RECENSIONI
Chesterton, una Sinfonia per quattro voci
dal Numero 21 del 28 maggio 2023
di Fabio Trevisan

«Un libro che analizza in profondità il pensiero di Chesterton, facendoci intuire la bellezza, la gioia e la felicità che traspaiono nelle pagine del grande scrittore inglese. Un libro quasi provvidenziale, quello di Colombo, che colma alcune lacune interpretative dell’opera chestertoniana e che merita una lettura critica e appassionata».

Con questo terzo volume (Chesterton, una Sinfonia per quattro voci, edizioni Vita e Pensiero), Giuseppe Colombo, professore di filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore scientifico del progetto “Filosofia ed esperienza religiosa”, completa il Trittico nuziale. Legami d’amore per un disegno di civiltà iniziato con Romeo e Giulietta: gli sposi di Verona (2020) e proseguito con I promessi sposi e il pane del perdono (2021).

Come sottolineato nella prefazione, l’Autore ha inteso offrire una lettura “sapienziale” fuori dagli schemi della storia della letteratura, della filologia, della psicologia, della sociologia per cercare di penetrare i testi per estrarre, secondo la maieutica socratica, quelle verità che danno ossigeno alla mente e al cuore.

Le opere del Trittico, come ha affermato Colombo, rispondono a due domande capitali: “Qual è la consistenza dell’uomo?” e: “A quale profondità la ricostruzione dell’umano deve cominciare?”. A questi interrogativi, seppur sovente con un linguaggio indiretto, allusivo o allegorico, hanno saputo rispondere in tempi e circostanze diverse Shakespeare, Manzoni e Chesterton che, secondo Colombo, hanno sciolto l’enigma dell’uomo rivelandone la consistenza in Gesù Cristo e quindi riponendo l’opera di salvezza e di restaurazione dell’umano nella relazione vitale con Dio, con gli altri e con se stessi.

Con riferimento al libro della Genesi l’impulso positivo della creazione è stato passato a setaccio dall’Autore, rinvenendo nelle opere del Trittico un riverbero della luce originale, soprattutto nell’affidamento della custodia della meraviglia del creato all’amore sponsale, tanto che l’intero Trittico può rivolgersi con fiducia al futuro e all’eterno con l’ottimismo realistico della speranza.

Perché una Sinfonia? Perché a quattro voci?

Le opere di Chesterton esaminate in questa terza e ultima parte del Trittico nuziale, anche se l’Autore non segue l’ordine cronologico delle edizioni, sono esplicitamente quattro: La ballata del cavallo bianco, Il Napoleone di Notting Hill, L’osteria volante, Uomovivo, ma tutte e quattro compongono una speciale e originale Sinfonia, la cui nota unificante è uno squillante e reiterato “Sì”! Un “Sì” eclatante che sancisce la predominanza dell’amore, della fede, del matrimonio attraverso quattro voci (come le opere chestertoniane menzionate): Dio, la donna, l’uomo, i figli e, quindi, come ha giustamente sottolineato l’Autore, i temi importanti della figliolanza e della fraternità, propri della famiglia cristiana.

In particolare, nell’esaminare il dono straordinario della vita coniugale in Chesterton, Colombo ne approfondisce la gioia della fede, la felice scrittura ancora fecondamente attuale, il concreto realismo cristiano, l’uso magistrale del paradosso, con un linguaggio, secondo le parole dell’Autore, «chiaro, semplice e potente,

mai banale». In questo atteggiamento di umiltà e di gratitudine si può così comprendere, come ha espresso profondamente Giuseppe Colombo, la portata universale di salvezza dell’opera di Chesterton, radicata nella nuzialità che crea civiltà (non dobbiamo mai dimenticare infatti il significativo sottotitolo del Trittico: “Legami d’amore per un disegno di civiltà”).

La “via maestra” del cavallo bianco

La figura preistorica stilizzata del cavallo bianco, da cui scaturisce il poema di re Alfred, non è solamente un “segno” di qualcosa d’altro, ma è soprattutto la testimonianza visiva e concreta di una realtà misteriosamente viva, ancorata nella tradizione orale popolare tramandatasi nei secoli. Molto acuta la riflessione di Colombo che, riprendendo sant’Agostino («E il Signore vide proprio Zaccheo. Fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto»), si interroga sull’analogia con Zaccheo: noi come Zaccheo, il cavallo bianco come Gesù. Il cavallo bianco può così accomunare attraverso i secoli, Gilbert Keith Chesterton, sua moglie Frances e re Alfred, stringendo un nodo indissolubile tra matrimonio-famiglia-nazione.

