La fortezza
Da Gesù ebbe una eccezionale fortezza soprannaturale a perseguire il bene, a reprimere ogni timore e a evitare la temerità: come Gesù era risoluto, coraggioso e costante.
Padre Pio badò prima a farsi santo, poi a santificare, quindi a intraprendere ed eseguire opere grandi e difficili.
Egli diceva che per farsi santo bisogna saper soffrire, sopportando patimenti, malattie, calunnie e lottando la paura delle penitenze, dei pericoli, delle critiche e del dispiacere degli amici.
Si sforzò di imitare la forza d’animo di Gesù nella vita nascosta, nella vita pubblica e nella Passione, Morte e sepoltura.
Mi rivelò un giorno di aver chiesto a Gesù: «Mi raccomando! Voglio che tutto sia sepolto in me». La partecipazione alle sofferenze di Cristo era totale.
Coltivava il dono della fortezza che gli ha comunicato la generosa disposizione ad immolarsi per Dio e subire quel martirio a fuoco lento, che consiste nello sforzo rinnovato di far tutto per Dio e soffrire tutto per la sua gloria e per i fratelli.
Sopportava, con animo tranquillo, per amore di Dio e in unione con Gesù Crocifisso, i patimenti fisici e morali. La meditazione e la contemplazione della Passione e Morte di Gesù hanno reso la sua anima nobile e generosa nel dare compimento alla missione salvifica del Redentore. La sua pazienza eroica e l’amore alla sofferenza hanno fatto nascere nel suo cuore la sapienza della croce, che è il segreto della sua missione di associato alla Redenzione di Cristo sino alla fine del mondo.
Egli un giorno in Confessione mi spiegò l’itinerario della sofferenza: anzitutto si accetta il dolore da Dio per riparare il passato, purificare l’anima e per vincere ogni ripugnanza; poi si abbracciano i patimenti con ardore e risolutezza, con la gioia di precorrere con Cristo la via dolorosa, dal Presepio al Calvario; si ammira, si loda, si ama ogni stato doloroso di Gesù: della povertà e dell’esilio, degli oscuri lavori della vita nascosta, dei faticosi travagli della vita pubblica e dei patimenti fisici e morali della lunga e dolorosa Passione.
L’anima si sente più coraggiosa di fronte al dolore e alla tristezza, si stende amorosamente sulla nuda croce accanto a Gesù, posa compassionevole lo sguardo su di Lui e ode dal suo labbro: «Beati quelli che soffrono per amore della giustizia».
La speranza di partecipare sempre di più alla gloria con Cristo rende più sopportabile la crocifissione con Lui, fino a rallegrarsi delle miserie e delle tribolazioni. Soffrire con Cristo è amarlo e consolarlo perfettamente. Diventano sempre più grandi il desiderio e l’amore della sofferenza, quanto più grandi sono l’amore a Gesù e alle anime. L’amore perfetto e la sofferenza perfetta portano l’anima a diventare vittima perfetta, disposta a chiedere patimenti eccezionali sia per riparare la gloria di Dio, sia per ottenere grandi favori per i vivi e per i defunti.
Padre Pio mi rivelò, inoltre, di aver chiesto a Gesù e di aver ottenuto non solo di essere vittima perfetta, ma anche vittima perenne, cioè di continuare a rimanere vittima nei suoi figli, allo scopo di prolungare la sua missione con Cristo sino alla fine del mondo.
Egli mi ha detto e confermato di aver avuto dal Signore la missione di essere vittima e Padre di vittime sino all’ultimo giorno.
Per questo la sua costanza non conosceva cedimento, stanchezza o scoraggiamento.
Padre Pio sapeva bene, e lo ricordava anche a me, che la perseveranza è un dono di Dio; conosceva la durata della sua vita e non perdeva mai nel soffrire amando e nell’amare soffrendo con Cristo per i fratelli.
Le forti convinzioni gli donavano una profonda diffidenza di sé e una illimitata confidenza in Dio. Il segreto della sua singolare fortezza gli veniva dal fuoco divoratore dell’amore, più forte della morte, che gli struggeva anche le viscere per amare Cristo e i fratelli delle future generazioni.
Nulla più lo poteva separare dall’amore di Cristo. Dio era la sua fortezza e lui la nostra fortezza.
