I FIORETTI
La crocifissione morale di san Pio
dal Numero 14 del 5 aprile 2020

La Passione di Gesù abbraccia non solo il dolore fisico, crudele e atroce delle percosse, della flagellazione, della coronazione di spine, della crocifissione, della sete, della morte; esse sono il corollario esterno di indicibili dolori morali che vedono Gesù incompreso, perseguitato, calunniato, tradito, maltrattato, innocentemente e ingiustamente condannato alla morte più infame, abbandonato sulla Croce persino dal Padre. È un intreccio di dolori fisici e morali sempre crescenti che finiranno solo alla sua morte, con la sua risurrezione e glorificazione.

Il cammino di conformazione a Cristo e alla sua Passione del Santo di Pietrelcina abbraccia anch’esso non solo il dolore fisico, sotto svariate forme, ma anche la piena conformità a Cristo nel dolore morale, vivendone con sorprendente somiglianza i vari aspetti della sua crocifissione.

Abbiamo già considerato nei numeri precedenti le sofferenze fisiche e le prove interiori sostenute dalla sua anima per lunghissimi anni. A tali dolori si aggiunsero ben presto le prove morali dell’incomprensione, della calunnia, della condanna.

All’indomani della sua stimmatizzazione incomincia per san Pio una vera via crucis: da un lato folle di persone, attratte dal Santo, cominciano ad invadere il piccolo convento, ponendo fine per sempre alla pace dei frati e soprattutto a quella di padre Pio; dall’altro iniziano i controlli dell’autorità ecclesiastica che, giustamente, deve appurare l’origine delle stimmate; nello stesso tempo inizia l’attacco alla persona di padre Pio, che ha come regista nascosto il demonio, con invidie, calunnie, confusione e divisioni, condanne ingiuste che non si limiteranno all’ambiente locale di San Giovanni Rotondo, ma arriveranno in Vaticano e riusciranno a condizionare il giudizio del Sant’Uffizio. A partire dal 1922 iniziò per padre Pio un tormentato periodo contrassegnato da prove morali che, seppure ebbero periodi di tregua, non finirono mai nella vita del Santo. Padre Marciano Morra, nella sua indagine storica sul rapporto di san Pio con la Chiesa(1), ne fa una sintesi, riportando l’elenco dei visitatori apostolici e dei provvedimenti restrittivi che si succedettero in questo arco di tempo. Egli scrive: «Parlavano i denigratori increduli, parlavano i difensori appassionati e spesso anche indiscreti, volle parlare anche l’autorità della Chiesa. E per parlare bisognava capire. Non fu facile sia capire che parlare e da ciò l’invio di tanti Visitatori apostolici e di molteplici provvedimenti:

- 2 giugno 1922. Viene comunicato a padre Pio di celebrare al mattino, di buon’ora; che non mostri le “cosiddette stimmate”; non imparta benedizioni al popolo; interrompa ogni relazione, anche epistolare, con il direttore spirituale; si provveda per un suo trasferimento.
- 31 maggio 1923. Il Sant’Uffizio emana una Dichiarazione: non consta la soprannaturalità dei fatti attribuiti a padre Pio, esorta i fedeli a conformarsi a questo pronunciamento. Si scatena una sommossa popolare; parte dei provvedimenti non fu attuata.
- 30 luglio 1923. Viene ordinato il trasferimento in provincia di Ancona; il 15 agosto dimostrazione minacciosa contro tale provvedimento; decisione del Sant’Uffizio: “Per ora si differisca il trasferimento di padre Pio”.
- 24 luglio 1924. Altro monito del Sant’Uffizio: si chiede ai fedeli che si astengano assolutamente dall’avere qualunque relazione, anche epistolare, per motivo di devozione, con padre Pio.
- 22 aprile 1925. Vengono imposte nuove limitazioni a padre Pio circa le confessioni che provocano minacce di ribellione della gente [...].
- 26 marzo-5 aprile 1927. Visita apostolica di monsignor Bevilacqua al clero diocesano.
- Maggio 1928. Visita apostolica di monsignor Giuseppe Bruno alla diocesi di Manfredonia e al vescovo Gagliardi.
- 1° ottobre 1929. Il vescovo, monsignor Gagliardi, dà le dimissioni.
- 2 dicembre 1929. Visita al convento di monsignor Macchi che propone il trasferimento di padre Pio; il Sant’Uffizio ne decide il rinvio al 5 febbraio 1930.
- 22 maggio 1931. È proibita la pubblicazione di Alberto Del Fante, A Padre Pio da Pietrelcina, l’Araldo del Signore.
- 23 maggio 1931. Padre Pio viene privato delle facoltà del ministero sacerdotale, ad eccezione della messa; potrà celebrarla nella cappella interna del convento.
- 14 luglio 1933. Viene accordata a padre Pio la facoltà di celebrare in chiesa con la partecipazione del popolo; in seguito viene autorizzato all’ascolto delle confessioni.
- 16 luglio 1933. È domenica: padre Pio celebra in chiesa».

