ATTUALITÀ
Il buio oltre la siepe
dal Numero 18 del 11 maggio 2025
di Antonio Farina
Il destino dell’uomo è il Paradiso e per questo siamo stati creati. Ma quanti sono gli uomini che ancora oggi ci credono e vivono di conseguenza? Per chi non crede in Dio, dopo la morte c’è il “buio oltre la siepe”, un salto nell’ignoto... Per chi invece ci crede, inizia la vera vita.
L’Immacolata, Regina dell’universo, nel suo accorato appello del 1917 a Fatima ha ben delineato il possibile scenario spirituale mondiale: «Se faranno ciò che vi dirò, molte anime si salveranno, avranno pace. La guerra sta per finire. Ma se non lasceranno di offendere Dio, sotto il pontificato di Pio XI ne comincerà un’altra peggiore...». Poiché il suo appello è rimasto inascoltato, anzi è caduto nel vuoto, non solo è seguita la seconda Guerra mondiale con 40 milioni di morti e distruzioni apocalittiche nel cuore dell’Europa, ma è dilagata l’ondata nera dell’apostasia, della perdita della fede, del relativismo morale, del neo positivismo pseudo scientifico. L’umanità si è sostanzialmente divisa in tre “categorie”: chi non crede in niente, chi crede in un “dio” che non può salvare, chi, pur credendo nel vero Dio Creatore e Salvatore si è arreso alla logica del mondo e vacilla nel riconoscere i dogmi più fondamentali della fede cattolica. Uno (sparuto) drappello di credenti è rimasto fedele a Cristo e al suo Vangelo. Il dissolversi della prospettiva metafisica e lo svanire della trascendenza hanno come immediata conseguenza la disperazione. L’uomo moderno, senza Dio, è disperato. E lo è per vari motivi: non comprende più il senso della vita, non vede una vita futura oltre la morte, affoga le proprie angosce e frustrazioni nelle droghe e nei piaceri effimeri. La realtà del dolore, la caducità del mondo, la finitezza della condizione umana... Tutto gli appare come un nonsense indegno di essere vissuto. Perfino l’universo cosmico, che con la sua perfezione ordinata gli prospetta l’esistenza di un’Entità superiore, amorevole ed infinita soggiacente al reale, diventa per lui indecifrabile, incomprensibile, enigmatico, fonte di inquietudine e turbamento. Le domande cruciali che ogni essere umano si pone: «Chi siamo, da dove veniamo, dove siamo diretti?» rimangono senza risposta, senza soluzione, senza un barlume di logica che possa dissipare il mistero. Esiste l’aldilà? E se esiste com’è fatto? Può la nostra coscienza, la nostra identità, sussistere senza il corpo biologico che va in (inevitabile) disfacimento? La scienza atea nega ogni possibilità di vita ultramondana, pensa che tutto finisca con l’ultimo respiro, ritiene che il nostro “io” sia un “sottoprodotto” dell’attività neuronale del cervello. Finito il cervello, finito tutto. Questa è la deplorevole condizione dell’odierno, progredito, avanzato, supertecnologico “Homo faber” o, per dirla con qualche evoluzionista imbonitore scientifico televisivo, “di noi Sapiens”. In verità Dio esiste, ci ha creati per amore, governa il mondo, ci ha redenti col Sacrificio di suo Figlio Nostro Signore Gesù Cristo e ci aspetta nell’aldilà. Dopo la perdita della grazia e la cacciata dall’Eden, per noi il Paradiso e il godimento eterno del volto di Dio erano preclusi. Solo il Sacrificio di Gesù e di Maria Santissima ci hanno ottenuto la salvezza e ci hanno riaperto le porte del Cielo. