I FIORETTI
Il Sacerdozio di Padre Pio: il Padre delle anime /1
dal Numero 16 del 24 aprile 2022

C’è un aspetto del Sacerdozio cattolico forse fino ad ora messo poco in evidenza: il sacerdote con il celibato si dona totalmente a Cristo, nella Chiesa e per la Chiesa, e viene rivestito di una missione a favore delle anime che ha tutti i caratteri della paternità spirituale: «Egli, lasciando il padre e la madre – scrive il papa san Giovanni Paolo II –, segue Gesù buon Pastore, in una comunione apostolica, a servizio del Popolo di Dio. Il celibato è dunque da accogliere con libera e amorosa decisione da rinnovare continuamente, come dono inestimabile di Dio, come “stimolo della carità pastorale”, come singolare partecipazione alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza al mondo del Regno escatologico» (Pastores dabo vobis, n. 29).

Il sacerdote con l’accoglienza del dono del celibato, non rinuncia alla sua paternità, ma la vive e la rende feconda ad un livello più alto, nella dimensione soprannaturale, generando non alla vita fisica, ma alla vita imperitura della grazia. Pensiamo alla sovrabbondanza di vita soprannaturale che scaturisce dall’amministrazione dei sacramenti, soprattutto del Battesimo, della Confessione e dell’Eucaristia. Quante anime generate alla grazia attraverso la potenza vitale di grazia di questi sacramenti, i cui dispensatori sono solo i sacerdoti! La paternità del sacerdote, inoltre, si realizza nell’alimentare, nel far crescere, nel portare alla maturità la vita di grazia nelle anime, in analogia a quanto fa un padre per i propri figli, prima generandoli alla vita e poi prendendosi cura della loro crescita, dei loro bisogni, della loro educazione fino alla “maturità”. 

L’appartenenza a Dio solo attraverso il celibato è stato veramente il forte «stimolo alla carità pastorale» e al «servizio del popolo di Dio» in innumerevoli sacerdoti nel corso della storia. Tra i tanti non possiamo non pensare, all’inizio della Chiesa, a san Paolo apostolo che nelle sue lettere si dimostra appassionato padre e pastore delle anime, da lui rigenerate alla grazia attraverso il suo ministero e la sua sofferenza. Ai Corinzi scrive: «Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo» (1Cor 4,14-16). In Galati 4,19 la tenerezza dell’amore di san Paolo si eleva ancor più e dalla paternità passa ad espressioni proprie di una madre: «Figlioli miei che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!». E ancora, ai Tessalonicesi: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari [...] e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria» (1Ts 2,7-12).

Le parole di san Paolo potrebbero essere messe sulla bocca di tanti pastori della Chiesa quali san Benedetto da Norcia, san Filippo Neri, san Camillo de Lellis, san Vincenzo de Paoli, san Giovanni Bosco, ecc… e si addicono superlativamente a san Pio da Pietrelcina, che con il suo ministero sacerdotale, la sua sofferenza di “crocifisso”, il suo zelo e la cura di padre e guida spirituale ha condotto alla salvezza e alla santificazione centinaia e anche migliaia di anime.

Egli visse la sua paternità soprattutto al confessionale, dove attraverso il sacramento della Riconciliazione riportò a Dio innumerevoli anime, che poi non lo lasciavano più. In quei momenti, per lo più brevi, ma intensi, si instaurava tra le anime e il Santo una profonda comunione, come tra padre e figlio o figlia, ed egli diveniva il punto di riferimento insostituibile di queste anime, che poi ritornavano periodicamente a San Giovanni Rotondo e si facevano guidare da lui in tutto, anche nelle minime scelte della vita quotidiana. 

A tal riguardo viene in mente la conversione di un massone di altro grado, venuto a San Giovanni Rotondo solo perché la moglie, ammalata di cancro e moribonda, glielo aveva chiesto, e pensava di avere tanta possibilità di essere aiutato quanta ne ha chi vorrebbe fare un terno a lotto! Si ritrovò inginocchiato senza volerlo dinanzi al Santo, che appena lo vide mentre indugiava in piedi dinanzi al confessionale gli disse: «Ma che sei venuto a fare!? Un terno a lotto?!», e gli intimò perentoriamente di non fargli perdere tempo e di inginocchiarsi, se voleva confessarsi. Quasi meccanicamente e senza convinzione, egli si inginocchiò senza avere la minima idea di cosa fosse una Confessione. Ovviamente fu padre Pio che, sotto forma di domande, gli svelò tutti i peccati della vita passata. Quando stranamente alla fine gli chiese se ricordava ancora qualcosa, alla sua risposta negativa, fu ancora padre Pio che, con severità, gli disse che quella giovane, sua amante, che egli aveva lasciato partire per l’America, aveva avuto un figlio che era sangue suo… ed egli aveva abbandonato entrambi! Racconta il protagonista: «Era tutto vero! Non risposi. Scoppiai in un pianto incontenibile. Mentre col volto nascosto tra le mani, piangevo, curvo, sull’inginocchiatoio, il Padre dolcemente mi poggiò il braccio sulle spalle, e avvicinandosi all’orecchio, mi sussurrò, singhiozzando: “Figlio mio, mi sei costato il meglio del mio sangue!”», cominciando a piangere con lui. Quel “figlio prodigo” alla fine della Confessione disse di voler essere tutto di padre Pio e che avrebbe fatto tutto ciò che lui desiderava (cf. Don Pierino Galeone, Padre Pio, mio padre, San Paolo 2009, pp. 64-65). Nasceva tra loro un vincolo di paternità/figliolanza spirituale che nessuno avrebbe mai più spezzato.  (continua)

 

di Suor M. Gabriella Iannelli, FI, Il Settimanale di Padre Pio, N. 16/2022

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