APOLOGETICA
Solo con Dio il tempo diventa armonia
dal Numero 41 del 20 ottobre 2013
di Corrado Gnerre

“Il miracolo non sta solo nella bellezza della rosa, ma che questa bellezza tornerà ancora...”. La bellezza infatti non è solo nella novità ma nella sua ripetitività, cosicché il divenire storico non ha solamente un senso ma anche una sua propria armonia, voluta da Dio.

L’esperienza quotidiana, il senso comune, l’opinione diffusa fanno credere che la bellezza delle cose stia nella loro novità. In un certo senso è così, ma solo in un certo senso. Se è vero (ed è vero) che la novità ha in sé l’elemento della sorpresa, per cui essa palesa dinanzi alla sensibilità il “nuovo” come qualcosa di non ancora visto e di non ancora accaduto; è pur vero che la novità, proprio perché è novità, sottende un interrogativo: ma perché ciò che ora osservo e sperimento non era già prima?
A meno che tale novità, è novità per me ma non per sé, nel senso che già esisteva: è nuova perché adesso si palesa a me, ma già esisteva.
Ci sono infatti due modi d’intendere il “nuovo”: o lo s’intende come qualcosa che è nuovo per il soggetto che lo sperimenta, che lo vede, che lo sente, ma già esiste in quanto tale; oppure lo s’intende come qualcosa che è nuovo in quanto sperimentato dall’uomo, insomma sarebbe l’esperienza soggettiva a renderlo effettivamente tale; o, se non è l’esperienza soggettiva, è il puro caso: esiste adesso ma poteva anche non esistere affatto.
Il secondo modo di intendere il “nuovo” è un falso, è una sorta di illusione che coinvolge in maniera immeritata l’attenzione e, proprio perché è un falso, può conferire solo un’illusoria soddisfazione. Altra cosa è invece il primo modo d’intendere il “nuovo”. è tale ciò che non viene deciso dal soggetto, ma che è davvero così.
Questa premessa – forse un po’ criptica, lo ammetto – fa sì che possa introdurmi nella riflessione ad alcune parole che ha scritto Chesterton allorquando parla del fatto che la bellezza non starebbe nella novità in quanto tale, bensì nella sua ripetitività. Egli scrive in Ortodossia: «Il mondo moderno come io lo trovai si basava saldamente sul calvinismo moderno, sulla necessità che le cose fossero come sono. Ma non appena cercai di porre delle questioni mi accorsi che non si possedeva nessuna prova di queste inevitabili ripetizioni di cose, all’infuori del fatto che si ripetevano. Ora, a me, la pura ripetizione faceva vedere le cose come nate da un incantesimo piuttosto che da un principio razionale». E ancora in Eretici: «Sono gli dèi a non stancarsi della reiterazione delle cose; per loro, il crepuscolo è sempre nuovo e l’ultima rosa è rossa come la prima».
La costanza dei gesti, la perfetta armonia degli avvenimenti palesano all’uomo un divenire storico che non solo ha un senso ma anche un’armonia, anzi la bellezza sta proprio nel fatto che, in una prospettiva del genere, senso e armonia si fondono, diventano una sola cosa e danno forma al tempo: il tempo diviene significato armonico. Non è un caso che in tutte le religioni ci sia una posizione di questo tipo in merito al tempo sacro che interrompe costantemente quello profano. Non mi riferisco solo a quelle religioni (per esempio Induismo e Buddismo) che – sbagliando – concepiscono il tempo come una sorta di “eterno ritorno” in cui tutto è all’insegna della circolarità, in cui non c’è spazio né per la finalizzazione del tempo stesso né tanto meno per il ruolo protagonista e libero della persona umana; ma a tutte le religioni: non c’è religione che non arriva a significare i passaggi temporali con una costante irruzione del sacro nella storia.
Il Cattolicesimo ha l’Anno liturgico, dove tutto si ripete e dove rimane sempre costante l’alternanza tra tempo sacro e tempo profano, dove tutto ruota sull’Avvenimento più importante, il Triduo Pasquale, che significa la salvezza di tutto l’uomo: della sua anima e del suo corpo.
Ma torniamo al concetto di tempo armonico. La consapevolezza che l’accadere delle cose soggiace ad una legge che ne scandisce l’apparire e che questa legge si realizza perché pensata e voluta, pone il tempo come esito di un progetto. Il tempo diviene sinfonia di un desiderio che è uscito da chi è Signore della storia, della realtà, di tutto.
Il miracolo, infatti, non sta tanto nel fatto che una cosa accada ma che si ripeta... e si ripeta sempre alla stessa identica maniera. Il miracolo non sta solo nella bellezza della rosa, ma che questa bellezza tornerà ad essere ancora, che tante rose ancora dovranno sbocciare: «...il crepuscolo è sempre nuovo e l’ultima rosa è rossa come la prima».
Questa ripetitività che non stanca, anzi che meraviglia, può essere amata solo da chi sa aprire il cuore al mistero. Un altro grande scrittore, che spesso cito, Giovannino Guareschi, e che sa leggere – alla pari di Chesterton – la realtà alla luce della bellezza di Dio, descrive in una sua novella una sensazione che tocca ad un suo celebre personaggio: «Il fiume era sempre lo stesso di centomila anni prima. Anche il sole: tramontava ma, l’indomani, sarebbe risorto dalla parte opposta. Peppone, chissà perché, si trovò appunto a pensare a questo fatto straordinario e concluse tra sé e sé che, diciamo la verità, Dio è uno che ci sa fare». Forse era bastata solo quella considerazione per far capire al “materialista” Peppone la sciocchezza di credere che il caso domini tutto.
Non c’è armonia che non si ripeta e, quando si ripete, incanta sempre come la prima volta. Raccontò Benedetto XVI in un’udienza generale del 31.08.2011: «Mi torna in mente un concerto di musica di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonardo Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle “Cantate”, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c’era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio”. [...] Speriamo che il Signore ci aiuti a contemplare la sua bellezza, sia nella natura che nelle opere d’arte, così da essere toccati dalla luce del suo volto [...]». Chissà quante volte Ratzinger aveva ascoltato quella musica di Bach, ma in quel momento fu ancora come la prima volta.
Nella ripetitività meravigliosa della natura e della realtà c’è il volto di Dio, che non annoia mai, anzi: in Paradiso contempleremo per l’eternità Dio e ogni istante... sarà sempre come il primo istante.

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