La foto qui riportata è senz’altro una delle più belle scattate da Elia Stelluto, che ha saputo immortalare san Pio da Pietrelcina in un momento di dolce e gioiosa effusione di amicizia e paternità nei confronti di uno dei frati a lui più cari, padre Eusebio Notte, e che sta a testimoniare, senza bisogno di molte parole, di quale affetto e umanità egli fosse capace.
Padre Eusebio, di cui abbiamo ricordato il 2° anniversario della morte il 5 febbraio scorso, è il frate cappuccino che ha fatto da assistente a padre Pio per ben cinque anni, dal 1960 al 1965, donando al Santo il suo sostegno fisico e morale e la sua sincera e vivace amicizia in uno dei periodi più sofferti della sua vita.
«Chiunque abbia incontrato padre Eusebio – ha affermato il Padre provinciale nel giorno delle sue esequie – ha potuto subito comprendere la profondità del suo legame con padre Pio [...]. Padre Pio aveva percepito le qualità e il valore di questo giovane confratello che i superiori gli avevano posto accanto. Forse si poteva intuire persino una certa affinità caratteriale tra loro, che ha favorito la storia di una profonda amicizia. Amicizia che è giunta, per il nostro santo Confratello, in un momento difficile, quando, ormai, l’età avanzata, le più acute sofferenze fisiche e le indagini dell’autorità ecclesiastica nei suoi confronti pesavano sul cuore dell’anziano stimmatizzato. Le attenzioni, le cure, la vicinanza e la simpatia di padre Eusebio sono state un balsamo per le tribolazioni di padre Pio».
Da dove giungeva questo Frate la cui vicinanza fu una vera e propria consolazione per san Pio da Pietrelcina? Lui stesso si è definito più volte un “delinquente mancato”, ma a definirlo così prima di lui furono coloro che lo conobbero da ragazzino, nel suo paese natale di Castelpetroso, un ragazzino di nome Nicola, che aveva perso la mamma a quattro anni, e che era particolarmente turbolento. C’era qualcuno, vittima dei suoi scherzi non troppo innocenti, né innocui, che lo vedeva già al “Regina Coeli”, famoso carcere di Roma, mentre tutti lo conoscevano come ragazzo di strada, esposto davvero al pericolo della delinquenza.
Nella prima Confessione con padre Pio, fu lo stesso Santo a confermargli questa sua “potenzialità”. Padre Eusebio racconta che vi si preparò facendo una Confessione preventiva e vivendo “come un angioletto”. «Tremante e madido di sudore – egli racconta – feci la mia confessione: un’accusa fatta di nulla, dal momento che, come ho detto, avevo cercato di evitare anche il più piccolo peccato. Terminata l’accusa, il Padre indugiava a parlare. Provai ad alzare lo sguardo, e vidi che egli abbozzava un leggero sorriso. La paura si cambiò in stupore. Finalmente prese la parola e disse: “Uagliò, dimmi una cosa. Ma tu hai mai ringraziato il Signore che ti sei fatto frate?”. Al che io: “Padre, non ci ho pensato!”. E lui: “Pensaci e ringrazialo il Signore, perché se non ti facevi frate saresti uscito un delinquente!”» (Padre Pio e Padre Eusebio. Briciole di storia, Arti Grafiche Grilli, Foggia 2008).
A cambiare il “destino” di padre Eusebio fu la musica. Vi fu attratto da un soldato di Verona, ottimo cristiano e buon musicista, che costretto a rimanere a Castelpetroso, aveva organizzato un piccolo coro parrocchiale. Nicola, invogliato dal papà, decise di cominciare a imparare a suonare alla scuola del buon soldato. Fu questo impegno quotidiano ed entusiasta che trasse il ragazzino dalla strada e lo condusse in chiesa, dove passava diverse ore del giorno a provare sull’organo della parrocchia, insieme al suo maestro e anche da solo. Quando il maestro, dopo due anni, poté finalmente tornare a casa, lui, tredicenne, era già in grado di sostituirlo sia nella direzione del coro, sia nell’accompagnamento con l’organo.
Ma un’ulteriore folgorazione doveva dare una svolta ancora più straordinaria, quasi incredibile, alla sua vita. In occasione di una Ordinazione sacerdotale, in una frazione del paese, venne ad animare la celebrazione la schola cantorum degli studenti di Teologia di Campobasso, composta da circa trenta frati cantori; scrive al riguardo padre Eusebio: «Quei giovani, quelle barbe, quei piedi scalzi, quel coro che per me cantava come un coro di angeli... mi conquistarono» (ivi, p. 47). Lo stesso giorno, durante il pranzo, espresse al papà il desiderio di farsi monaco. Inutile dire che né il papà, né le signorine del coro, né lo zio prete ai quali espresse lo stesso desiderio, lo presero sul serio. «Passavano i mesi – egli scrive – ma l’idea non si toglieva dalla testa... la scena dei frati che cantavano, e il desiderio di diventare anche io come loro, non mi lasciavano più» (ivi, p. 48). Nel vedere questa sua determinazione il papà si convinse e lo condusse al convento dei Cappuccini di San Severo, dove fu accolto paternamente dal buon Superiore padre Atanasio. Il papà credeva di dover andare presto a riprenderlo, ma Nicola, al contrario, non solo non tornò più, ma divenne frate e poi sacerdote, il 21 luglio 1957, non cessando mai di occuparsi della musica sacra e del canto liturgico.
