Una delle cose che padre Pio raccomandava con insistenza era la preghiera. In particolare, la recita quotidiana del Santo Rosario. Innumerevoli sono le testimonianze al riguardo. Io sapevo pregare poco, ma durante i viaggi non si tralasciava mai la recita del Santo Rosario. Non sapevo i misteri e lo dicevo senza. Un frate mi disse che così non contava nulla. Allora mi scrissi tutti i 15 misteri e sistemai il bigliettino attaccato al parasole di fronte a me. L’invenzione fu di scarsa utilità, perché era difficile leggere e nello stesso tempo guidare. Ci pensò una «Signora» a risolvere il problema.
Una notte, in sogno, ero a sedere a tavola, in casa mia. Entra una signora, il fazzoletto in testa, e si siede vicino a me. «Giovanni, diciamo il Rosario?». Io acconsento e si comincia. Si recitò insieme tutte le 15 poste. Era lei che a ogni posta ricordava il mistero. Quando si arrivò al quinto mistero glorioso – ogni volta che ci ripenso mi viene la pelle d’oca – concluse con queste parole: «...Quando mio Figlio mi coronò di gloria» e scomparve.
La mattina, appena sveglio, dico a mia moglie: «Ho imparato tutti e quindici i misteri del Santo Rosario». «Ma sta’ zitto – fa lei –. Ieri sera non li sapevi. Fammi sentire». E glieli snocciolai tutti e 15. Da allora non li ho più dimenticati. Eccetto una volta. Successe diversi anni dopo. Il Padre era già morto. Mi svegliava nel cuore della notte e mi mandava in cucina a dire il Santo Rosario. Inizio la recita e quando sto per dire il mistero non riesco a ricordarlo. Pensa, pensa, non mi veniva. Ecco, allora, che entra la stessa «Signora» e lo recita insieme a me. All’ultimo mistero, prima di scomparire, mi ricorda: «Io sono quella... quando mio Figlio mi coronò di gloria».
Dopo la Santa Messa, il Santo Rosario è la preghiera più bella. Si ripercorre, meditandola, la vita terrena di nostro Signore Gesù Cristo: la sua nascita, passione, morte e risurrezione. È preghiera graditissima alla Vergine, tanto che in ogni sua apparizione non ha mai mancato di raccomandarne la recita. Viene anche chiamato «il breviario dei poveri». Superfluo ricordare quanto padre Pio vi fosse affezionato. Lo recitava continuamente, anche mentre faceva altre cose. Fra i tanti carismi di cui lo Spirito Santo lo aveva gratificato, c’era anche questo di poter fare più cose contemporaneamente. Una volta, nelle famiglie, si recitava il Santo Rosario alla sera. Ora, il telecomando della Tv ha preso il posto della corona e, invece di pregare, ci si alimenta, salvo qualche rara eccezione, con la cultura del terrore, della violenza e della pornografia che i guru dello spettacolo ci ammanniscono, perché bisogna divertirsi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Coraggio! Riprendiamo questa pia pratica affinché la Vergine Santissima ci preservi dai tremendi castighi che ci sovrastano per la nostra condotta.
Un giorno, fu fatto notare a padre Pio che, in fondo, ci sono tante altre belle preghiere da recitare al posto del Santo Rosario, considerato, ai nostri giorni, una pratica quasi superata. Rispose, deciso, che attraverso la recita del Santo Rosario la Madonna non gli aveva mai negato una grazia. Imitiamo, allora, questo grande Santo che l’infinita bontà di Dio ha voluto donare al nostro secolo!
Non fate però, come Serafo. Serafo era un signore che portai da padre Pio intorno agli anni Sessanta. Abitava dalle parti di Campo di Marte, a Firenze, ed era un parrocchiano di don Giancarlo Setti, quando questo degno sacerdote officiava quella chiesa. Frequentava il gruppo di preghiera che vi si riuniva. Il Padre gli aveva ordinato di recitare il Santo Rosario tutti i giorni. Dopo qualche mese, partecipai anch’io alla riunione di quel gruppo e ritrovai Serafo. Dopo i soliti convenevoli, gli domandai se aveva obbedito al Padre per la recita del Rosario.
«Diamine!» rispose sicuro. «Fammi sentire come fai a dirlo». «Dico il mistero, poi il Padre nostro. Finito questo dico per dieci volte: “Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo seno Gesù”.» «E la Santa Maria?». «Bah!, la Santa Maria l’avrà data a qualcun altro!».
