile: “Viva Cristo Re!”, finché un colpo di sparo alla testa mise fine alla sua eroica professione di Fede.
Caduto a terra coperto di sangue, sentendosi ormai alla fine, il piccolo José prese con la mano un po’ del sangue che gli zampillava dal collo e tracciò davanti a sé in terra un piccolo segno di croce, poi vi cadde avanti prostrato in ultimo, estremo atto di adorazione.
In tasca aveva un piccolo testamento: «Alla mia prediletta Mamma. Sono prigioniero e mi uccideranno. Io sono felice. L’unica cosa che mi tormenta è il tuo pianto. Non piangere mamma. Ci rincontreremo». Firmato: «José, ucciso per Cristo Re».
Così morì il più piccolo dei Martiri Cristeros, di appena quattordici anni. Aveva poco prima ricevuto la Santa Comunione, portata dalla zia di nascosto dai carcerieri. Era, quel 10 febbraio, il giorno del 5° anniversario della sua Prima Comunione: il Seme di divina grandezza era caduto in un terreno ottimo e vi aveva fruttato “il cento per uno”.
Meno di dieci anni prima la Santa Vergine aveva mostrato ad altri bambini, a Fatima, la terribile visione dei Martiri della Chiesa che salivano su una montagna, e gli Angeli che ne versavano il sangue sulla Chiesa, fecondandola... Possa questo novello Santo Martire, col fervore che lo distingue, ottenere copiose grazie alla Chiesa e ai Cattolici per essere come lui fedeli al Re supremo della terra e del Cielo.

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