ATTUALITÀ
Vittima della Triplice Alleanza
dal Numero 43 del 6 novembre 2016
di Antonio Farina

Il cybermondo con i suoi social network si presenta accattivante e seducente, e molti sono coloro che ne fanno le spese, sperimentandone il lato oscuro. Questa volta ad offrirne un esempio sono le pagine di cronaca nera.

 “Dio perdona, la rete no”. Si potrebbe sintetizzare con questa espressione impietosa quanto sta accadendo in quel mare tumultuoso di informazioni e di rapporti umani virtuali che è diventato internet, la rete informatica che avviluppa il mondo. Lo spunto per queste riflessioni ci viene fornito dalla vicenda di Tiziana Cantone, una ragazza di 31 anni che viveva a Casalnuovo, nell’hinterland napoletano. Studentessa, con un’infanzia difficile, immersa nella realtà degradata della periferia cittadina ha messo fine ai suoi giorni impiccandosi con un foulard nella cantina di casa sua.
Il caso, immediatamente finito sulle pagine di cronaca nera e di fattacci “a luci rosse”, ha destato un certo clamore (e forse turbato qualche coscienza) non tanto per l’epilogo tragico, a cui molti lettori sono avvezzi, ma perché la giovane donna è morta al termine di un calvario grottesco, assurdo, al limite della realtà, che ricorda da vicino le situazioni allucinanti e paradossali concepite da Franz Kafka.
Un gioco perverso si trasforma in un incubo (ma si sa, il diavolo fa le pentole e non i coperchi) quando dei video privati “a luci rosse” della ragazza vengono postati in rete e tutti, ma proprio tutti, amici, conoscenti, vicini di casa e familiari compresi, riconoscono la protagonista. Allora, apriti cielo!, la vergogna e lo scandalo travolgono la famiglia che si barrica in casa. 
Nel mese di maggio 2015 Tiziana presenta una denuncia alla Procura di Napoli. Sottoposta alla gogna mediatica dei cyber-nauti, assediata dal cyber-bullismo ma anche dai bulli reali del suo quartiere (gli “scugnizzi” non scherzano), addirittura dileggiata in televisione da alcuni Vip del mondo dello spettacolo, diventa, suo malgrado, l’icona pornografica nelle pagine di Facebook.
Nel giro di un anno proliferano vignette, parodie, canzoni e perfino gadgets. La situazione si complica dal punto di vista logistico: la ragazza non può letteralmente più uscire di casa, non può più recarsi al posto di lavoro, trova rifugio provvisorio nel bar dello zio in zona porto, ma viene subito individuata. Allora si dà alla fuga: trascorre qualche mese in Emilia Romagna da amici, poi si nasconde presso dei parenti in Toscana. Inizia a sprofondare nella disperazione e cade preda di devastanti crisi di panico. Ottiene finalmente dal magistrato di poter cambiare il cognome. I suoi legali parlano di un primo tentativo di suicidio (confermato dalla madre) nel dicembre 2015. Avrebbe ingerito barbiturici ma è salvata in extremis dall’intervento del 118. Poi tenta di lanciarsi da un balcone a casa del fidanzato. Successivamente decide di tornare a vivere vicino casa a  Mugnano presso una zia. Aiutata dall’ex fidanzato dà inizio ad una disperata battaglia legale, si rivolge alla civilista Roberta Foglia Manzillo e nell’aprile scorso (2016) propone una serie di provvedimenti (ormai tardivi) i quali, come commentano vari opinionisti, si infrangono contro le lungaggini della giustizia italiana. Il giornalista Filippo Facci, che ha ricostruito la vicenda per ilpost.it, precisa quanto segue: «La denuncia ammette che lei dapprima fu consenziente alla diffusione, ma poi si rivolge sia ai primi diffusori materiali dei video – quelli che hanno oltrepassato un passaggio one-to-one, e che, cioè, li hanno messi sui social network – e sia, in un secondo momento, contro gli stessi social network che ospitavano i video o li avevano ospitati. I soggetti sono infiniti: tra questi Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google, Youtube, Citynews, Appideas, Alaimo, Ambrosino. A giugno c’è una prima udienza. Prosegue l’8 luglio. La sentenza, scritta il 10 agosto, è ufficialmente del 5 settembre: il tribunale di Napoli Nord (di Aversa, cioè) le dà teoricamente ragione un sacco di tempo dopo: e, con un provvedimento “ex articolo 700”, si rifà a un po’ di giurisprudenza (legge 70 del 2003, Privacy, limiti del diritto di cronaca) e in sintesi contesta a cinque social o siti informativi di non aver rimosso il contenuto al momento opportuno [...]. A ogni modo, le pagine vengono eliminate, e così i post, i commenti, tutto».
