Nella lettera del 12 marzo 1913 scritta da san Pio al suo Padre spirituale, Gesù si lamenta della noncuranza e dell’ingratitudine degli uomini verso il Sacramento dell’Eucaristia, come abbiamo scritto nell’articolo precedente. Il lamento di Gesù va poi oltre e si estende ai suoi ministri:
«“Anche i miei ministri che io ho sempre riguardato con predilezione, che io ho amato come pupilla dell’occhio mio; essi dovrebbero confortare il mio cuore colmo di amarezze; essi dovrebbero aiutarmi nella redenzione delle anime, invece chi lo crederebbe?! Da essi debbo ricevere ingratitudini e sconoscenze. Vedo, figlio mio, molti di costoro che... (qui si chetò, i singhiozzi gli strinsero la gola, pianse in secreto) che sotto ipocrite sembianze mi tradiscono con comunioni sacrileghe, calpestando i lumi e le forze che continuamente dò ad essi...”. Gesù continuò ancora a lamentarsi. Padre mio, come mi fa male veder piangere Gesù! L’avete provato ancora voi?».
Le parole di Gesù fanno rabbrividire: Egli si attenderebbe dai sacerdoti, che sono i suoi prediletti, consolazione e riparazione e, per la natura stessa del Sacerdozio, collaborazione nell’applicazione alle anime dei frutti della Redenzione e invece, al contrario, molti di essi – «molti di costoro» – non solo sono ingrati, ma persino sacrileghi... e qui padre Pio, con sommo dolore del suo cuore delicato e pieno di amore, vede piangere Gesù: «Come mi fa male, veder piangere Gesù...».
In una successiva apparizione Gesù ritorna in maniera incalzante sull’argomento e chiede a san Pio di scrivere tutto al suo Padre spirituale. Nella successiva lettera del 7 aprile 1913 egli descrive tutto quello che ha visto:
«Venerdì mattina ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: “Macellai!”. E rivolto a me disse: “Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia sino alla fine del mondo”».
Questa seconda rivelazione di Gesù manifesta ancora più incisivamente la sofferenza e il disgusto di Gesù, la sua pena che egli definisce “agonia” senza fine, per quei sacerdoti che celebrano la Messa in maniera indegna, tanto da poter esser definiti da Gesù stesso “macellai”. Anche qui Gesù piange...
In entrambe le apparizioni il pianto di Gesù termina con una richiesta di riparazione: «Figlio mio, soggiunse Gesù, ho bisogno delle vittime per calmare l’ira giusta e divina del Padre mio; rinnovami il sacrificio di tutto te stesso e fallo senza riservatezza [riserva, n.d.r.] alcuna». Nella seconda manifestazione Gesù afferma:
«Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L’anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimè mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L’ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l’agonia».
San Pio si era già offerto, qualche anno prima, vittima per i peccatori. Gesù in questa occasione gli chiede di rinnovare il sacrificio senza riserva di tutto se stesso, ed è chiaro dalle parole di Gesù che questa offerta vittimale deve includere anche i sacerdoti.
La vita sacerdotale di san Pio è stata un’offerta di soave odore a confortare il Cuore di Cristo. La sua lunga preghiera dinanzi al Tabernacolo, la celebrazione quotidiana della Messa con un’intima e totale partecipazione al Sacrificio di Cristo, in perfetta conformità al Sacerdote e Vittima divina, la sua concrocifissione con Cristo attraverso la stimmatizzazione, il suo indefesso ministero pastorale a favore delle anime attraverso l’amministrazione del sacramento della Penitenza e attraverso la direzione spirituale, il suo essere in mezzo al popolo come il Buon Pastore, pronto sempre ad accorrere e a intercedere con la sua potente preghiera per qualsiasi bisogno del gregge a lui affidato, ha fatto di padre Pio il “sacerdote santo, vittima perfetta” che ha riparato e impetrato per il Sacerdozio cattolico con l’esemplarità, con la preghiera, con il sacrificio.
La missione a favore dei sacerdoti egli l’ha espletata poi anche con la cura diretta di tante anime di sacerdoti, suoi figli spirituali, che hanno fatto di lui il punto di riferimento della loro missione sacerdotale, imparando da lui come vivere con perfezione il proprio Sacerdozio e divenendo a loro volta sacerdoti santi e vere stelle di luce nella Chiesa e fra la gente.
Tra i tanti, ci sono in particolare due sacerdoti, divenuti poi entrambi fondatori, che devono a san Pio il proprio Sacerdozio ostacolato dalla malattia, ai quali il Santo ottenne la guarigione e dei quali, poi, si fece personalmente formatore attraverso la direzione spirituale, imprimendo in loro quello stesso spirito sacerdotale che animava il suo cuore.
Il primo è don Domenico Labellarte morto centenario recentemente, l’11 novembre 2021, fondatore dell’“Opera a servizio della divina Misericordia” con due istituti religiosi e due istituti secolari. Rimandato a casa dal collegio Capranica di Roma per la sua salute cagionevole, con poche speranze di poter proseguire il percorso di formazione, ebbe la felice idea e sorte di incontrare padre Pio che, prendendolo sotto la sua direzione spirituale, diede una svolta decisiva alla sua vita: egli non solo non dovette abbandonare il suo “sogno” ma divenne sacerdote e missionario, e poi anche fondatore, punto di riferimento per numerose anime di religiosi, di sacerdoti e di laici.
Il secondo è don Pierino Galeone fondatore della famiglia secolare dei Servi della Sofferenza. Durante il suo percorso di formazione in seminario fu colpito da una grave malattia che comprometteva seriamente la possibilità di andare avanti. Anche egli decise di recarsi a San Giovanni Rotondo da padre Pio nel 1947. Rimase accanto a lui per molti giorni, gli serviva la Messa, gli stava accanto tutte le volte che poteva, sentendo fortemente la presenza di Gesù. Non gli parlò della sua malattia che nel giorno in cui partì esprimendo, nel salutarlo, il suo desiderio di star bene e di continuare il seminario per diventare un buon sacerdote. Padre Pio lo guardò, poggiò la mano sul suo petto e la portò piano piano su tutte le parti finché, arrivato al centro, si fermò e, con le dita strette, batté un colpo sul petto, dicendo: «Di tutto potrai morire, eccetto di qua». Don Pierino, repentinamente guarito, poté diventare quel sacerdote che ancora oggi, ultranovantenne, possiamo ammirare nelle sue visite a San Giovanni Rotondo mentre celebra la Messa, predica splendidamente e passa tra tanti laici, aderenti alla sua opera e non, come un padre e pastore buono.
di Suor M. Gabriella Iannelli, FI, Il Settimanale di Padre Pio, N. 8/2022