Come accennato nella prefazione, anche la ballata chestertoniana, sin dalla dedica alla moglie Frances, ha una chiara fondazione cristologica, ossia tutta la salute (opere culturali e politiche in senso lato) e tutta la salvezza (la vittoria sulla morte) vengono riposte in Cristo e nella sua Vergine Madre. Nell’accostarsi a Maria, infatti, re Alfred riscopre la propria vocazione fino a divenire, tramite la visione reale e l’intercessione della Santa Madre di Dio, eroe e santo (venerato dalla Chiesa). A Lei si affida, a Lei risponde, sollevando un popolo sopito e disilluso. La narrazione della ballata è accompagnata da tre dimensioni: 1) lo spazio, il luogo peculiare (la valle del cavallo bianco) dove si svolge la battaglia tra i cristiani e i pagani danesi; 2) il tempo, sacro perché simile alla sacra liturgia e perché la vita umana è sacra; 3) la gente, espressione di un’epopea di civiltà, di una tradizione specifica che ha conservato la memoria.

Colombo si è soffermato in profondità a far riemergere il decisivo rapporto tra Alfred e sua madre con quello santo tra Cristo e la Madre: il trono vivente di Maria, nel quale Dio siede eternamente. Attraverso la Madre di Dio, Alfred ha chiara la meta: è necessario così, come ha puntualizzato acutamente Colombo, un capovolgimento della prospettiva nel non guardare la terra, ma il cielo. In questa risposta piena, dove riecheggia come nel matrimonio dello stesso Gilbert con Frances un “Sì” prodigioso, re Alfred corrisponde alla chiamata di Dio con gioia e impegno ad attualizzare la fede in Cristo, scoprendo nell’obbedienza al volere divino l’autentica libertà.

Sarebbero innumerevoli gli spunti di riflessione suscitati dalla lettura positivamente critica di Giuseppe Colombo dell’opera chestertoniana (a cui rimando per una completa disamina); ne ho colti in particolare due, a mio avviso molto significativi e preziosi: il primo, la stella rossa che imprime volontariamente sulla fronte di Alfred il simbolo della sua missione, specchio di quella stella che discende dal cielo; il secondo, conseguente alla “stella scarlatta del riso e dell’umiltà”, che accentua il riverbero della perfezione, espressione della mobilità che si manifesta, in opposizione al semplice riflesso, che esprime la staticità dell’immagine. Segnalo inoltre i reiterati acuti rimandi all’opera di Kierkegaard, in rapporto all’eterno e al ruolo (salvifico) della donna.

Il testamento spirituale di Alfred infine rivela quanto sia importante la cura del cavallo bianco, metafora della custodia del nostro cuore. In esso è stupefacente, come ha analizzato Colombo, quanto sia lungimirante il pensiero e la visione dello stesso Chesterton, laddove sottolinea quattro elementi: 1) la perdita della libertà; 2) la distruzione della ragione; 3) la perdita della speranza; 4) la lezione evangelica: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).

Lo stare sul posto e l’andare sempre oltre

Adam Wayne, il Napoleone di Notting Hill, raccoglie il testimone di re Alfred non tanto per lottare contro i pagani danesi di Guthrum, ma per liberare lo stesso popolo inglese dall’invasione del dio denaro che ha sostituito il Dio cristiano. Inizialmente, il primo romanzo (1904) di Chesterton si sarebbe chiamato: Il pazzo e il re, che riassumeva le figure del già menzionato nuovo e ribelle Adamo, il pazzo, e del re umorista e burlone Auberon Quin. Questo re burlone, dalle cui falde dei grigi uniformi frac dei burocrati inglesi intravide la presenza di draghi dalle fauci e dagli occhi aperti, immaginò un altro mondo, meno angusto, meno tetro, divenendo il mentore del pazzo eroe di Notting Hill.

Giuseppe Colombo ha colto sapientemente nella strana e originale vicenda del Napoleone di Notting Hill gli insegnamenti di san Benedetto e di san Colombano, la necessità da una parte di “stare sul posto” (stabilitas loci) e, dall’altra, di “andare sempre oltre” (peregrinatio pro Domino), raggiungendo così due tappe miliari, secondo l’espressione testuale dell’Autore: 1) il patriottismo locale; 2) il buon Dio a cui rivolgersi. Come Colombo rileva dalla vicenda e dal monito evangelico di re Alfred sul diventare bambini per acquisire il Regno dei cieli, l’intera “filosofia sociale” (l’Autore riprende sovente i principi della dottrina sociale della Chiesa) di Chesterton è «saldamente edificata sul fondamento dell’infanzia». La stessa genesi del romanzo Il Napoleone di Notting Hill ha origine dalla spada di legno del bambino Adamo, specchio di quel “patriottismo

locale” che è proprio della natura umana e di quella autentica libertà di scelta che rappresenta l’anelito all’infinito o, come suggerisce giustamente Colombo, il desiderio della totalità dell’essere.