Il 6 ottobre 1960 padre Eusebio giungeva a San Giovanni Rotondo, con l’incarico del disbrigo della corrispondenza in lingua inglese. Era da poco iniziata la visita Maccari che tante sofferenze costò a san Pio. Vi arrivò senza alcun entusiasmo, sapendo che vi avrebbe trovato una “bolgia infernale”: «Il diavolo aveva preso possesso di animi, di cuori, di intelligenze... Era un inferno» (ivi, p. 88). Padre Eusebio non conosceva personalmente padre Pio; arrivò alla sua nuova destinazione con l’intenzione di osservare e di rendersi conto di persona della verità: «Stando a San Giovanni Rotondo, avevo deciso di non credere a tutto quello che avevo sentito dire: né a quelli che tacciavano padre Pio per un impostore, e neppure a quelli che lo consideravano già santo. Desideravo una mia opinione, senza farmi influenzare da nessuno: solo guardando... guardando... guardando... Spogliato di ogni pregiudizio, non ci volle gran che a capire chi era padre Pio, e chi erano i giudei che lo perseguitavano» (ivi, p. 102).
Frequentando il Santo, l’ammirazione di padre Eusebio per il Padre crebbe sempre di più. Anche padre Pio da parte sua capì ben presto la sincera benevolenza di quel giovane frate e si affezionò sempre di più a lui; quando poi, oltre ad essere il segretario per la lingua inglese, padre Eusebio divenne, per richiesta dello stesso padre Pio, il suo assistente personale, si creò tra i due un rapporto di intesa e di amicizia unico, ben descritto nelle pagine autobiografiche di padre Eusebio. I due erano l’uno per l’altro sostegno e consolazione, al punto che se padre Eusebio impazziva di gioia nello stare accanto al suo Padre Spirituale, anche padre Pio si sentiva sicuro e sereno per la presenza di padre Eusebio e si turbava se, per qualche impegno, doveva allontanarsi per un po’.
In diversi punti padre Eusebio esprime il suo stupore nel vedere quanto padre Pio, abituato a trattare con il Cielo, avesse bisogno anche della sua presenza, delle sue attenzioni, della sua allegria; si stupiva della sua semplice umanità per la quale scherzava familiarmente con lui e altri frati che gli tenevano compagnia. Gli episodi che descrivono l’affiatamento e l’affetto vicendevole fra i due sono innumerevoli; ci piace riportare quello in cui il Padre visse forse l’apice dei suoi dolori, ed ebbe accanto, come vero angelo consolatore, il suo affezionato figlio spirituale.
Racconta padre Eusebio: «La persecuzione [...] contro padre Pio si estese a tutti i frati della Provincia monastica. Volevano disintegrarla. I superiori provinciali furono deposti ed esiliati. I nostri giovani studenti li mandarono a continuare gli studi nelle provincie monastiche limitrofe. Quando la notizia fu comunicata al Padre, poco mancò che non avesse un colpo al cuore. La fede era immensa, ma anche la sofferenza era insopportabile... Ci fu un mesto pellegrinaggio di frati, che venivano a salutare il Padre e a chiedere la benedizione. Era una continua stilettata al cuore. [...]. Qualche sera dopo, in camera, mentre era seduto sulla sua poltrona ed io gli ero di fronte, improvvisamente il Padre scoppiò a piangere, ma un pianto dirotto. Mi precipitai subito vicino, mentre non sapevo neppure io quello che dovevo fare. Lo abbracciai e me lo strinsi forte al petto mentre lui singhiozzando diceva: “Poveri figli miei!... Quanto dovete soffrire... per me...” [...]. Mi commossi anch’io! Ricordo che me lo strinsi ancora più forte al cuore, cercando di balbettare qualche parola insignificante. Quell’abbraccio cordiale durò attimi e fu eterno. Però fu utile al povero Padre, che si calmò e fu utile a me, perché è l’abbraccio che non dimenticherò mai! Una sofferenza tinta di cielo!» (ivi, p. 241).
In Cielo l’abbraccio “cordiale ed eterno” fra padre Pio e padre Eusebio continua senza fine, mentre «nelle lunghe serate dell’eternità – scrive padre Eusebio – ci racconteremo le vicende vissute insieme sulla terra, specialmente quelle che conosciamo solo noi» (ivi, p. 529).
Suor M. Gabriella Iannelli, FI
in Il Settimanale di Padre Pio, N. 9/2020