FEDE E CULTURA
La sacra Sindone nella poesia e nella tradizione popolare
dal Numero 20 del 25 maggio 2025
di Dario Pasero
La sacra Sindone è sempre stata oggetto di grande devozione, soprattutto da parte di coloro che ebbero la grazia di custodirla. Molti sono i componimenti poetici scritti in varie occasioni per onorare questa singolare reliquia, memoriale della Morte e Risurrezione di Cristo.
Il culto della sacra Sindone è talmente profondo nella devozione popolare del Piemonte che molte case di paesi, sia di montagna che di pianura, mostrano affreschi rappresentanti appunto il sacro lino, spesso con la presenza delle figure di quei Santi il cui culto è particolarmente vivo in loco. Inoltre – ed è notizia che non molti conoscono – a Roma esiste una chiesetta dedicata al Santissimo Sudario dei Piemontesi, in via del Sudario, nelle vicinanze di largo Argentina. Essa è attualmente chiesa sussidiaria dell’Ordinariato militare in Italia, ma un tempo fu “chiesa nazionale” del regno di Sardegna ed ora chiesa regionale del Piemonte e della Sardegna. La presenza del sacro lenzuolo nel duomo di San Giovanni Battista a Torino è sempre stato motivo di vanto per gli abitanti della città, tanto che il padre scolopio Giuseppe Giacoletti (1803-1865) – autore di pregevoli (ed apprezzate) poesie sia in italiano che in latino – compose anche, in latino appunto, due odi e tre epigrammi dedicati ad alcuni esponenti di casa Savoia. In una delle due odi, composta in occasione delle nozze, celebrate nel 1842, tra il principe ereditario Vittorio Emanuele (poi II come re) e Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena, troviamo un accenno alla Sindone. Per tali nozze si approntò a Torino un ricco programma di festeggiamenti, con la chiara intenzione di coinvolgervi l’intera popolazione. Per ben ventiquattro giorni, infatti, si ebbero ricevimenti e pubblicazioni commemorative (tra cui alcuni testi poetici composti dal Pellico), ma anche tornei, giostre e spettacoli circensi, tenuti in grandi impianti scenici nelle piazze della città. Il 4 maggio i festeggiamenti si conclusero con l’ostensione straordinaria, in piazza Castello, della Sacra Sindone, per la quale il Giacoletti nell’ode in questione scrisse: «Objicit en velum gemmis auroque refulgens/ Undique spectandum, propriæ vestigia cædis/ Christus ubi impressit divino tincta cruore,/ Effigiemque sui, qua vult solarier usque/ Urbem, Taurini, vestram, ac tutare periclis» [«Ecco che mostra il lenzuolo risplendente di gemme e di oro, ammirevole in ogni parte, dove Cristo lasciò impresse le vestigia della sua morte tinte del sangue divino e la sua immagine, con la quale vuole consolare sempre la vostra città, o Torinesi, e proteggerla dai pericoli» (vv. 89-93)]. Versi che l’Autore, in nota, così postilla: «Exhibita fuit sanctissima Sindon, augustum illud christianæ religionis monumentum; quæ Taurini in regali sacello servatur urna admodum pretiosa, religiosissime colitur, et in rebus adversis sæpissime civitati opitulata est» [«Ci fu l’ostensione della santissima Sindone, quella famosa e veneranda reliquia della religione cristiana; essa, conservata a Torino in un luogo regale in un’urna assai preziosa, è venerata con molta devozione, e nelle avversità molto spesso è venuta in soccorso alla città»]. Ciò che però testimonia, aldilà delle poesie dotte italiane e latine, l’autentica devozione popolare alla Sacra Sindone può essere una cantica, a noi conservata, scritta in piemontese e composta di 12 ottave di versi ottonari. L’autore di tale testo è anonimo (forse un ecclesiastico, vista la sua conoscenza di particolari scritturali e teologici), ed esso si presenta come una sorta di sermone in versi, anche se nel frontespizio, pur mancando a noi la musica, è definito come “cantata”. Quasi ogni sua strofa definisce con nettezza una caratteristica fondamentale del sacro lenzuolo: nella 1a la sua autenticità: «questo lenzuolo è proprio quello/ che San Pietro trovò»; autenticità a cui bisogna fermamente credere: «son cose, queste che si affermano qui, che portano danno se non credute» (2a strofa); si ribadisce la santità della reliquia nella 3a strofa: «la più Santa reliquia che si possa trovare»; nella 4a e 5a strofa, con un artificio retorico quanto mai suggestivo, si immagina poi che sia la Sindone stessa a parlare, e attraverso di essa Gesù Cristo stesso, affermando come essa, la Sindone, sia ricordo della morte del Salvatore ed insegnamento per i cristiani ad accettare la sofferenze: «una memoria della mia morte,/ che vi insegni a sopportare i torti»; ma anche tutela morale da mali e tribolazioni: «è uno scudo, una bandiera/ che vi difende da tutti i mali» (6a strofa); non manca, poi, alla 9a strofa, l’elogio di casa Savoia: «questa Reliquia che il destino ha portato in questi confini/ per la bontà di Casa Savoia/ è rimasta a Torino»; con l’invito finale al pentimento, alla richiesta di perdono ed alla preghiera, in modo speciale per il Sovrano, nella strofa 11a: «Ah! preghiamo tutti insieme/ qui in Piazza Castello» e nella 12a: «Diciamo ancora, rispettosi,/ una preghiera perché almeno/ il Sovrano, che ci ha concesso/ un favore così prezioso/ viva a lungo per fare del bene».
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