La freschezza del romanzo chestertoniano, che si avvia verso il 120° anno dalla pubblicazione, è rivolta, come ha sintetizzato bene Giuseppe Colombo, contro l’impero cosmopolita, che può realizzarsi: 1) con la violenza delle armi; 2) con l’imposizione, altrettanto violenta, del modello culturale, sociale, politico ed economico.

Il finale rocambolesco e drammatico del romanzo di Chesterton è condensato mirabilmente da Colombo in due frasi assai interessanti: «Finché saremo su questa terra non sapremo mai il perché ultimo della scelta divina» e: «Questo mondo, vera icona dell’unico Dio, è da considerarsi come un “sacramento”: è sacro agli occhi di Dio perché gli appartiene...». Quest’ultima citazione, ripresa dal cardinale e santo inglese John Henry Newman, tratteggia l’esito di una vocazione vissuta pienamente fino alla morte e riproposta con forza nel dialogo conclusivo tra Adam Wayne e Auberon Quin.

La nuzialità e civiltà nell’osteria volante

Un marinaio intrepido irlandese, Patrick Dalroy, un oste vigoroso e strenuo difensore delle tradizioni locali, Humphrey Pump, sono i protagonisti del romanzo che, secondo le parole condivisibili dell’Autore, celebra la nuzialità sponsale che genera la civiltà cristiana. Nei simboli della forma di formaggio e del barilotto di rum, testimoni-metafore delle gesta dei nostri eroi, stanno i due capisaldi rivelatori di questa civiltà, secondo le riflessioni profonde dell’Autore: il sacramento dell’Eucaristia, consumato ripetutamente dai fedeli e mai consumato (in quanto presenza reale divina) e l’unione sponsale tra l’uomo e la donna, in particolare, nel romanzo, l’avventura amorosa tra lo stesso Patrick e lady Giovanna Brett. In quello sguardo malinconico di Giovanna, rivelatore di una trepida attesa e di un dilemma esistenziale profondo, sta tutto il combattimento dell’aristocratica signora che alla fine realizza il suo tormentato sogno: l’essere la sposa del re di Itaca, del focoso guerriero cristiano.

Ancora una volta l’Autore rinviene, nei simboli potenti dell’ulivo e della vite richiamati da Chesterton, il perdono di Dio, di cui i ramoscelli d’ulivo sono il vessillo, e la vite con i suoi tralci evangelici che, unitamente al vino, diventano fonte e fondamento della vita. Dinanzi a questi potenti simboli eucaristici, resi vivi ed efficaci dalle azioni dei menzionati eroi popolari, stanno coloro che vorrebbero, da una parte, introdurre un sincretismo religioso, il cosiddetto aberrante chrislam (connubio tra Cristianesimo e islam) e chi, dall’altra, cavalcando questa ideologia, come il potente lord Filippo Ivywood, approfitta per diffondere un nuovo insostenibile credo, all’insegna del nichilismo distruttore della civiltà cristiana.

L’osteria volante e la sua celeberrima insegna “La vecchia nave” diverranno così non solo simbolo liberatore dall’oppressore ma anche segno di conversione, come nel caso dell’aristocratico Dorian Wimpole, membro del parlamento inglese, conosciuto anche come il “poeta degli uccelli” o come quello del farmacista Adrian Crooke. In gioco, come ha sottolineato correttamente Colombo, «c’è l’identità delle cose e delle persone e la possibilità di conoscerle o meno secondo verità». La negazione di ogni limite, la rottura di tutte le barriere umane da parte di Ivywood lo condurrà inevitabilmente alla follia e svelerà il suo disegno irrazionale di un impero nichilista. Ivywood, la cui conclusione tragica rimanda drammaticamente ai “biglietti folli” di Nietzsche, riprende altri temi del filologo prussiano, quali: l’amor fati, il superomismo, il determinismo che nega la libertà e responsabilità dell’uomo. Al contrario del nichilismo e dell’impersonalismo personificato da Ivywood sta, come rimarcato dall’Autore, «l’amore uomo-donna, l’universale concreto della famiglia, prima cellula della società» che rispecchia la Sacra Famiglia di Nazareth.

