SPIRITUALITÀ
San Policarpo, uno dei più grandi vescovi
dal Numero 08 del 20 febbraio 2022
di Paolo Risso

 “Era stato fatto cristiano da Giovanni, l’apostolo di Gesù, e aveva ascoltato direttamente da lui la mirabile avventura del Figlio di Dio fatto uomo, che aveva mangiato e bevuto con gli uomini, prima e dopo la sua Risurrezione. Dunque la sua fede dipendeva dall’aver visto gli occhi di Giovanni, che avevano guardato direttamente negli occhi di Gesù”

Attorno al 197 d.C. Tertulliano scrive nel suo Apologeticum: «Noi cristiani siamo nati ieri e abbiamo già riempito la terra: le città, i municipi, il foro, i palazzi, il senato, le borgate, gli stessi campi, le tribù e le fattorie. A voi non restano che i vostri templi». Dunque, nonostante tutto, il Cristianesimo è dilagato e dilaga. Gli apostoli, dai Dodici ai più ignoti, hanno seminato il Vangelo, senza un preciso progetto, non parliamo di piani pastorali.

Tacito e Plinio, storici, parlano di un “contagio”: la notizia di fatti semplici e grandi, con lo stupore che crea, corre di bocca in bocca. Nascono e si allargano comunità cristiane a macchia d’olio, grazie a qualcosa che passa da persona a persona: un amico, un mercante, uno schiavo, in casa, in piazza, sui mercati, quasi sussurrata all’orecchio. Qual è questa notizia? 

Buona novella

Si tratta di “un certo Gesù di Nazareth, che è morto sulla croce” come olocausto di amore, e che dalla morte è tornato alla vita e che opera nel mondo e attira a sé. È Lui il Cristo atteso dagli Ebrei, ma anche da pagani “timorati di Dio”. Così Roma era piena di Ebrei, che all’inizio i Romani non distinguevano dai cristiani. Ogni tanto tumultuavano. Nel 49 d.C. un tumulto provoca l’imperatore Claudio a espellerli dalla città. Dice lo storico Svetonio che “tumultuavano a causa di Cristo”, parlandone come di persona vivente, sul quale si gioca la vita.

Tra costoro c’era gente di tutti i tipi e di tutte le età, così che un pensatore poteva essere convertito a Gesù da uno schiavo che già aveva creduto a Lui. Proprio la testimonianza dei più semplici, anche davanti al martirio, è la più glorificata dalla Chiesa. Gli intellettuali, spesso, allora come oggi, riducono la Fede cattolica a valori umani, ma non accettano Gesù, l’uomo-Dio. È l’eresia gnostica e docetista, che Giovanni, l’apostolo prediletto da Gesù, condanna come “l’anti-cristo” (1Gv 4,3).

Policarpo di Smirne è uno dei più grandi vescovi di questi tempi, grande difensore della fede dei semplici. Era nato a Smirne, in Asia Minore, attorno al 70 d.C. Era stato fatto cristiano da Giovanni, l’apostolo di Gesù, e aveva ascoltato direttamente da lui la mirabile avventura del Figlio di Dio fatto uomo, che aveva mangiato e bevuto con gli uomini, prima e dopo la sua Risurrezione. Policarpo – scrive Ireneo – era stato «familiare con molti che avevano conosciuto il Signore». Dunque la sua fede dipendeva dall’aver visto gli occhi di Giovanni, che avevano guardato direttamente negli occhi di Gesù. 

La gioia di vedere

Verso il 100 d.C. l’apostolo Giovanni aveva nominato Policarpo, 30enne, vescovo di Smirne, quando era già diventato molto autorevole perché era stato a contatto del “prediletto di Gesù”, “che aveva riposato sul suo petto”. Ignazio d’Antiochia, che nell’agosto del 107 era stato suo ospite a Smirne, in una sua lettera lo presenta come «un uomo ancorato al Signore, fondato su di Lui, come su roccia incrollabile». Le comunità dell’Asia minore guardavano a Policarpo come al loro “primate” per custodire la fede vera in Gesù Cristo, di fronte all’eresia gnostica.

