A volte capita di trovarsi in situazioni di estrema difficoltà, senza via di uscita e in profonda solitudine. Gesù si è fatto legare e imprigionare proprio per condividere queste nostre pene e darci il coraggio di affrontarle e vincerle, insieme a Lui.

Dopo le tre ore di agonia nel Getsemani, Gesù si alzò e andò incontro ai suoi nemici. San Luca dice: «È la loro ora...»
(Lc 22,53). Un’ora decisa da Gesù stesso; è il momento decisivo, dunque, per lasciarsi legare e portare via. Dal momento che gli legarono le mani, Gesù si lasciò portare, picchiare, insultare, sputare in faccia e ciò fino al Calvario.
A volte può capitare nella nostra vita che ci siano degli eventi o situazioni che sembrano piombare all’improvviso e ci “legano le mani”, nel senso che non possiamo far nulla, ci sentiamo impotenti e possiamo solo soffrire e offrire. La natura vorrebbe ribellarsi ma è inutile, tutto sembra schiacciarci e qualsiasi nostra iniziativa sarebbe inutile per cambiare le circostanze così opprimenti. A volte sono situazioni che si protraggono nel tempo e sembrano quasi toglierci le forze proprio per l’incapacità di poter mettere un termine a ciò che ci sovrasta.
In queste situazioni estreme ci aiuta moltissimo pensare a Gesù legato e portato via dai suoi nemici. Egli non si lamenta, non parla. Si lascia condannare, flagellare, incoronare da re da burla, con tutte le atroci sofferenze e imprecazioni malvagie degli uomini. Ecco che Gesù aveva già visto il nostro soffrire e con la sua pazienza divina ci ha ottenuto quella forza necessaria per perseverare nelle situazioni più difficili e prolungate nel tempo. L’aggravante di questi momenti estremi è sicuramente la sensazione di profonda solitudine, il sentirci come “abbandonati” da coloro che dovrebbero accorgersi della nostra prostrazione e venirci in soccorso. Se ciò non avviene è perché così è stato anche per Gesù. Dal momento che l’hanno legato e portato via, Gesù è solo, tremendamente solo. Pietro lo segue per un po’ ma da lontano; quando si tratta di compromettersi, però, lo rinnega e se ne fugge...
Quando anche noi sentiamo questa solitudine estrema, dobbiamo pensare che questi sono proprio i momenti in cui assomigliamo di più a Gesù e, soprattutto, i momenti in cui Lui ci è più vicino: sono i momenti più santificanti della nostra vita. Sembra un paradosso, certamente, ma nella logica della Redenzione, tutto si svolge nel paradosso del soprannaturale, laddove gli eventi esterni vanno letti con lo sguardo della fede e del suo grande amore per ognuno di noi.
La venerabile suor Consolata Betrone, meditando questo passo del Vangelo, scrive: «Dopo l’agonia del Getsemani, Gesù si lascia legare e condurre dove vogliono... Non fa resistenza, non apre bocca, non si lamenta, tace come mite agnello, segue i suoi nemici, perché attraverso essi Egli adora il volere del Padre!... Come vittima, Gesù mi ha legata con funi... Devo lasciare che ora Egli, attraverso le sue creature, mi conduca dove vuole. Non fare resistenza, non lamentarmi... ma compiere con amore il divino volere! E quando Gesù fu legato non ebbe più appoggi umani... un cuore amico da cui ricevere conforto!». Suor Consolata ci dice che «Gesù adorava il volere del Padre» in ogni iniziativa malvagia contro di Lui.
Questo “paradosso dell’amore” ci suggerisce che anche noi possiamo santificare la nostra sofferenza, soprattutto quando non la capiamo, adorando la volontà del Padre, di Colui che vuole solo il nostro bene e che attraverso la Passione del suo Figlio ci ha ottenuto la grazia abbondante per superare ogni situazione, anche la più estrema e opprimente. Non è facile, sicuramente, adorare la volontà del Padre “tra le lacrime” più cocenti, però possiamo farlo con la volontà, anche se il sentimento non ci aiuta ma sembra ribellarsi a una tale follia. Gesù, nella Passione ci ha testimoniato la follia dell’amore più grande e, se a volte vuole renderci partecipi di tale follia, è solo per la nostra corona in Paradiso e per le anime da salvare, a noi affidate.