APOLOGETICA
Diffidare dei miracoli? Purtroppo è anche dei cristiani!
dal Numero 42 del 25 ottobre 2015
di Corrado Gnerre

È strano parlare di diffidenza nei miracoli da parte dei Cristiani. Non solo l’Onnipotenza divina, ma lo stesso mistero dell’Incarnazione, ove Dio si è fatto Uomo, dovrebbe convincerci che “tutto è possibile a Dio”. Non è un paradosso credere all’inimmaginabile e poi diffidare di... un miracolo?

Chesterton, scrittore e convinto Cattolico che spesso cito, amava dire: «Chi crede ai miracoli è perché ha delle prove a favore di essi, chi non crede ai miracoli è perché ha delle teorie contro di essi». Non fa una grinza. Dinanzi all’evidenza dei fatti, l’intelligenza non può che inchinarsi e accettare ciò che le si pone... se poi questa stessa intelligenza volesse ridursi a serva dell’astrazione ideologica, allora sì che essa farebbe dei fatti carta-straccia.
Relativamente ai miracoli, però, questo atteggiamento stigmatizzato da Chesterton non è l’unico. In realtà si tratta di un atteggiamento che possiamo riconoscere in molti non-credenti i quali, pur di dare ossigeno al loro ateismo, antepongono le loro convinzioni all’evidenza. Dicevo però che questo non è l’unica possibile negazione dei miracoli. Ve ne è anche un’altra, se vogliamo molto più sorprendente. Ed è quella di molti credenti, di molti Cristiani, i quali si fanno prendere da un certo timore a cedere dinanzi all’evidenza dei miracoli.
Ora, un conto è la giusta prudenza ed intelligenza nel saper valutare ciò che viene raccontato e conosciuto, prudenza necessaria per non cadere in quello strano errore che è il “miracolismo”, altro è invece la diffidenza. Il “miracolismo” è credere in tutto ciò che viene raccontato di miracoloso, senza valutare; la diffidenza è invece la chiusura sempre e comunque dinanzi alla prospettiva della presenza e dell’intervento dello straordinario nella storia. Il “miracolismo” è da creduloni, la diffidenza è da increduli. Il buon Cristiano, ovviamente, non dovrebbe essere né questo né quello.
Ma torniamo alla strana diffidenza che colpisce molti Cristiani dinanzi ai miracoli, quelli veri, sicuri ed evidenti. 
La naturalità del miracolo sta in un elemento ben preciso che va ben oltre l’Onnipotenza di Dio che già di per sé spingerebbe a credere nell’intervento dello straordinario nella storia. Questo elemento è il Mistero centrale del Cristianesimo: l’Incarnazione. Se Dio si è fatto uomo, cioè se è avvenuto ciò che è umanamente inimmaginabile, allora significa che tutto può avvenire. È da sciocchi credere in questo strepitoso avvenimento (l’Incarnazione) e poi chiudersi dinanzi ad altro. In un certo qual modo questo concetto mi sembra lo abbia espresso anche Benedetto XVI nei suoi libri dedicati all’infanzia di Gesù, allorquando fa capire che relativamente ai Vangeli bisogna accostarsi fornendosi sì di adeguati strumenti interpretativi anche di stampo scientifico, ma senza lasciarsi imbrigliare e totalmente vincolare da essi. Ciò perché i Vangeli non sono libri come altri. Insomma, nella lettura dei Vangeli non si può prescindere dal dato di fede che muove soprattutto dall’accettazione di ciò che di stupefacente è alla base di essi, ovvero che Dio si è fatto uomo. I Vangeli esistono e sono stati scritti perché Dio si è fatto uomo!
La diffidenza può riguardare il miracolo della Risurrezione, ma anche ogni miracolo compiuto da Cristo. Molti esegeti storcono il naso, alcuni si sforzano di farli rientrare in dinamiche naturali o nell’esito di un’eccessiva immaginazione delle prime comunità cristiane. Ma perché, se Dio davvero si è fatto uomo? Una volta che si ammette l’Incarnazione, diventa difficile pensare che questo Dio umanato possa camminare sulle acque, trasformare l’acqua in vino, moltiplicare i pani e i pesci, guarire i paralitici, ridare la vista ai ciechi e Lui stesso risuscitare dopo tre giorni? 
     Sant’Ireneo di Lione (ca. 130-ca. 208), nel suo celebre Contro le eresie (V, 5, 2, SC 153, 63), scrive qualcosa che può essere interessante per ciò che stiamo dicendo: «Qualcuno ritiene forse impossibile che degli uomini possano vivere tanto tempo quanto i primi patriarchi? O crede forse che quando Elia è stato rapito nella sua carne, la sua carne è stata consumata sul carro di fuoco? Consideri che Giona, dopo esser stato precipitato nel profondo del mare e inghiottito nel ventre del pesce, è stato rigettato sano e salvo sull’asciutto per ordine di Dio. Anania, Misaele e Azaria, gettati nella fornace con il fuoco acceso sette volte più del solito, non hanno provato alcun male e neppure l’odore del fuoco era penetrato in loro. Se la mano di Dio li ha assistiti e ha adempiuto in loro cose straordinarie e impossibili alla natura umana, perché stupirti se anche in coloro che sono stati elevati, questa stessa mano ha realizzato una cosa straordinaria, operando la volontà del Padre? Ora questa mano, è il Figlio di Dio». Sant’Ireneo fa riferimento all’età dei Patriarchi, ma – per esteso – serve da buon argomento per ciò che abbiamo detto: la Mano di Dio può tutto!

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