Nel Triduo più sacro dell’Anno liturgico, che è il Triduo pasquale, è incastonato il bellissimo giorno del Giovedì Santo, nel quale si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio. Il Venerdì Santo è per antonomasia il giorno della massima espressione dell’amore di Dio, manifestato nella Passione e Morte di Gesù abbracciate per la salvezza di ogni singolo uomo. A ben pensarci, però, il dono dell’Eucaristia, e con essa del Sacerdozio, sembra superare l’espressione di amore sommo del Venerdì Santo perché, donandoci la presenza reale di Gesù, e con essa tutto il mistero di Cristo, ricapitola e contiene in sé anche il Sacrificio del Calvario ripresentato in forma incruenta durante la Santa Messa.
L’eccesso d’amore di Gesù, poi, va oltre l’immaginabile perché egli nell’Eucaristia non solo perpetua ogni giorno, in ogni Santa Messa, il Sacrificio del Calvario, ma si annienta fino a nascondere la sua presenza viva e reale sotto le Specie del pane e del vino, trovando così il modo di farsi nostro Cibo e di rimanere sempre con noi. Solo Dio, Sapienza infinita, poteva arrivare a una tale invenzione, espressione ultima e ineguagliabile del suo amore infinito: «In finem dilexit eos» (Gv 13,1-5).
Il Sacerdozio e l’Eucaristia costituiscono le realtà sacre più proprie della personalità e della santità di san Pio da Pietrelcina, sacerdote stimmatizzato che ha fatto del mistero eucaristico e della Santa Messa, che egli da grande mistico quale era riusciva a sondare e soprattutto a vivere nella maniera più intensa, il centro di tutta la sua vita e del suo apostolato.
Vi sono diversi scritti che ci danno un’idea di quale fosse la contemplazione e la vita eucaristica del Santo, dai quali vogliamo attingere qualche stralcio. Egli contempla anzitutto Gesù nel Cenacolo, splendente di bellezza e di amore, durante l’istituzione dell’Eucaristia: «Portiamoci col pensiero al Cenacolo: miriamo Gesù seduto a mensa con gli Apostoli; ha gli occhi splendenti di una luce straordinariamente soave, quel volto divino è oltre il solito acceso. Egli è proprio in un’estasi d’amore! Rivolto agli Apostoli con voce commossa e affettuosa dice loro: “Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi prima di patire... Non si turbi però il cuore vostro e non tema, perché non vi lascerò orfani, ma sarò con voi fino alla consumazione dei secoli”. E finita la cena pasquale prese il pane e benedicendolo lo porse ai suoi: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo!”. E la sostanza del pane si cangiò nel suo adorabile corpo. Poi prese il calice e, rese grazie, disse: “Prendete e bevete: questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che deve essere sparso per voi, in remissione dei peccati”. E la sostanza del vino si mutò nel suo sangue preziosissimo» (1).
Questo dono d’amore di Gesù – riflette san Pio – ci è lasciato proprio nel momento in cui Gesù veniva tradito e si preparava la sua cattura e condanna a morte: «In quella medesima notte memoranda in cui gli uomini si accingevano a preparargli tradimenti e morte, Gesù pensò a lasciare se stesso, affinché intendessero che il suo amore era così grande che, invece di raffreddarsi di fronte a tante offese, vieppiù intenso si rendeva» (2).
In quel memorabile primo Giovedì Santo, nella Santa Cena pasquale, Gesù istituiva il Sacerdozio, attraverso il quale la sua presenza eucaristica e il suo Sacrificio si sarebbero perpetuati nei secoli e avrebbero raggiunto tutti gli uomini di ogni tempo. Scrive san Pio: «[...] La carità di questo divino amante non è ancora al colmo. Egli volle che non solo i presenti fossero partecipi di un dono così grande, ma ancora tutti i suoi seguaci nei secoli avvenire. [...]. Memore, dico, quest’oggi, delle sue promesse di amore ai suoi inviati conferisce, innanzi di uscire dal Cenacolo, per recarsi nell’Orto degli Olivi, agli Apostoli la pienezza di un sacerdozio che doveva, per mezzo della sacra ordinazione, conferirsi e trasmettersi ad altri fino alla consumazione dei secoli.