La temperanza
La temperanza ha reso stabile e costante la fortezza. Essa porta equilibrio e moderazione alle due funzioni della vita organica: il mangiare e il bere, che conservano la vita dell’individuo, e gli atti che hanno per fine la conservazione della specie.
Dagli aneddoti che racconterò ho rilevato che Padre Pio mangiava e beveva pochissimo. Non vi era alcuna proporzione tra le calorie assimilate e quelle consumate ogni giorno.
Dormiva pochissimo. Era sempre sveglio, e pregava, anche se riposava a letto o era seduto sulla poltrona. Recitava ogni giorno da quindici a venti Rosari interi. E alla mia domanda: «Padre, per dire tanti Rosari, non dormite niente la notte?». «E sì», rispose.
La castità
La castità di Padre Pio era austera, delicata, dominata da una perfetta padronanza e resa angelica da uno speciale privilegio che lo esonerava da qualsiasi moto disordinato.
La mortificazione era totale e perfetta per cui egli riusciva a disciplinare e domare il corpo e i sensi; la sua castità, come mi dichiarò un giorno, non è stata mai appannata da nessuna debolezza volontaria, benché minima.
Prima dell’età normale dell’uso di ragione, egli mi ha detto che il Signore non ha permesso che il suo corpo fosse guardato o toccato, se non dai genitori e solo per necessità.
La virtù della castità Padre Pio l’ha difesa con generosità e fermezza mediante l’umiltà profonda, che produce la diffidenza di sé e la fuga delle occasioni; la mortificazione, che svelle il male alla radice; l’impegno fedele ai doveri del proprio stato che previene i pericoli; e l’amore di Dio che non lascia spazio a pericolosi affetti.
Padre Pio in giardino disse: «Io non so se sono gradito a Dio, pur consapevole di non aver mai commesso peccato alcuno, perché non so di aver corrisposto pienamente ai doni che egli mi ha dato».
Egli diceva: «Finché c’è una goccia di sangue, bisogna sempre essere all’erta e lottare»; «Siate perseveranti nel bene»; «Resistete al maligno ed egli fuggirà da voi»; «Nella lotta confidate nel Signore e nella Vergine Santa: l’aiuto non vi mancherà, né tarderà a venire!»; «Siate fedeli! Dopo la notte, viene il giorno».
Padre Pio era affettuoso e riservato, austero e amabile, forte e soave. Accarezzava i bambini, non permetteva che trattenessero la mano nel baciarla, preferiva porgerla con delicata sveltezza, tanto che solo un attento penitente riusciva a sfiorarla con le labbra.
In mezzo ad ali di donne riusciva a passare come un angelo: la voce tonante, il cingolo in mano, lo sguardo penetrante e terribile tenevano a bada chiunque.
E quando qualcuna giungeva a toccarlo, come la donna del Vangelo, appena vedeva il Padre girarsi verso di lei, tremava per aver osato tanto.
Anch’io, una volta, in una calca di donne, rimasi schiacciato insieme a un medico, il dottor Francesco Baisi. Guardai il Padre e lui: «Lasciateli passare, non vedete che li soffocate?», disse a voce alta, con severa dolcezza. Subito, un varco si aprì e raggiungemmo il Padre.
La sua presenza era la nostra migliore difesa. Vicino a lui ci sentivamo bambini: i pensieri, gli affetti e i sensi erano così ordinati che ci sembrava essere in un altro mondo.
Quando ci allontanavamo da lui, ci accorgevamo quanto era brutto il mondo. La familiarità col Padre era nobile e umile, povera di affettuosità ma ricca di gioia; eravamo vicini, anzi stretti a lui, nel suo cuore caldo e paterno, senza sentire altro di lui, se non il suo profumo purissimo.
L’umiltà di Padre Pio, affiancata dalla diffidenza di sé, è stata resa perfetta dalla fuga immediata delle occasioni.
Vedeva tutti, ma non guardava nessuno.
A volte mi chiedeva il nome di qualcuno del quale mi faceva una dettagliata descrizione, tanto da lasciarmi sorpreso e meravigliato.
Camminava sempre a occhi bassi, ma quando alzava li alzava non gli sfuggiva nulla e nessuno. Vedeva di fuori e di dentro, la materia e lo spirito: vedeva senza guardare quello che noi guardando non vedevamo.
Pierino Galeone,
Padre Pio. Mio Padre, pp. 27-32