Policarpo, nella sua lettera ai Filippesi, scrive: «Chiunque non professa che Gesù Cristo è venuto nella carne è un anticristo, e chi non riconosce il suo sacrificio sulla croce, è del demonio. Chi stravolge la Parola del Signore e nega la sua risurrezione, è il primogenito di Satana». Ai valori umani degli intellettuali, Policarpo oppone “il vedere”: Giovanni aveva visto e toccato Gesù, crocifisso e risorto realmente. E lui, Policarpo, aveva visto con i suoi occhi Giovanni e si era infiammato per Gesù ascoltando Giovanni. E così aveva fatto Ireneo che da giovane si era fatto cristiano a Smirne, affascinato da Policarpo.

Il Papa stesso, Aniceto, riconosce l’autorevolezza di Policarpo. Racconta Eusebio di Cesarea nella sua Storia della Chiesa che tra il 154 e il 155 Policarpo venne a Roma per conferire con Aniceto sulla questione della data della Pasqua: Policarpo celebrava la Pasqua il 14 di nisan, come aveva imparato da Giovanni. A Roma e in Occidente la Pasqua era celebrata la domenica successiva, secondo la tradizione petrina. Al riguardo Aniceto e Policarpo non raggiunsero un accordo, ma «rimasero in comunione tra loro, attorno allo stesso Gesù, da entrambi amato in modo ardente».

A Roma, Policarpo di nuovo incontrò l’eretico Marcione, dotto della conoscenza umana, ma negatore di Gesù l’uomo-Dio, come gli gnostici. Marcione interpella il Vescovo: «Salve! Non mi riconosci?». Replica Policarpo: «Sì, riconosco in te il primogenito di Satana!».

Durante la sua assenza, a Smirne, i pagani che avevano identificato in lui il capo, il padre e il maestro dei cristiani della città avevano tramato contro di lui. Appena giunto a Smirne, nonostante i suoi 85/86 anni, Policarpo viene arrestato. Si era nascosto in una casa in aperta campagna, dove però riuscirono a scovarlo per la spiata di uno schiavo. Policarpo offre da mangiare e da bere ai poliziotti, ai quali assicura preghiere per loro e per tutti gli uomini, per tutta la Chiesa. Al riguardo, un cristiano, testimone oculare del fatto, ne redigerà “un verbale” commovente, giunto fino a noi. 

“Il maestro di tutta l’Asia”

Il capo degli sbirri si trovò imbarazzato ad arrestare un uomo così vecchio che aveva lo sguardo di un bambino. Strada facendo, lo fece salire sul suo carro e gli disse: «Rinnega Cristo!». Alla risposta negativa di Policarpo, fu gettato a terra. Arrivano allo stadio, colmo di gente assetata di sangue e di divertimenti; costoro gridano: «Vogliamo vederlo morto!». Si narra nella cronaca che il proconsole Stazio Quadrato cercò di farlo abiurare: «Abbi riguardo alla tua età... giura per il genio dell’imperatore, cambia opinione». «Di’ morte agli atei!» (così erano ritenuti i cristiani). Ma lui lanciò la sua sfida, girò lo sguardo verso la gran folla vociante, stese il braccio verso di loro e gridò: «Fai sparire gli atei!». Il proconsole insistette in un crescendo drammatico: «Giura, insulta Cristo e ti rilascerò!». Policarpo lo guardò e rispose: «Lo servo da 86 anni e non mi ha mai fatto alcun torto. Come posso bestemmiare il mio Re che mi ha salvato?». Ma l’altro insistette: «Giura per il genio dell’imperatore!». Allora Policarpo: «Se credi di poterti gloriare che io giuri come dici, e fingi di non sapere chi sono, ti confesso con franchezza: io sono cristiano. Se anche tu vuoi conoscere Cristo, fissa un giorno per ascoltarmi».

