I FIORETTI
Il primo disastroso incontro. Giovanni Bardazzi /3
dal Numero 39 del 11 ottobre 2020

Giovanni è un comunista convinto. Una notte un frate sconosciuto gli appare in sogno dicendogli: «Ti aspetto a San Giovanni Rotondo». La moglie intuisce che si tratta di padre Pio e insiste perché egli vada. Si convince e parte, ma ha un solo scopo: convertire il Frate al comunismo. Dopo un viaggio da strapazzo, ecco finalmente giunto il giorno dell’incontro.

*  *  *

Si trova alloggio in paese, presso una famiglia. Allora gli alberghi non c’erano. La mattina, verso le tre, mi chiamano: «Giovanni, noi si va alla Messa, vieni?». «No, andate pure, io rimango qua». Più tardi mi alzo anch’io e invece di andare in chiesa, mi dirigo verso la sede del PCI. Entro e ordino un caffè. Il barista sente la cadenza toscana: «Sei venuto da padre Pio?». «Sì... Ma con questo padre Pio, noi come ci si deve comportare?». «Il partito è il partito e padre Pio è padre Pio e non si tocca!», risponde il barista.

Nel pomeriggio, vado al convento anch’io ed entro in sacrestia: quella vecchia, poiché quella nuova ancora non c’era. Era gremita di persone. Prima di entrare, mi ero informato se tutti i frati portassero i guanti. Avevo nitido nella mente questo particolare visto nel sogno. Mi fu risposto che solo padre Pio li portava, per coprire le stimmate. Entro e vedo che ci sono tre porte. Domando a un vicino quale usano i frati e mi piazzo di fronte a quella indicatami. Mi appoggio con le spalle al muro e osservo, con l’occhio da furbo, l’andirivieni delle persone. «Ma guarda! – riflettevo – Quanti grulli ci devono essere al mondo, ma a me non mi frega nessuno!».

È arrivata una pecora rognosa!

La porta si apre ed entra un frate. Passa e se ne va. Poco dopo, un altro. Si apre la porta per la terza volta e riconobbi subito la mano coperta dai mezzi guanti che avevo visto in sogno. Provai una scossa tremenda. Entra padre Pio. Lo vedevo in carne e ossa per la prima volta. Alto più del normale, austero il portamento, viso aperto e intelligente e due occhi: due occhi che foravano. Si sofferma un po’ e a voce alta esclama: «È arrivata questa pecora rognosa!».

Le persone, come a un comando, si divisero, lasciando aperto un corridoio dove in fondo c’ero io appiccicato al muro. Il Padre continua il suo percorso e la gente comincia a circolare. Ero rimasto stecchito. Il Padre non aveva fatto nomi, ma avevo capito subito chi era la pecora rognosa. Mi si avvicina un omino con la corona del Santo Rosario in mano. Li avevo notati appena arrivato, gli uomini con la corona, e ne avevo provato disgusto. Si rivolge proprio a me: «Ha sentito il Padre cosa ha detto? Pecora rognosa! A chi avrà detto?».

Se andò dove lo mandai, ancora deve essere là, e reagendo a quel modo feci sapere a tutti chi era la pecora rognosa.

La mattina dopo vado alla Santa Messa. Bisognava lavorare di gomito per entrare in chiesa, ma riuscii a conquistare un buon posto. Tutta la mia attenzione è rivolta verso il celebrante. Arrivato all’Orate fratres, vidi la tremenda devastazione che le ferite delle stimmate avevano prodotto nel palmo delle mani. Mi venne spontanea questa riflessione: “Ma guarda come s’è ridotto! S’è tagliato apposta per farmi impressione. Qualcuno gli ha detto che ci sono io”.

