MARIA SS.
Consacrazione o affidamento? Perché non è la stessa cosa
dal Numero 24 del 14 giugno 2020
di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino

In fatto di devozione mariana un termine non vale l’altro. La consacrazione è un atto più profondo rispetto a quello dell’affidamento. Ma si può parlarne a giusto titolo? Un breve excursus storico e alcune semplici considerazioni per capire come stanno le cose.

È attualmente diffusa la convinzione che si possa indistintamente parlare di affidamento o consacrazione, sicché l’uno è inteso come sinonimo dell’altro. Ancora peggio, in molti ambienti accademici e curiali, si ritiene che non si debba parlare di consacrazione perché sarebbe fuorviante. Come stanno davvero le cose?

In Teologia, così come in tutti i settori dello scibile umano, il linguaggio è un problema da non sottovalutare mai; anche parlando della Madonna è necessario vigilare perché le parole non tradiscano – volutamente o inconsapevolmente – i valori che queste esprimono. Prima di accennare alla diatriba teologica, partiamo da un elemento non secondario, il fatto cioè che nelle sue manifestazioni la Madonna chieda esplicitamente di “consacrarsi” a Lei.

Basterà qui semplicemente ricordare che a Fatima fu inequivocabile a riguardo: «Per impedirla [la guerra], verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati». Ma anche in tanti altri luoghi ha ribadito la richiesta di consacrarsi e non semplicemente affidarsi al suo Cuore Immacolato. Un motivo ci sarà!...

La prima testimonianza di consacrazione a Maria risale almeno all’VIII secolo con san Giovanni Damasceno (746). Il termine ed il concetto ritornano poi in autori carmelitani del Seicento, per esempio in Leon de Saint Jean, il quale ritiene che «il più completo olocausto che un’anima devota possa fare è di consacrarsi a Dio, a Gesù, a Maria e a tutta la loro benedetta famiglia». Con san Luigi Maria Grignion di Montfort (1716) la consacrazione assume una connotazione fortemente cristocentrica. Il riallineamento della consacrazione sul fronte cristologico raggiunge nuovo impulso nella parte centrale e più originale del Trattato della vera devozione a Maria, dal Santo intitolata La perfetta consacrazione a Gesù Cristo per mezzo di Maria.

Tale devozione si presenta così come una perfetta rinnovazione delle promesse battesimali. Inoltre, essendo Maria Madre e discepola perfetta del Cristo, la più conforme a Gesù, non c’è di conseguenza nulla che conformi l’anima battezzata più perfettamente a Lui che la consacrazione mariana: «Essendo Maria la creatura più perfettamente conforme al Cristo, ne consegue che la devozione a Maria è quella che consacra e conforma maggiormente un’anima a Dio» (cf. n. 120).

Il Montfort ha ben compreso che, essendo Maria tutta relativa al Figlio e alla Santissima Trinità, lo è anche la consacrazione a Lei. L’“Ecclesia discens”, il popolo dei battezzati, non ha mai avuto alcun problema nell’accettare la consacrazione, anzi se ne è da sempre entusiasmata. Ma neppure l’“Ecclesia docens” ha mai avuto remore nell’affermarne la validità teologica. Del resto per i teologi, i Dottori, i predicatori di ogni tempo, infatti, è sempre stato chiaro che la consacrazione intesa come dono totale di sé, è un concetto che si attribuisce a Dio in senso proprio ed esclusivo ma, siccome Maria è stata associata dal Cristo a sé in modo unico e singolare nell’opera di redenzione, è possibile, in un senso secondario, analogico ma non metaforico, darsi a Lei con un atto simile a quello con cui ci si dona a Dio.

Certo, quella alla Madonna non andrà intesa come consacrazione “parallela” o “competitiva” con quella a Dio, perché derivante da essa e finalizzata ad essa, né dovrà essere considerata “identica” a quella dovuta a Dio (in quanto Maria è una creatura) ma neppure può essere classificata come atto meramente “funzionale” perché così si ridurrebbe l’Immacolata ad un mero mezzo o strumento nell’economia salvifica. Ella è con il Figlio, in realtà, protagonista della Redenzione, Nuova Eva affiancante il Nuovo Adamo.

Negli anni del post-Concilio Vaticano II, malauguratamente, molti teologi hanno combattuto il termine “consacrazione” a vantaggio di quello di “affidamento”, influenzando gli stessi pontefici. Il punto d’inizio dello slittamento terminologico e teologico da consacrazione ad affidamento alla Madonna va fatto risalire al 1963, quando un certo Juan Alfaro, teologo dell’Università gregoriana, rigettando il concetto di analogia e il suo uso nell’ambito della consacrazione, si schierava apertamente per un linguaggio che distinguesse rigorosamente la consacrazione a Cristo da quella a Maria. René Laurentin circa 30 anni dopo perviene a posizioni simili insieme ad altri autori, nel libro Retour a Dieu avec Marie. De la secularisation a la consacration. La guerra sul piano teologico fu tale che persino un grande papa mariano come Giovanni Paolo II ne sentì una certa influenza, quanto meno dal punto di vista “diplomatico”. È indicativo che nel 1987, nell’enciclica Redemptoris Mater, non si trovi l’espressione “consacrazione a Maria” ma quella di “affidamento”: «Ai piedi della croce ha inizio quello speciale affidamento dell’uomo alla Madre di Cristo, che nella storia della Chiesa fu poi praticato ed espresso in diversi modi».

