CATECHESI
Il recupero di una vera femminilità. Nono Comandamento: “Non desiderare la donna d’altri”
dal Numero 11 del 17 marzo 2013
di Don Leonardo M. Pompei

Si è visto il danno morale e spirituale provocato da certi desideri illeciti, scaturiti da una moda procace e volgare. È salutare vedere ora come ciò possa essere evitato, mettendo da parte tali mode invereconde. Femminilità, modestia ed eleganza: queste le caratteristiche dell’abbigliamento di una vera donna.

    Prima di concludere la sezione dedicata al Nono Comandamento, alla luce di quanto emerso nelle puntate precedenti circa i danni enormi e i peccati gravi che si possono commettere anche contro questo Comandamento, vorrei fare qualche considerazione sull’importanza capitale che rappresenta il recupero, da parte delle donne cristiane, di una vera e autentica femminilità, senza la quale non si vede davvero come si possa uscire dal baratro in cui siamo caduti almeno in Occidente. Solo una breve parentesi introduttoria. A qualcuno potrà sembrare strano o esagerato che dei meri peccati di pensiero o desiderio possano essere – quando commessi con piena avvertenza e deliberato consenso – dei veri e propri peccati mortali. Ora, a parte le considerazioni a suo tempo esaminate circa le parole del Signore riguardo il guardare una donna per desiderarla (equivalente a commettere adulterio nel proprio cuore), bisogna ricordare che il Sacro Concilio Tridentino, Concilio dogmatico dall’inizio alla fine, nel decreto sul sacramento della Penitenza, contro i vari minimalismi etici di origine protestante afferma chiaramente quanto segue: «I penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro gli ultimi due comandamenti del decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente ammessi» (Concilio di Trento, Decreto sul Sacramento della Penitenza, DS 1680). Segue la scomunica per chi nega che i peccati “anche segreti” contro gli ultimi due precetti del Decalogo siano mortali e quindi oggetto obbligatorio della Confessione (cf. DS 1707). Per quanto questo possa suonare strano nel nostro mondo pansessualista e pansessualizzato, così è.
    A mio avviso è fondamentale per tutte le donne che si fregiano del nome di figlie di Dio ricominciare, dopo anni di becero e insulso femminismo, a ricuperare quella che ho definito una sana, vera e autentica femminilità. Questo sia a livello di atteggiamenti interiori, sia a livello di scelte di vita e di comportamento, sia anche a livello di segni e gesti esteriori, in primis un modo di vestire che rispecchi i canoni della modestia cristiana, della sana bellezza, di un rispetto assoluto verso il proprio corpo e la sua santità.
    Esiste una pagina su Facebook, che invito tutti i lettori a visitare, che si chiama “Feminina, modesta e elegante” . Questa pagina, creata e gestita da alcune fedeli del Brasile è dedicata alla promozione di una sana femminilità con conseguente denuncia e condanna del dilagare delle mode invereconde. Sulla pagina sono visibili una quantità assai copiosa di fotografie di donne ben vestite, di abiti da sposa degni di questo nome, di mamme incinte, di fanciulle angeliche. Le immagini sono molto più eloquenti di ogni dire, per cui rinnovo anzitutto l’invito, soprattutto alle lettrici, di guardare con i propri occhi per rendersi conto che esiste un altro mondo, un altro modo di concepire la bellezza, un altro modo di presentarsi agli occhi del prossimo. Un modo che pur non volendo mortificare la bellezza femminile, ne custodisce l’integrità, ne salvaguarda il decoro, ne mostra l’immagine più genuina, più autentica e, soprattutto, più evangelica.
    Come deve vestire una donna? Le tre parole chiave sono proprio nell’intestazione di questa pagina: in modo femminile, in modo modesto e in modo elegante.
    In modo femminile vuol dire che è giunto il momento di dismettere gli abiti a forgia o concia eminentemente maschile, che oltre a non salvaguardare spesso la decenza e il pudore, rappresentano anche una sorta di adesione implicita a quello slogan femminista in base a cui tra uomo e donna, tra maschio e femmina non c’è nessuna differenza. Niente di più falso e di più fuorviante. La donna è “per DNA” (se e quando è degna di questo nome) immagine ed espressione vivente dell’amore e della dolcezza, atteggiamenti in cui l’uomo è, strutturalmente e per definizione, carente, a vantaggio delle prerogative virili del dare sicurezza e governare eventi e situazioni con quella dose di prudenza e distacco difficilmente riscontrabili nell’emotività viva e dirompente del genere femminile. Dunque la prima cosa da raccomandare alle figlie di Dio è riconoscere la bellezza e l’importanza di essere donne e di mostrare questa “santa fierezza” anche nell’acconciatura esteriore, che rispetti ed esprima adeguatamente la femminilità.
    In modo modesto vuol dire evitando, anche nell’abbigliamento proprio del genere femminile, capi e mode che offendano il decoro, la decenza, il pudore e la modestia. Esistono infatti le gonne, ma anche le minigonne; esistono scollature procaci, toppini e bretelline, oggi indossati senza troppa preoccupazione e con tranquilla disinvoltura in quanto accettati, anzi approvati, dall’evolversi del “pubblico costume”. Molte volte questi abiti, mi si consenta, oltre che il decoro offendono anche la raffinatezza, divenendo espressione di pessimo gusto se non addirittura scostumatezza, e danno fastidio anche a quelle persone che, pur senza essere troppo spirituali, hanno conservato un minimo di signorilità e buona creanza.
    Infine in modo elegante. Molte donne scambiano la femminilità con la mortificazione e cominciano a dire: “Eh, ma io mica posso andare in giro vestita come una suora!”. Nessuno ha mai detto questo. I canoni e gli stili a cui deve ispirarsi una donna che vive nel mondo, sia essa sposata o no, non devono necessariamente prevedere delle forme di mortificazione assoluta oppure esigere che esse appaiano “brutte” o sciatte. Vestirsi in maniera femminile non vuol dire prendere in prestito l’abito di una suora di clausura oppure avere come modello lo stile che caratterizza la cultura (peraltro rispettabilissima) delle donne ROM. Salvaguardata la modestia e la femminilità, la donna può e, a volte, deve essere elegante, vestirsi con buon gusto, in maniera anche raffinata e bella. Sarà lei a dover indirizzare al bene con le buone intenzioni tale atteggiamento, facendolo, qualora sia sposata, per piacere al marito come insegna san Paolo e, se non sposata, per piacere al Signore e per mostrarsi con decoro nei luoghi in cui vive e opera. Ma una sana bellezza, anche quella della moda femminile, a mio modestissimo avviso, sarà salvezza per molte donne e per molte famiglie e ridonderà a indubbio beneficio non solo della Chiesa ma dell’intero consorzio umano.

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