La reazione legale dei social network è rabbiosa e cavillosa. Si invoca il fatto che alcuni di essi non contengono i filmati incriminati ma solo il loro “cascame” cioè i commenti successivi, le derisioni, ecc. Per farla breve: «Tiziana, secondo il principio di soccombenza, dovrà pagare 3.645 euro più iva a carico di 5 (su 10) dei social network citati. Google e Yahoo vengono prosciolte per degli errori degli avvocati nell’indicare le società di appartenenza [...]: Tiziana – dice la sentenza – dovrà pagare 18.225 euro. Più iva»! Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In preda ad una crisi di sconforto e dopo aver inviato una serie di drammatiche mail ai suoi cari, la giovane donna si uccide. 
   Orbene il Signore ci insegna: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Lc 6,37), quindi lungi da noi pontificare o emettere sentenze liquidatorie sull’operato di Tiziana Cantone; già ne ha dato conto – povera ragazza – al Giudice Supremo, piuttosto cerchiamo di comprendere cosa rivela questa tragica sequenza di fatti. Certamente l’inizio è sotto il segno di satana. In altri termini interessandoci del peccato e non del peccatore non si può disconoscere che la produzione di materiale pornografico è un atto estremamente grave perché alla colpa si aggiunge lo scandalo. San Pio da Pietrelcina affermava che tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di un film immorale, dal regista, agli attori, fino all’attacchino dei manifesti (prima si usava così), ne risponderanno al cospetto di Dio. E questo è un primo fatto.
D’altro canto è impossibile negare che al di là e al di sopra di ogni giustizia, di ogni eventuale resipiscenza e di ogni ravvedimento, la “rete” ha lapidato mediaticamente la ragazza napoletana inducendola, più o meno consapevolmente, al suicidio. La questione dell’induzione al suicidio è un argomento sensibile, delicato e alquanto complesso sotto il profilo giuridico (cf. art. 580 del Codice Penale). In alcuni casi come quelli riguardanti una minorenne padovana fatta oggetto di persecuzione da parte di alcuni coetanei che la invitavano apertamente a farla finita (1)... la faccenda è chiarissima. In altri casi lo è meno. Indubbiamente la Cantone è stata attaccata dalla Triplice (e fatale) Alleanza: il demonio, la carne, il mondo. Una coalizione che, se ben riuscita, ha una potenza distruttrice formidabile. Agisce dapprima il tentatore, fa leva sulla sprovvedutezza spirituale del soggetto e sulla debolezza della carne con le sue concupiscenze, infine il mondo (foss’anche quello virtuale) fornisce i mezzi per sedurre, abbindolare, intrappolare prima e per condizionare poi con il suo giudizio implacabile. «Nihil novi sub soli» (“Niente di nuovo sotto il sole”) direbbe il Qoelet; infatti anche ai tempi di Nostro Signore la prouderie e il falso perbenismo dei Farisei conduceva spesso a pesanti condanne senza appello: «Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,1). Attenzione! Il Signore non ha detto che quello che aveva fatto non era peccato, piuttosto ha letto nel cuore dell’adultera un sincero pentimento ed ha perdonato la sua colpa. Invece il Cybermondo, soprattutto i “social” come Facebook, Ask, ecc., si presentano sempre più come mostri dalla doppia faccia: all’inizio sono attraenti, accattivanti, irretiscono ed affascinano col gioco della seduzione, della trasgressione, del vezzo comune per trasformarsi un attimo dopo in mostri spietati, in censori efferati che condannano, deridono, scherniscono, emarginano ed infine stritolano le loro vittime al pari di un Moloch sanguinario. Dietro la maschera della libertà sessuale altro non si nasconde che il ghigno feroce ed irridente del nemico della nostra Salvezza.  

Nota
1) Vedi: http//corrieredelveneto.corriere.it/: «Spinta al suicidio sul web», la procura di Padova indaga. Inchiesta dopo la morte della 14enne che era stata vessata sul suo profilo Ask. L’ipotesi di maltrattamenti e istigazione. La ragazzina l’ha fatta finita domenica pomeriggio salendo fino all’ultimo piano di un hotel abbandonato a Cittadella per gettarsi nel vuoto. Distrutta dal vuoto che aveva dentro e intorno. Distrutta, forse, anche dalle parole taglienti che leggeva sul suo profilo “Ask.fm”, un social network in voga tra i giovanissimi ma che molti considerano pericoloso e dove ognuno ha la possibilità di scrivere domande sul profilo degli altri membri in assoluto anonimato.

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