Al di là di mere cavillosità teologiche sembra di poter dire che il problema, in realtà, non esista. Se si continua a far uso del termine “consacrazione” in senso analogico, non vi è necessità di far ricorso in modo sostitutivo al termine più moderno di “affidamento”. Come nel secondo caso, anche nel primo resta chiaro che il fine ultimo della consacrazione rimane Dio: Maria Santissima mai, in nessun caso, distoglie o allontana da Dio; anzi Ella è la strada preferenziale e privilegiata che conduce le anime al divin Figlio, secondo l’antica formula «ad Iesum per Mariam» o il felice motto «non si può essere cristiani senza essere mariani» (Papa Paolo VI).

Mettendo da parte, quindi, queste disquisizioni teologiche sarà utile riscoprire l’essenziale, accogliendo con semplicità l’appello della Vergine a Fatima che chiede la consacrazione. A Lei, Madre di Dio e Madre nostra, non è sconveniente il nostro atto di consacrazione, non lo è mai stato nei secoli passati e mai lo sarà. Non solo è possibile ma persino doveroso continuare a predicare e proporre alle anime la consacrazione e non un superficiale atto di affidamento.

Forse il vero problema è che, sull’altare del dialogo ecumenico, si è voluto sacrificare uno dei doni più preziosi offertoci dal Signore, la Madre sua santissima, minimizzando tutto ciò che con Lei ha attinenza. Eppure san Giovanni l’ha accolta “in sua” (Gv 19,27), tra i suoi beni più preziosi.

Non ci stancheremo mai di affermare con san Bernardo e tutti i devoti della Vergine: «A Gesù per Maria». E questo deve valere in senso massimalista, non minimalista. Padre Flavio Uboldi OFMCapp, autorevole esperto di apparizioni mariane, giustamente nota: «Sotto la pretesa di correggere la Madonna, sostituendo il termine “consacrazione” con quello di “affidamento”, adducendo motivazioni teologiche, si potrebbe leggere una sottile insinuazione diabolica tendente a rendere meno efficace la consacrazione al Signore».

La consacrazione è un atto più profondo rispetto a quello di affidamento, coinvolge e impegna in misura maggiore. Non è un atto semplicemente devozionale e trova il suo più profondo fondamento teologico nella maternità e nella regalità di Maria. In quanto realmente Madre nostra oltre che Madre di Dio, alla Vergine Maria spetta di diritto un culto di “iperdulia”, una venerazione tutta speciale in una misura che non è paragonabile a quella che si deve agli altri santi. La consacrazione, pertanto, rientra in questa logica ed esprime, fondamentalmente, una corretta declinazione dell’iperdulia, anzi ne è come la conseguenza logica e naturale.

Donarsi a Maria con un atto di consacrazione per diventare un tutt’uno con Lei e, attraverso di Lei, con Dio, vuol dire proprio riconoscere le sue prerogative di Madre e Regina. Non a torto taluni, con efficace sintesi, parlano di “regalità materna”.

La consacrazione, inoltre, si addice in senso pieno alla Vergine Maria per il fatto che è Corredentrice. La maternità spirituale e la regalità universale, infatti, dipendono dal ruolo unico di Maria nel progetto di redenzione dell’umanità che, lungi dall’essersi esaurita con il suo fiat oblativo che la rese Madre del Verbo Incarnato e Madre nostra, è tutt’ora attiva ed efficace. In quanto Corredentrice, Maria vanta un rapporto di dipendenza irripetibile e singolare con il Cristo. Un siffatto rapporto configura e determina anche il rapporto nostro con Maria e di Maria con noi. È proprio vero che solo se Maria è realmente ed effettivamente Corredentrice svanisce quel timore di consacrarsi a Lei. Corredentrice indica la sua dipendenza da Cristo e la sua partecipazione all’Opera di salvezza. Consacrazione implica un’appartenenza a Lei in quanto dipendente totalmente da Cristo e subordinata a Lui: l’analogia è chiara.

Sembrerebbe proprio che la diffidenza nel parlare di consacrazione a Maria vada di pari passo con quella nell’accettare la dottrina della Corredenzione mariana. Eppure, se fosse maggiormente compreso e riconosciuto a Maria Santissima il ruolo di Corredentrice, sono certo che svanirebbero le perplessità legate alla consacrazione. Che venga presto, allora, il benedetto giorno in cui questa verità sia proclamata dalla Chiesa dogma di Fede, a gloria di Maria e della Santissima Trinità!

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