Mi rifrullava in mente anche una frase che avevo sentito prima di entrare in chiesa, nel piazzale, da due beghine: «Bisogna chiedere – dicevano –. Bisogna chiedere durante la Santa Messa del Padre. Se poi la stessa cosa gliela richiedi in seguito, ti risponde: quante volte me la chiedi, l’hai chiesto anche durante la Santa Messa!».

Il divin Sacrificio continuava nel più assoluto silenzio. Che differenza, che abisso fra «quella» Santa Messa e qualche altra, la cui celebrazione scorre fra tanta indifferenza e distrazione. Osservavo il celebrante e mi sembrava che soffrisse pene indicibili. Io non credevo che ci fosse un Dio, però formulai un pensiero: “Qui si va troppo per le lunghe. Non posso aspettare che sia finita la Santa Messa. Se ci sei, fammi sentire quello che sente lui”.

Non l’avessi mai detto! Non feci a tempo a formulare l’ultima sillaba che tutti i mali del mondo mi saltarono addosso: come se all’improvviso mi avessero sottoposto alle più atroci torture. “No! No! Nooooo!” gridai dentro di me. Se fosse durato un altro attimo, sarei morto. Nessuno si accorse di nulla, ma mi resi conto che qui si toccavano i fili dell’alta tensione. Non vi provate mai a sfidare Dio.

Cacciato dal confessionale


La sera, venne la confessione. Entro in sacrestia. La Demarista e mia moglie mi seguivano con la coda dell’occhio. «Lascialo fare – le diceva –. Non puoi immaginare che battaglia tremenda sta combattendo dentro di sé».

Io mi attaccavo alle funi del Cielo per aver ragione. Tornare a Prato, presentarmi al partito e poter dire: «Avete visto? L’ho sconfessato, l’ho convinto a diventare comunista. Avevo ragione io». Davvero, l’Io vuole sempre trionfare.

Tocca a me. Entro sotto. Non avevo nemmeno finito di piegare le ginocchia che sento dire: «Che sei venuto a fare?». «A confessarmi!». «Figlio, che ci posso fare. Vai a confessarti da un altro, perché all’inferno per te non ci voglio andare e torna fra due mesi. Non tengo tempo da perdere!».

Una botta allo sportellino e si gira dall’altra parte. Dovetti venir via, senza dire nemmeno una parola. Esco fuori. Avevo ricevuto un tremendo cazzotto in piena faccia. Una volta all’anno, per contentare la moglie, andavo a confessarmi. La solita litania dei peccati; dieci Avemmarie per penitenza e si ricominciava daccapo. Se poi gli dicevi che eri comunista, ti sentivi rispondere: «Sei dannato!», e uscivi più avvelenato di prima.

Qui no. Quelle poche parole che mi aveva detto mi si erano stampate nella mente e la loro eco non mi abbandonava un istante: «Vai a confessarti da un altro. All’inferno per te non ci voglio andare!». Non riuscivo a pensare ad altro.

Cammino su e giù per il piazzale davanti alla chiesa. Fumo – mangio – una sigaretta dietro l’altra, quando vedo avvicinarsi un frate. Gli do un’occhiata: «Questo mi sembra buono – giudico fra me –. Questo me la dà l’assoluzione».

Padre Gianbattista si presenta. «E andata poco bene con padre Pio, eh?». «Ma che è un modo d’agire, questo?» protesto. «Vede... padre Pio è un sacerdote che ha dei doni particolari e vede dove a noi sacerdoti non è concesso di vedere». «No, lui non vede proprio nulla! M’ha buttato fuori, m’ha buttato, e mi ha detto che all’inferno per me non ci vuole andare e vai a confessarti da un altro e poi fatti la Comunione!». «Se vuole, la confesso io...». «Che mi confessa lei?». «Sì!». «Quando m’ha confessato, me la dà l’assoluzione?». «Sì». «Se dopo io muoio, arrivo di là e ci trovo lui, mi rimanda via perché l’assoluzione non me l’ha data, perché all’inferno per me non vuole andare. Io, in Paradiso, non ci andrò mai! Perché vede Dio? Lei lo vede Dio?». «No, però, vede... la cosa non sta proprio così». «Noe! Voialtri vi accomodate le cose nel vostro paniere e a me non torna. Non mi tornano nemmeno i suoi discorsi. Qualche volta, di rado, sono andato in chiesa e ho sentito dire che se uno riporta all’ovile una pecora smarrita, salva la propria anima. E non cercate le pecore smarrite? Io sono una pecora smarrita. Più smarrito di me non c’è nessuno e m’ha mandato via! No! Lui non vede nulla: vede meno di me!».