Come si può evincere da questo excursus cronologico che va dal 1922 al 1933, la serie delle restrizioni trova il culmine nei due anni 1931-1933, nei quali san Pio viene privato delle facoltà del ministero sacerdotale, ad eccezione della Messa, che potrà celebrare solo privatamente. Nella sua visione di fede, egli accettò anche questo provvedimento come volere di Dio, che si manifestava attraverso le disposizioni della Chiesa. Ma si sa che, una volta riabilitato, non per questo cessarono i controlli, le visite apostoliche, le restrizioni sulla sua persona e sulla sua opera e anche sulla sua Provincia religiosa, che dureranno, alternandosi a periodi di maggiore tranquillità, fino alla morte. 

«L’ora delle tenebre» (Lc 22,53)

Verso la fine degli anni ’50 comincerà per san Pio da Pietrelcina la cosiddetta “ora delle tenebre”, «i tempi furenti dell’ultima e pesantissima prova che Satana gli aveva sferrata contro con rabbia furiosa e rovente, orchestrandola su di uno spartito che racchiudeva le più infamanti e orripilanti insidie che mente umana da sola non avrebbe potuto giammai concepire»(2).

A voler fare una sintesi storica di questo periodo si può dire che vi furono ben 39 interventi del Sant’Uffizio volti a dare disposizioni per l’elezione dei superiori provinciali e locali, per l’allontanamento di alcuni frati ritenuti troppo “fedeli” a padre Pio, per limitare le Confessioni e gli incontri spirituali di san Pio con le sue figlie spirituali; in questi anni bui fu ancora una volta adoperata l’arma della calunnia, alla quale concorse persino qualche figlia spirituale, per distruggere padre Pio e la sua opera; ci fu la triste vicenda dei registratori collocati nella cella e nel parlatorio del Santo; ma non finì qui: in un crescendo di incomprensioni, sospetti, contrasti e ombre, quale opera diabolica ben orchestrata e assestata, si arrivò alla tragica visita apostolica di monsignor Maccari, iniziata nel luglio del 1960.

Chi conosce un po’ la vita del Santo, sa già con quanti pregiudizi e ambiguità fu condotta questa indagine da parte del Maccari e quanta sofferenza procurò a padre Pio. I colloqui penosi che il Santo dovette avere con il visitatore non erano finalizzati ad una ricerca coscienziosa della verità, quanto a confermare i sospetti e le calunnie contro il santo Frate. Padre Pio doveva ben percepirlo, per questo, durante i diversi colloqui con il visitatore a cui fu sottoposto, rispondeva alle domande con frasi brevi e sofferte: «A volte la sua voce ha un improvviso nodo alla gola, come chi sta per scoppiare in pianto. Non piange, ma è certamente turbato e commosso; anzi molto amareggiato. Le sue parole riflettono una situazione spirituale di vera angoscia, che può essere sintetizzata in questi termini: “Sono sorvegliato continuamente come uno che ha commesso chissà quali colpe... come è possibile, in queste condizioni, lavorare serenamente per tante anime che vengono a cercare luce e conforto?”»(3).

