I FIORETTI
Casa Sollievo della Sofferenza e le sofferenze del Padre
dal Numero 30 del 15 agosto 2021

Giunto a San Giovanni Rotondo, padre Pio si rese conto che la zona era depressa sotto tutti gli aspetti e, in modo particolare, sotto quello igienico-sanitario. Gli ammalati dei paesi limitrofi, per mancanza di strade e di mezzi di comunicazione, con difficoltà potevano raggiungere gli ospedali di Foggia, Napoli e Bari. Molte volte vi giungevano solo per ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi.

Allora? Da questa realtà al sogno. Dal sogno all’iniziativa: dare assistenza agli ammalati con un piccolo ospedale. 

Prese atto di un progetto (mai realizzato) proposto dal presidente, Adelchi Fabrocini, della Congregazione di Carità. Ma nulla da fare. Caro lettore, confesso che per me è stato molto semplice scrivere “nulla da fare”, ma quanto costò a padre Pio che vedeva fallire il progetto di curare gli infermi!

Si decise, allora, di adibire un ristretto locale dell’ex monastero delle Clarisse. Nacque così l’ospedale San Francesco: due camerette riservate, due corsie con venti posti letto, pochi medici, poche attrezzature, poche garze, poco impegno! Padre Pio soffrì moltissimo. Poi venne il terremoto e distrusse tutto.

Noi diciamo: un fatto provvidenziale che tolse il Padre dall’imbarazzo dell’umiliazione. Invece andò in crisi.

Era volontà di Dio quell’ospedale, nell’attuazione del quale si era esposto in prima persona, o frutto della sua fantasia carica di superbia? Non mi sento di affermare che l’ospedale San Francesco fosse dettato da un pizzico di superbia, ma non ho timore di riconoscere che non era volontà di Dio.

Come faccio a dirlo? Dalla realtà dei fatti. Dopo qualche anno di sofferenza e di preghiera, padre Pio esclama: «È andato in rovina l’ospedale San Francesco? Ebbene, ne costruiremo uno più grande». Lo chiamerà: Casa Sollievo della Sofferenza.

La sua idea è bella, grandiosa, utilissima!... E i soldi? Cominciò a sondare il terreno e nell’entusiasmo qualcuno prometteva qualche liretta e qualche altro, confidenzialmente: «Padre, non dimentichi il proverbio che dice: Senza soldi non si cantano Messe».

Padre Pio per i soldi non si dava pensiero. L’inefficienza dell’ospedale San Francesco non dipese dalla mancanza di soldi, ma dal disimpegno della gente locale. Difatti ci furono anche delle offerte: armadio con i ferri chirurgici, biancheria, uno smeraldo con perline e una somma di lire 15.000 [...].

Nella costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza non è solo la mancanza di acqua, corrente elettrica, manovalanza che dà preoccupazione al Padre. Il problema economico era prioritario e catalizzava le sofferenze del Padre. È vero, le offerte giungevano da tutte le parti del mondo, ma tante volte non erano sufficienti e arrivavano in ritardo. Oh, sì, quanto era terribile giungere alla fine del mese o alla vigilia di Natale, di Pasqua e non avere un soldo in cassa per pagare la mensilità agli operai!

Questi erano comprensivi, ma i figli dovevano mangiare. Che fare? Allora padre Pio, dirigenti, operai, tutti uniti in chiesa a pregare invece di scioperare. In chiesa a supplicare l’intervento della divina Provvidenza. Questa non si faceva attendere.

Se, però, mancava tutto il necessario, vi era l’abbondanza delle critiche e delle argomentazioni per scoraggiare la costruzione.

Sanguinetti, Sanvico, Kisvarday, Sacchetti e il gruppo dei sostenitori apparvero come dei temerari, dei “pazzi megalomani”. Le persone citate erano stimate da tutti, ed allora?

Il male stava alla radice, in colui che era riuscito a manipolare le loro menti: padre Pio. “Se è santo faccia il santo, se è prete faccia il prete, dica la Messa, non metta alla berlina tante persone e non getti al vento tanti soldi”, dicevano i benpensanti di turno.

Quanta sofferenza! Del resto, a tutti sembrava impossibile un ospedale su quel pendio roccioso.

Un ultimo accenno fugace, ma non meno incisivo sulle sofferenze del Padre. Mi riferisco alle lotte interne all’ospedale, tra gli stessi dirigenti, tra la direzione della Casa e i frati, tra gli operai, che cercavano di difendere il proprio pezzo di pane quando si affacciava il pericolo della sospensione dei lavori.

Possiamo sintetizzare lo stato d’animo di padre Pio, durante gli anni della costruzione della Casa Sollievo, in due espressioni.

La prima mi è stata confidata da padre Pellegrino. Un giorno, in cui il Padre maggiormente si sentiva schiacciato dal peso della responsabilità e dalle difficoltà dell’Opera, esclamò: «Mi pento di aver dato inizio alla costruzione della Casa Sollievo». Un’espressione molto forte che sta ad indicare la crudezza della sua sofferenza.

L’altra espressione viene motivata proprio da questo stato di dolore e dalle innumerevoli difficoltà, di fronte alle quali egli non si arrende ed esclama: «Ho lavorato, voglio lavorare; ho pregato, voglio pregare; ho vegliato, voglio vegliare; ho pianto e voglio piangere sempre per i miei “fratelli d’esilio”».

Il 5 maggio 1956, in occasione dell’inaugurazione della Casa Sollievo, padre Pio, con un discorso incisivo, presenta le linee programmatiche dell’Opera e l’affida alla cura dei Gruppi di Preghiera e ai suoi figli spirituali. Tra l’altro dice: «Quest’Opera, che voi oggi vedete, è all’inizio della sua vita, ma per poter crescere e diventare adulta questa creatura ha bisogno di alimentarsi e perciò essa si raccomanda ancora alla vostra generosità affinché non perisca d’inedia e divenga la città ospedaliera tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche e insieme ordine ascetico di francescanesimo militante. Luogo di preghiera e di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un sol pastore». 

 

Padre Marciano Morra,

Il mistero del dolore in Padre Pio

e gli angeli del conforto,

98-99, 101-103

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