Un triduo quasi pasquale

Nella parte finale del volume, l’Autore richiama la Sinfonia a quattro voci presentata all’inizio e che fa da filo rosso tra le opere analizzate di Chesterton. In quel “Sì” risonante dell’Uomovivo (tutto attaccato) e sua moglie Maria si può rinvenire in Chesterton, come ha osservato Colombo, «il cantore del matrimonio, della famiglia, della patria e del patriottismo locale». La gioia prorompente e contagiosa di Innocent Smith, l’Uomovivo, derivante dalla sorpresa della conversione, è accompagnata dalla figura cangiante e silenziosa della moglie Maria e, in modo manifesto, dal vento che solleva e muove tutte le cose, compresi i cappelli degli astanti di Casa Beacon e dalla luce che si irradia come nei dipinti del Tiepolo; il vento (con la luce) diviene così metafora dell’azione dello Spirito Santo. Sottilmente Colombo ravvede così che la strana coppia che si rivela pian piano nel romanzo non solo genera figli, ma anche altre persone a vita nuova, pur generandosi vicendevolmente. Acquisisce quindi, l’unione sponsale, una dimensione pubblica, non solo privata (come suggerisce anche la dottrina sociale della Chiesa).

Nelle vicende scandite dal romanzo, Giuseppe Colombo ha colto decisamente nel segno, intuendone un tempo da triduo quasi pasquale: l’arrivo di Innocenzo corrisponde al Giovedì Santo e all’istituzione eucaristica, il processo e le accuse contro l’Uomovivo testimoniano il venerdì di Passione e il sabato con la domenica di Risurrezione alla liberazione gioiosa dell’Uomo-che-non-voleva-morire. Colombo rimarca felicemente quanto

la Risurrezione (epilogo trionfale anche del romanzo) fa del Cristianesimo la religione della gioia, della speranza e della carità. Nel mistero davvero grande di Cristo e della sua Chiesa sta, come ha osservato approfonditamente l’Autore, la natura misteriosa del sacramento del Matrimonio, rivelando così l’analogia portentosa tra la Comunione eucaristica (primo giorno del triduo pasquale) e l’unione fisica e psichica di un uomo e una donna attraverso il loro beatificante abbraccio, che ne fa una cosa sola, una sola carne, rimanendo tuttavia due persone. Il nome dell’Uomovivo, Innocenzo, rivela ancora una volta, come nella vicenda commovente di re Alfred, il monito evangelico del divenire come bambini, appunto, come loro, innocenti e ilari.

L’originalità dell’Uomovivo cela, ma non troppo, come ha scorto sapientemente Colombo, una grande fede in Dio sotto lo scherzo (Chesterton raffigura Innocent Smith come un burlone allegorico). Maestro del paradosso, Chesterton ci fa vedere quanto la pistola di Innocent sparga e ridesti alla vita, ad iniziare dal pessimista professor Emerson Eames, rettore del Brakespeare College, che si converte immediatamente capendo la mancanza di ragion d’essere dei suoi astratti ragionamenti. Laddove passa Innocent Smith fiorisce la vita, le promesse si rinnovano, l’amore si dilata e muove il cuore (e la mente) dell’uomo.

Ha ragione Colombo a parlare di Sinfonia (con la “S” maiuscola), poiché in Chesterton la vitalità gioiosa della conversione cristiana si fa musica e, non a caso, alcuni protagonisti di Casa Beacon iniziano a danzare nel giardino prospiciente la pensione.

Conclusioni

In conclusione, un libro, quello di Giuseppe Colombo, che analizza in profondità il pensiero di Chesterton, facendoci intuire la bellezza, la gioia e la felicità che traspaiono nelle pagine del grande scrittore inglese. Un libro quasi provvidenziale, quello di Colombo, che colma alcune lacune interpretative dell’opera chestertoniana e che merita una lettura critica e appassionata. Innumerevoli sarebbero, dato lo spessore delle argomentazioni, gli spunti e le intuizioni che rimanderebbero ad ulteriori approfondimenti. L’invito è quindi a leggere le righe del Trittico con attenzione e con passione, senza fretta ma con meditazione, cercando di evitare avventati temerari giudizi. In questo Trittico nuziale l’amore di Dio è sempre presente in filigrana e fa da autentico filo conduttore nelle diverse opere e nei diversi autori trattati. Soprattutto (a mio modo di vedere) nel pellegrinaggio avventuroso di Innocenzo in giro per il mondo alla ricerca della propria casa, si può scorgere l’itinerario spirituale di conversione e di pentimento di ciascuno di noi e della Chiesa stessa, alla ricerca sempre perenne dell’autentica identità e della specifica e originale vocazione missionaria.  

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