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16). Lo stesso Redentore rivela: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via» (Gv 14,1-4). Pertanto, il destino dell’uomo è il Paradiso. Per questo siamo stati creati e per questo esistiamo. Certo, il nostro libero arbitrio può nullificare il progetto di Dio: possiamo scegliere tra il bene e il male e molti tra noi scelgono la via della perdizione. «Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano» (Eb 11,6). Senza la fede viene a mancare anche la speranza di una felicità eterna, e il volto dell’uomo diventa “abbattuto” come quello di Caino che non ha creduto nella misericordia di Dio ed ha consumato i suoi giorni terreni come un fuggitivo, come un disperso: «Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”» (Gn 4,13-14). Paradossalmente Gesù ha parlato una sola volta di “Paradiso” e lo ha fatto rivolgendosi ad un peccatore: «“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”» (Lc 23,42-43). Durante la sua vita pubblica, Gesù ha incessantemente parlato ed insegnato con molte parabole la dicotomia, l’insanabile divisione della nostra meta finale. Gesù parla con autorità dei due diversi destini che ci aspettano nell’aldilà: la parabola delle dieci vergini, cinque savie e cinque stolte (Mt 25,10), la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (Lc 16,22), quella dei talenti. Nel capitolo 25 del Vangelo di san Matteo (versetti 34-36), Gesù presenta la parabola del giudizio universale, in cui il re separa l’umanità in due insiemi: a quelli alla sua destra dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». A quelli alla sua sinistra prospetta il loro destino «fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,12). Qualche riga prima il Redentore ammonisce: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). È assolutamente importante, per chi l’ha smarrita, ritrovare la via della fede in Dio e in Gesù Cristo. Chiunque crede in Gesù non ha paura della morte e gioisce delle cose future: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). Per noi uomini “razionali e scientifici” è arduo il concetto di eternità e non comprendiamo il “mistero dell’infinità” sia del tempo che dello spazio. Fa parte dei limiti delle creature intravedere l’assoluto ma il non possederlo mai completamente. Eppure questa è la natura di Dio ed è anche la nostra natura di quando valicheremo la soglia dell’eterno. Nel 1960 fu pubblicato un romanzo che ebbe un immediato successo di pubblico e critica, e che nel 1961 vinse il premio Pulitzer per la narrativa. L’Autrice è la scrittrice statunitense Harper Lee. Il titolo originale To Kill a Mockingbird, “uccidere un tordo”, ovvero compiere un’azione crudele e immotivata, è inadatto perché non rende bene il concetto profondo che invece anima la storia narrata: la paura dell’ignoto. Il bracciante nero Tom Robinson viene ingiustamente accusato di aver ucciso una ragazza bianca (Mayella Ewell), e l’avvocato Atticus Finch, incaricato dal giudice Taylor di difenderlo, mette in evidenza l’assenza di prove a carico dell’imputato e avvalora la sua innocenza dimostrando in modo inconfutabile che le percosse subite dalla giovane, nonché la stessa violenza, sono opera del crudele e ignorante padre Bob Ewell. La giuria condanna ugualmente Tom che viene incarcerato solo perché è una persona di colore: dunque una denuncia del razzismo imperante nell’America, nell’Alabama, degli anni Trenta. Ma c’è di più: tra i personaggi che si intrecciano nella vicenda c’è Arthur Radley, detto “Boo” che è invece un recluso con problemi psichici che non esce mai di casa, il “vicino”, che Jem e Scout, (figlie adolescenti dell’avvocato), non hanno mai visto e che temono solo perché non lo conoscono. Egli incarna la minaccia che la malvagità umana rappresenta per l’innocenza. Oltre la siepe che separa la casa dei Radley dalla strada c’è dunque “qualcosa” che non conoscono e che tutti sospettano. Il titolo italiano del romanzo è molto più espressivo: Il buio oltre la siepe rappresenta l’ignoto e la paura di affrontarlo. Per chi vive senza Dio, per chi l’ha rinnegato, per chi non lo accetta e lo combatte perfino, il termine della vita rappresenta il “buio oltre la siepe”, un salto nell’ignoto, in un abisso indecifrabile, in un baratro oscuro. Per chi crede in Dio è invece l’inizio di una storia d’amore divino, un ritorno nella patria del Cielo, un cammino di luce e di gioia senza fine.
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