Il Santo Rosario nella Casa di Loreto
È noto quanto profondi fossero l’amore e la devozione che il Padre nutriva verso la Vergine Maria. Aveva, a quanto mi risulta, un particolare affetto per la Santa Casa di Loreto.
Quando iniziai a portare, ogni settimana, i pellegrini a San Giovanni Rotondo, partivo da Prato la mattina verso le 5 per arrivare a destinazione lo stesso giorno. Dopo qualche anno, il Padre mi impose di dividere il viaggio e fare tappa a Loreto. Partivo allora da Prato nel primo pomeriggio, si dormiva a Loreto e la mattina seguente si continuava il viaggio per San Giovanni Rotondo. E, sosta dopo sosta, riuscii a procurarmi anche lì qualche amicizia. Entrai in confidenza, fra l’altro, con padre Remigio, un cappuccino svizzero custode della Santa Casa. Sacerdote esemplare, bravo esorcista – specie, questa, in via di estinzione, che non ha nulla a che vedere con l’inquinamento ambientale –. Mi raccontò la storia della Casa della Madonna e, attraverso un pertugio, mi fece vedere che i muri sono senza fondamenta: appoggiati semplicemente nel terreno. Conquistai, con il tempo, la sua fiducia, tanto che un giorno mi confidò un segreto: «Tutte le sere, alle ore 21, recito il Santo Rosario in Santa Casa e padre Pio, ogni sera, è presente in bilocazione».
Rimasi di sasso. Naturalmente gli chiesi il permesso di partecipare. Mi rispose che non era possibile. A ogni viaggio ripetevo la domanda e, finalmente, dopo tanti dinieghi, mi permise di partecipare alla preghiera. Volevo vedere il Padre.
«No – mi spiegò –, Pio non si vede, ma quando entra dà un segnale. Vedi quelle catenelle che si mettono per segnalare il percorso ai pellegrini? Quando entra, sfregandole con il saio, le fa tentennare».
Quando padre Remigio, alle 21, iniziò: «Deus in adiutorium meum intende...», le catenelle, puntualmente, presero a tentennare. Sulla mia pelle ci si poteva accendere un fiammifero.
Partivo da San Giovanni Rotondo e già pensavo al prossimo viaggio, perché il mio grande desiderio era di stare vicino al Padre. Dopo le funzioni della sera, quando partecipava a quella specie di ricreazione, insieme alle persone che i frati facevano passare, io me ne stavo un po’ in disparte, anche perché, molto spesso, erano presenti persone importanti: quasi sempre alte cariche della Chiesa e della Casa Sollievo della Sofferenza. Con lo sguardo, però, non lo lasciavo mai. Pensavo e riflettevo alla grande fortuna che avevo avuto di essere vicino a un tal personaggio. Una sera, rivolto verso me, mi domanda: «Giovà, che cosa guardi, con questi occhi mi pungi!».
«Padre, lo guardo perché è tanto bello e vorrei gridarlo al mondo intero!». «Come lo dici?». «Lo sento qua dentro Padre, nello spirito». «Così va bene!».
Si trasformava. Alternava un volto luminoso e raggiante a un volto emaciato e macilento. A volte appariva un uomo nel pieno vigore delle forze, dopo un attimo vedevi un vecchio cadente, curvo su se stesso, con i segni di una grande sofferenza. Non ci si annoiava vicino a lui. Non c’era posto per questo sentimento. A volte, magari, ti prendeva un po’ di sonno, quello sì. Come quella volta che ero in coro insieme a lui. Era assorto in preghiera e io stavo qualche posto più in là. Avevo la testa fra le mani e i gomiti puntati nella panca. Mi prese sonno, mi scapparono le mani e battei una capata nella panca.
«Eh! Che l’hai preso per un dormitorio?». «No, Padre – rispondo –: ma qui non si dorme mai!». «E chi te lo impedisce?». «Lei, Padre». «Di che mi accusi?». «Se invece di dire la Santa Messa alle 5 la dicesse alle 10, si dormirebbe di più». «Ah! Vorresti andare in Paradiso in carrozza?».
Lui, però, non dormiva mai. «Il tempo che tu dormi in una notte, a me basta una settimana e, se dormo di più, mi alzo stanco» mi confidò.
estratto da: Giovanni Bardazzi,
Un discepolo di Padre Pio, pp. 90-97