La carità è il distintivo del cristiano, ma essa diventa eroica quando comporta la donazione di sé fino alla morte. San Damiano, l’apostolo dei lebbrosi, e San Massimiliano, il martire di Auschwitz, sono esempio di una carità eroica portata fino all’estremo.

Il 14 maggio 1873, sua Eccellenza Monsignor Maigret, Vicario Apostolico del Pacifico, inaugurava la chiesa di Wailuku, sull’isola Maui. Durante il breve pasto che concludeva la movimentata giornata, il Prelato esprimeva la sua “grande inquietudine” nei riguardi del lebbrosario dell’isola Molokai. «Vi è in quell’isola – disse il Vescovo con voce rattristata – una situazione che mi procura una grande inquietudine. Io penso soprattutto ai poveri lebbrosi, dei quali un gran numero muore ogni anno senza poter purificare la propria anima prima di apparire innanzi a Dio e che hanno nel loro bruciante dolore niente che ne sostenga la forza morale».
Tutti i Sacerdoti della Congregazione dei Sacri Cuori riuniti attorno al Monsignore, ormai consapevoli dello stato di quel lebbrosario per essersi recati qualche volta, diedero il loro assenso aspettando che il Vescovo facesse il nome della vittima espiatoria. Uno solo non reagì, alla sorpresa di tutti gli altri confratelli, perché conosciuto come focoso e intrepido in fatto di fede e di carità. Era il padre Damiano de Veuster. In quel silenzio che meravigliava i confratelli, si dibatteva nella sua anima una violenta lotta tra il desiderio di consacrarsi tutto intero a quei miserabili fra gli uomini e la ripulsione, il terrore che lo afferrava pensando di andare a vivere fino alla morte (giacché sapeva che, entrato in quell’inferno, non ne sarebbe più uscito vivo) fra quei sventurati suoi fratelli, il cui solo aspetto suscitava spavento.
Come il Maestro divino nel giardino degli ulivi, egli ripeteva: “Mio Dio che questo calice si allontani da me!”. Ma presto, dietro l’esempio del Salvatore, una voce si alzò dal più intimo dell’anima sua: “Padre mio, che la vostra Volontà sia fatta!”. Una volta ancora, la carità, che ha per unico oggetto Dio e le anime, trionfò. «Monsignore – disse infine con grande semplicità – di tutti i distretti di Hawaii il mio è quello che presenta maggior numero di lebbrosi. Cattolici numerosi, che conosco personalmente, sono ora rinchiusi nel lazzaretto di Molokai. Di più, ahimè! io ho una grande pratica della lebbra. Per questo io domando a vostra Eccellenza di volermi inviare a Molokai, e lo domando caldamente!». Stavolta toccò agli astanti rimanere interdetti di fronte a quella offerta spontanea.
Monsignor Maigret non avrebbe mai voluto – come disse egli stesso – imporre questa missione ai suoi missionari visto le difficoltà di tale incarico. Accettò l’eroica offerta di quel soldato volontario verso un posto così pericoloso. Con la massima semplicità, il sacrificio era stato offerto, accettato, consumato. Padre Damiano morirà a Molokai, anche lui consumato dalla lebbra, il 15 aprile 1889.
Mezzo secolo dopo la morte dell’apostolo dei lebbrosi, nel 1941 in Europa, precisamente in Polonia, osserviamo un’altra vittoria dell’amore. Stavolta non si tratta del grido del cuore di un Pastore preoccupato per la porzione più miserabile del suo gregge, ma del grido disperato, dei singhiozzi di un condannato a morte nel campo di concentramento di Auschwitz. Questi, Francesco Gajowniczek, padre di famiglia, condannato a morire nel “bunker della morte” a causa dell’evasione di un prigioniero del loro blocco, piange per la moglie e i figli che non rivedrà mai più. Ma, anche qui, succede qualcosa d’inconsueto: uno dei carcerati rompe le file passando in mezzo ai compagni stupiti, perché tutti sanno che è grave osare ciò. Ma chi era questo prigioniero audace? Fra le file si sente mormorare: «È il padre Massimiliano! È il padre Kolbe!».
Era padre Massimiliano M. Kolbe, il “Folle dell’Immacolata”, l’intrepido “Cavaliere dell’Immacolata”. «Che cosa vuole questo porco polacco?», chiese stupito il comandante Fritsch. «Vorrei morire per uno di questi condannati!», disse il Padre indicando il prigioniero che piangeva. Il comandante rimase sbalordito per qualche attimo. Non poteva che apparire inconcepibile una richiesta del genere. «E perché?», chiese il comandante. «Perché io sono anziano e debole; lui invece ha moglie e figli», rispose padre Kolbe. «Chi sei?», chiese ancora il Comandante. «Sono un Sacerdote cattolico», rispose il martire volontario. Il sacrificio fu accettato e padre Massimiliano prese il posto di Francesco Gajowniczek.
Andava nel bunker della morte come Sacerdote, andava a compiere l’ultimo sacrificio del suo ministero sacerdotale. Come Sacerdote ha potuto assistere e confortare questi prigionieri disperati riaccendendo in quei cuori la speranza ormai spenta dall’odio. Aveva sostituito la disperazione del loro animo con uno slancio irresistibile verso i cieli sereni, dai quali sorride Maria Immacolata, la “Madre di Misericordia” e “Porta del Cielo”. In mezzo a queste anime redente dal Sangue di Cristo, anche se trattate peggio degli animali, San Massimiliano ci offre l’immagine del Buon Pastore che non abbandona il gregge. Confortava, assisteva, pregava per quelli che stavano con lui, certo, ma senza dubbio pregava anche per la salvezza di quelli che li facevano soffrire. Verrà ucciso nel primo pomeriggio del 14 agosto 1941, vigilia dell’Assunzione.
Padre Massimiliano e padre Damiano, come il Maestro divino, hanno consegnato liberamente le loro vite certi di andare incontro alla morte: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Gli eroici discepoli, come il Maestro, hanno voluto dare la vita per i fratelli, ossia salvare i propri fratelli ad ogni costo, anche sacrificando la propria vita in circostanze assai simili al modo col quale si è immolato Gesù.
San Massimiliano M. Kolbe, come anche San Damiano de Veuster, ha adempiuto perfettamente le parole dell’apostolo San Giovanni: «In ciò abbiamo conosciuto la carità di Dio, perché Cristo ha dato la sua vita per noi: e noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). Ma non era forse questo il disegno d’amore di Dio? Ossia, che Egli ci ha predestinati a divenire «conformi all’immagine del Figlio suo», come insegna l’apostolo San Paolo (Rm 8,29)? Come tutti i martiri e i Santi, San Damiano de Veuster e San Massimiliano M. Kolbe hanno davvero realizzato e coronato in pienezza d’amore martiriale questo disegno di Dio, uno nel lebbrosario di Molokai e l’altro nel campo di sterminio di Auschwitz.
Diventare conformi all’immagine del Figlio suo, questo è il disegno d’amore che Dio ha per ognuno di noi. Diventare conforme a Gesù nella carità e nell’amore ai fratelli, a Gesù Crocifisso che ha dato la sua vita per noi. Forse a noi non verrà mai chiesto il sacrificio cruento della nostra vita come ai martiri, ma possiamo diventare anche noi conformi all’immagine di Gesù praticando la carità con i più bisognosi, mettendo da parte il nostro egoismo per aiutare i fratelli in difficoltà, soprattutto pregando per coloro che soffrono e per i nostri persecutori.