
Una sera, doveva essere una fredda sera del 1921 - 1922, mentre i frati si trovavano a cena nel refettorio, Padre Pio era intento a pregare nel coro. A quel tempo gli capitava spesso, autorizzato dal superiore, di non scendere in refettorio per la cena, e, quindi, di raggiungere i confratelli al “fuoco comune”, una stanza dove vi era il camino, e nel camino d’inverno si accendeva il fuoco.
A quel tempo non vi era il riscaldamento in convento e neppure nelle case del paese di San Giovanni Rotondo. E il luogo del camino, a una certa ora, d’inverno, acquistava l’importanza del salotto odierno. Per il resto della giornata e nelle altre stagioni era degradato a zona di ripostiglio generale per cose inutili o di parcheggio per gli utensili che non erano di uso continuo. [...]
Dunque, d’inverno i frati dopo la cena andavano al “fuoco comune” per riscaldarsi e chi voleva poteva alla fine prelevare un po’ di brace e portarla in un piccolo scaldino nella propria cella. Padre Pio, finita la cena dei confratelli, sospendeva la preghiera e scendeva anche lui al piano terra al fuoco comune, che era proprio davanti all’ingresso del refettorio, dove è ancora con il camino sempre senza fuoco, ma sempre buono come deposito di oggetti vari.
Quella sera, dopo essersi alzato dal suo posto, udì uno strano rumore, simile ad uno scricchiolio, proveniente dagli altari laterali della chiesa, chiamati a quel tempo altarini. Drizzò gli orecchi, ma diede poca importanza alla cosa. Subito dopo udì un altro forte rumore, come quello che fanno i candelabri quando cadono, proveniente dall’altare maggiore. In un primo momento pensò a qualche seminarista distratto, andato in chiesa chissà per quale motivo, che faceva danni. Quindi si avvicinò alla ringhiera di legno del coro per rendersi conto del fatto. Invece del seminarista vide un giovane frate immobile sull’altare “in cornu epistolae” (così si espresse Padre Pio nel raccontare il fatto: cornu epistolae è il lato destro dell’altare, per chi lo guarda dalla chiesa, dove una volta si leggeva l’epistola).
«Cosa fai lì?», chiese Padre Pio con voce autorevole. Non ricevendo risposta continuò, sempre con lo stesso tono da mezzo rimprovero, all’indirizzo del giovane sull’altare:
«Sbrighi proprio bene le faccende domestiche! Invece di mettere le cose in ordine, rompi candele e candelabri!».
Le “faccende” in gergo fratesco erano, e lo sono ancora, i lavori domestici della pulizia del convento e della chiesa, affidati ai seminaristi nei luoghi con annesso il seminario.
Il giovane frate rimase ancora muto e assolutamente immobile. Il silenzio era totale. Allora Padre Pio gridò con fare imperioso: «Tu...! Che cosa fai lì?!».
Il fraticello allora gli rispose:
«Sono frate... di...».
Ricevuta quella risposta Padre Pio chiese, tra la curiosità e la meraviglia, ancora con una certa durezza nel tono della voce:
«E che cosa fai a quest’ora, lì?».
Ed il fraticello:«Sto facendo il mio purgatorio qui. Sono stato studente seminarista in questo convento ed ora mi tocca espiare i peccati commessi durante la mia permanenza, qui, perché mancai di diligenza nell’adempiere ai miei doveri in questa chiesa!».
Padre Pio si rese immediatamente conto del caso, capì di che cosa si trattasse e decise di andare incontro al confratello. Con voce dolce e tono paterno, compenetrato nella situazione del giovane fraticello, disse: «Allora, ascolta! Dirò una messa per te domani, ma non venire più qui».
Padre Alessio Parente
Padre Pio e le anime del Purgatorio
1998, pp. 123-126