La relazione che il Maccari presentò al Sant’Uffizio esprimeva un giudizio negativo sulla persona di padre Pio e sulla sua presunta santità, nonostante il bene straordinario che aveva realizzato a profusione nei suoi quarant’anni di ministero sacerdotale. A mo’ di esempio riportiamo solo qualche stralcio (su alcuni sorvoliamo...) del verbale compilato da mons. Maccari dopo alcuni colloqui col Santo: «Il colloquio, come può testimoniare il segretario, è stato di gran lunga più sconcertante ed ha rivelato una figura, almeno oggi, scaduta ad un livello molto basso (sic!).

1. Quasi mai ho potuto sorprendere sul suo volto un accenno di sincero dolore ed umiliazione dinanzi alle cose contestate. 2. Reticenze, restrizioni mentali, bugie: ecco le armi usate per sfuggire alle domande. 3. Spesso accoglieva le gravi osservazioni con un sorriso, non proprio strafottente, ma come chi volesse dire: “Ed io che ci posso fare?...” [...]. 4. Impressione generale: penosa! [...]»(4). Così scriveva di uno dei più grandi santi dell’agiografia cristiana il visitatore mons. Maccari...

In questo clima e in questo “contesto” padre Pio celebrò il suo 50° di Sacerdozio. Riportiamo alcune parti della relazione del Padre provinciale, padre Amedeo, riguardo a questo giubileo che avrebbe dovuto essere un’apoteosi di riconoscimenti e di gratitudine per un sacerdote straordinariamente santo e fecondo quale fu padre Pio: «Il Visitatore apostolico alla vigilia del 50° anniversario sacerdotale di padre Pio (10 agosto 1960) fece le valigie e “prudentemente” se ne partì. Alla porta del convento trovò radunati parecchi religiosi per ossequiarlo, tra i quali c’ero anche io. Rivolgendosi a me, disse: “Lei, se domani vorrà parlare nella Messa giubilare di padre Pio, parli solo del sacerdozio in genere e non nomini affatto padre Pio”. Risposi: “Monsignore, la festa è per padre Pio. Come non parlare di lui? Almeno qualche accenno alla sua vita!”. Il Visitatore replicò: “Allora lei non parli affatto”. [...] Ed io non parlai. Il giorno 10 agosto, festa di padre Pio, la chiesa era gremita di fedeli ed alte personalità, venute da Roma e da altri luoghi [...]. In tanta festa si notò la mancanza di una parola di circostanza. Rimediai a questa atmosfera tesa, leggendo dall’altare la lettera augurale del padre Generale, diretta a padre Pio, tutta intonata a stima ed affetto.

Verso la fine della Messa il vescovo di Foggia, monsignor Paolo Carta, che mi sedeva vicino nel presbiterio, mi domandò: “Padre provinciale, non c’è la benedizione apostolica?”. “No, eccellenza”. “Ma l’ha chiesta?”. “Sì, eccellenza”. “E non è arrivata?”. “No, eccellenza. Ho anche sollecitato, incaricando un mio religioso di recarsi personalmente in Vaticano e di spedire la pergamena con urgenza. Ma a questo religioso i funzionari del Vaticano, non so se ecclesiastici o laici, risposero irritati che per padre Pio non c’era benedizione”»(5).

Non ci fu benedizione per uno dei più eccelsi ministri di Dio, “sacerdote santo, vittima perfetta”, che aveva fatto della celebrazione della Santa Messa il centro della sua vita, dell’altare e del confessionale i luoghi della sua attività sacerdotale, per mezzo della quale erano state ricondotte a Dio migliaia di anime, vera immagine su questa terra di Gesù Crocifisso, sommo ed eterno Sacerdote, alla cui offerta vittimale egli era costantemente unito, anche esteriormente, con le sue piaghe sanguinanti: «Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).  

di Suor M. Gabriella Iannelli, FI,
Il Settimanale di Padre Pio, N. 14/2020

NOTE
1) Marciano Morra, Padre Pio e la Chiesa, madre di santi e di peccatori, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, 2007, p. 549.
2) P. Tarcisio da Cervinara, Il diavolo nella vita di padre Pio, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, 1993, p. 68.
3) Pius a Pietrelcina. Positio super virtutibus, vol. IV-A, p. 127.
4) Ivi, p. 126.
5) Ivi, pp. 143-144.

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