Comunione sì, Comunione no?

Mi prende a braccetto. Cercava di persuadermi e, piano piano, mi condusse verso un confessionale. Ce lo tenni per più di un’ora perché lo mitragliai di domande; alla fine, mi dette l’assoluzione. Bravo sacerdote e bravo religioso, padre Gianbattista: scomparso, purtroppo, prematuramente. Come padre Mariano, padre Pellegrino, padre Alessio. Tutti degnissimi figli di san Francesco. «Alle 11 – mi dice – padre Pio distribuisce la Comunione: vai a fare la Comunione da lui». «No, fammela tu» – ero già passato al “tu”. «No, Giovanni, mi prendo la responsabilità io, vai a farla da lui».

Avevo paura. Ora un uomo che ne aveva passate quante ne avevo passate io aveva paura. Mi metto in fila. Stavo a orecchi tesi e mi batteva il cuore. Mentre la fila avanzava, dietro a me due donne bisbigliavano. Allora sì che drizzai le orecchie. Mi parve di capire che il Padre aveva rifiutato la Comunione a un signore a cui aveva negato l’assoluzione. Ci mancava anche questa. Ero sudato marcio. Non pensavo tanto a me, quanto al mio programma che sarebbe andato tutto all’aria.

«Se mi salta, ne fo’ a meno, però fai una figuraccia. Se mi salta, è un disastro». L’Io ti porta alla vergogna. Il rispetto umano è tremendo. La fila avanzava. Tra poco, sarebbe stato il mio turno. «Ora non posso più scappare», pensai. Quando toccò a me, chiusi gli occhi, feci un passo avanti e mi buttai in ginocchio. Non riusciva a prendere la particola. Tentava di prenderla con le due dita, ma sembrava che ci fosse qualcuno che glielo volesse impedire. In quel momento ho provato la morte. La morte, io l’ho provata: per la paura di scomparire. Che pensavo a Dio? Finalmente riesce a prenderla. Non me la posò sulla punta della lingua, però: la introdusse in fondo alla bocca e quando ritirò la mano gli succhiai tutte e due le dita. A questo punto, i nostri sguardi si incontrarono e vidi due occhi, due occhi che vorrei rivedere per l’eternità. Sono attimi, ma è un tempo che non si riesce a quantificare e ti rimane impresso nella memoria. Per sempre.

Ero entrato in un mondo diverso. Un mondo dove non vedevi gesti sguaiati, non si sentiva bestemmiare. Sembrava che ci fosse un sipario invisibile che separasse questo luogo dal resto del mondo con tutto il suo laidume, con tutta la sua sporcizia. Sembrava che perfino i tuoi passi non facessero rumore. Però, l’assoluzione da lui non l’avevo avuta e non pensavo ad altro. Arrivai così al 14 di aprile. Ero in sacrestia, dopo la Santa Messa. Quando il Padre ebbe finito di togliersi i paramenti sacri, si gira verso di me e mi avverte: «Uagliò, è ora che te ne vai, perché i tuoi affari non aspettano più».

Rimisi i piedi in terra. Mi ero dimenticato il lavoro, la famiglia, la casa. E a lui, chi aveva parlato della mia situazione?
Si riparte.

estratto da: Giovanni Bardazzi, Un discepolo di Padre Pio, pp. 29-36

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