La sua parola: “Fate questo in memoria di me” [segna] l’universalità del dono attraverso tutti i luoghi e tutti i tempi. Egli ha dato compimento alle brame amorose del suo Cuore santissimo, che pure aveva detto di provare le sue delizie nello stare con i figli degli uomini» (3).
Anche padre Pio, come secoli prima santa Teresa d’Avila, in contrasto con l’infinita bontà e degnazione del Dio dell’Eucaristia, considera l’infinita ingratitudine degli uomini che con la loro indifferenza, freddezza, noncuranza, non sanno corrispondere a tanto dono o, ancora peggio, arrivano a profanare con sacrilegi e maltrattamenti il Sacramento dell’Amore. Per questo egli, come la santa di Avila, vorrebbe quasi chiedere al Padre divino di «togliere Gesù da mezzo agli uomini per non vederlo così malamente trattato», ma si rende conto che non potrebbe vivere senza questo Cibo eucaristico, non potrebbe vincere la sua debolezza «senza essere fortificato da queste carni immacolate»; «ma intanto – egli prega –, Padre santo, vi scongiuro o di porre presto fine al mondo o di dar termine a tante iniquità, che contro l’adorabile persona del vostro Unigenito continuamente si permettono. [...]. Glorificatelo come egli ha glorificato voi ed intanto, Padre santo, dateci oggi il nostro pane quotidiano; dateci sempre Gesù durante questo nostro breve soggiorno in questa terra d’esilio» (4).
Nel suo sconfinato amore e delicata sensibilità, come ci rivelano queste sue parole che si elevano come un grido accorato al Padre, padre Pio soffriva molto per le mancanze di rispetto, le indifferenze, le profanazioni e i sacrilegi verso Gesù nel Sacramento dell’altare, soprattutto se perpetrati dai sacerdoti. C’è una visione nella quale Gesù stesso mostra a padre Pio qualcosa di sconvolgente, che gli lascerà nel cuore, per sempre, un dolore incommensurabile. Era il 7 aprile 1913 a Pietrelcina. Mentre era ancora a letto gli apparve Gesù tutto malconcio e sfigurato. «Egli mi mostrò – scrive – una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: “Macellai!”».
Il disgusto, le lagrime, il dolore, l’espressione estremamente forte di Gesù fecero soffrire molto il Santo, che credeva di morirne per il dolore che ne provò nel corpo e nell’anima e che lo spinsero a fare della sua vita un’offerta vittimale anche per i sacerdoti. E quanto dovette essere invece di consolazione per il Cuore eucaristico di Gesù, l’amore appassionato di san Pio per il Sacramento dell’Amore!
Passava ore e ore, di giorno e di notte accanto al Tabernacolo, celebrava la Messa in un’estasi di amore e di dolore, immerso totalmente nel mistero del Calvario, concrocifisso con Cristo e partecipe della sua Passione; nella Comunione diventava una sola cosa con il Cuore di Gesù, facendo esperienze di Paradiso, in una fusione dei cuori tale che «non erano più due cuori che battevano, ma uno solo».
Un sacerdote, suo figlio spirituale, ci lascia questo breve ma meraviglioso ritratto di san Pio all’altare: «Stupende riuscivano le sue liturgie, perché coinvolgeva nei suoi riti, quando celebrava, quando distribuiva la Comunione. Con i suoi occhi spalancati, fissi sull’Ostia, attirava e trascinava tutti i presenti: era l’amore che si esprimeva e suscitava conversioni e slanci verso Dio. Era bello vedere le sue mani posarsi sull’Ostia santa, con la delicatezza di una madre con tra le braccia la sua creaturina; è impossibile dimenticare l’attenzione e la cura che provava verso i frammenti dell’Ostia santa sulla patena e sul corporale».
San Pio ci ottenga di vivere questo Giovedì Santo con immensa gratitudine per il dono del Sacramento dell’Amore e del Sacerdozio; il suo esempio ci sproni alla preghiera generosa per i sacerdoti e ci sia di aiuto per vivere una vita cristiana profondamente eucaristica.
di Suor M. Gabriella Iannelli, FI
Note
1) Dolcissimo Iddio. Lettere a Giuseppina Morgera, Editrice Ancora 1994, p. 86.
2) Epistolario I, p. 197.
3) Ivi, p. 89.
4) Epistolario IV, p. 62.