Con aria beffarda, il proconsole gli dice: «Prova a convincere questa gente!». Policarpo: «Io parlavo a te, perché ti ritenevo degno di una spiegazione su che cosa è il Cristianesimo. Ci è stato insegnato a tributare il giusto onore alle autorità, ai poteri stabiliti da Dio, a meno che questi non ci obblighino ad offendere Dio». Il proconsole: «Io ho le belve! Ti getterò in pasto a loro, se non cambierai opinione». Policarpo: «Tu minacci il fuoco che brucia per un momento e poi in breve si spegne? Non conosci infatti il fuoco del giudizio di Dio e della punizione eterna che attende gli empi. Perché indugi? Decidi come vuoi!».

Il proconsole era sconvolto: non aveva mai incontrato un tipo così. Quando fu annunciato che Policarpo aveva appena confessato di essere cristiano, la folla rispose con un boato: «Eccolo, è lui il maestro di tutta l’Asia, il padre dei cristiani, quello che distrugge i nostri dèi». Era l’elogio più grande che gli potessero fare, l’onore più sublime che potessero tributargli, non certamente un’infamia. Era il 23 febbraio del 155 d.C., verso le due del pomeriggio. I giochi delle belve erano finiti e la folla chiedeva di bruciare vivo Policarpo. La gente prende ad affastellare legna e rami. Policarpo viene legato con le mani dietro la schiena: «Sembrava [era proprio lui!] il capo del gregge, destinato al sacrificio». Policarpo, prima che si accenda il fuoco, grida la sua fede e il suo amore a Cristo. I cristiani di Smirne raccolgono quelle parole che conserveranno come un tesoro, per sempre.

Le fiamme lo avvolgono come una vela in cui soffia il vento, ma non lo sfiorano. Per dargli il colpo di grazia, viene mandato un sicario a trafiggergli il petto con una lama.

Per Policarpo, tutto era iniziato dal suo incontro con Giovanni, l’Apostolo prediletto da Gesù, la verità di un volto, di parole, di una umanità diversa e nuova, propria di chi ha visto, sentito e toccato Gesù, il Verbo della vita (1Gv 1,1-3). Lo stesso capitò a Ireneo, quando vide e ascoltò Policarpo. Ireneo, poi vescovo di Lione, rivolgendosi a Fiorino, che poi con superbia era passato all’apostasia della gnosi (la gnosi spuria!), scriverà: «Io ti ho visto, quando eri ancora giovane, in Asia minore. Avevi una posizione brillante alla corte imperiale, ma cercavi la stima e l’amicizia di Policarpo [...]. Posso ancora dirti il luogo dove sedeva, per intrattenerci, il beato Policarpo, il suo andirivieni, la sua vita, il suo aspetto fisico, i discorsi che teneva alla folla, il modo in cui descriveva i suoi rapporti con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore Gesù, i suoi miracoli, il suo insegnamento, in una parola come Policarpo aveva conosciuto la Tradizione da coloro che avevano visto con i loro occhi il Verbo della vita. In tutto ciò che raccontava, egli era d’accordo con le Scritture [= i Vangeli, le lettere di san Paolo, ecc...]. Io ascoltavo tutto con attenzione e, per la grazia che Dio ha voluto farmi, lo annotavo mentalmente e ora lo medito e trasmetto agli altri».

Ecco, questa è la Tradizione: all’inizio c’è Gesù, che predica agli Apostoli... tra questi c’è Giovanni, che racconta Gesù a molti, tra cui c’è Ireneo, che diventa vescovo di Lione. La Tradizione è questo passa-parola, che dagli Apostoli passa ai loro immediati successori, da questi ad altri... fino a noi. Noi accogliamo questa Parola che è Gesù e come il tedoforo porta la fiamma e la trasmette a quelli che seguono, così ciascuno di noi è un anello di questo passa-parola, di questa Tradizione per viverla, e passarla a chi incontriamo. Così succede che un povero ragazzo di campagna, come me, abbia “visto” Gesù nel volto di mamma e papà, del parroco della mia giovinezza, della maestra delle elementari, di alcuni amici più grandi di me. E io, benché sia nulla, ho fatto vedere, ho raccontato il volto, la storia di Gesù ad altri amici, i quali già la raccontano ad altri. “Tribolati sì, ma vinti mai!”.

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