APOLOGETICA
La Cristianità medioevale. Coesistenza di due autorità sovrane
dal Numero 3 del 22 gennaio 2017
di Corrado Gnerre

Come si intende dal Vangelo, Gesù volle disporre sulla terra la coesistenza di due autorità sovrane, l’una spirituale e l’altra temporale. Quest’ultima, quella politica, deve servire l’uomo aiutandolo a raggiungere la felicità terrena, non in alternativa ma in vista della felicità eterna.

Il Medioevo (precisamente quello dei secoli XII e XIII) è stata l’epoca che più si è sforzata d’incarnare i princìpi del Vangelo, come scrisse Papa Leone XIII: «Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la Religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell’onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all’ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l’Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. Ordinata in tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà salvare od oscurare» (1).
La famosa frase evangelica: «Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mt 22,21) non va interpretata come una separazione tra potere politico e potere religioso, quanto come riconoscimento di una necessaria collaborazione fra questi due poteri. «Gesù Cristo volle disporre la coesistenza sulla terra di due autorità sovrane: un potere spirituale, proprio della Chiesa, e un potere temporale, incarnato nella persona di Cesare, che deve essere onorato e obbedito come quello religioso» (2). La famosa medievista Régine Pernoud scrive: «In pratica la Cristianità può essere definita l’“universalità” dei prìncipi e dei popoli cristiani che obbediscono ad un’unica dottrina, sono animati da un’unica fede e riconoscono quindi un unico magistero spirituale» (3). Il Papa e l’Imperatore sono due monarchi supremi dei due governi della Cristianità. Un governo è spirituale, l’altro è temporale. Questi due monarchi esercitano entrambi una potestà piena (plena potestas), che deriva da Dio direttamente al Papa e indirettamente all’Imperatore. Nelle loro rispettive sfere di giurisdizione, i due governi sono sovrani ed indipendenti. Alla Chiesa spetta la cura delle anime e degli interessi religiosi; all’Impero la protezione e la difesa degli interessi temporali. Fra questi due governi non deve esserci separazione, ma solo distinzione e collaborazione. 

L’esempio del Sacro Romano Impero

Tutta la concezione medioevale della politica può essere significata e rappresentata dalla nascita del Sacro Romano Impero. Anzi, possiamo dire che il Medioevo è inaugurato e fondato dal sorgere di questa istituzione. In realtà Carlo Magno, in quella famosa notte dell’anno 800, non inventò nulla. La sua dottrina sul potere politico coincideva con quella esposta da san Paolo, allorquando nella Lettera ai Romani l’Apostolo dice: «[...] non c’è autorità se non da Dio» (Rm 13,1). Ed anche con le parole che Gesù rivolge al plenipotenziario dell’Imperatore: «Tu non avresti su di me alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto» (Gv 19,11).
C’è però da aggiungere anche un’altra cosa, ovvero il fatto che il Sacro Romano Impero esprime anche l’ammirazione che Carlo Magno aveva nei confronti del pensiero di sant’Agostino in generale, e in particolar modo della dottrina della storia che ebbe il Santo d’Ippona. Carlo Magno conosceva molto bene il De Civitate Dei e la sua idea di Impero romano-cristiano fu all’insegna della convinzione che la storia è un “campo di battaglia” tra il Bene e il Male, tra la Luce e le Tenebre, laddove l’istituzione politica deve servire l’uomo aiutandolo a raggiungere la felicità terrena, non in alternativa ma in vista della felicità eterna.
Il Sacro Romano Impero costituiva il segno di un desiderio molto chiaro: far sì che la storia si potesse davvero tradurre in Civiltà, che poteva essere solo quella cristiana.
La convinzione secondo cui la politica dovesse arrivare a tale livello di sacralizzazione, pur conservando e rispettando la legittima autonomia tra temporale e spirituale, era esito di una concezione della storia come “campo di battaglia”, come scontro – appunto – tra due idee di società (“città”), l’una per il raggiungimento della felicità eterna, l’altra per il raggiungimento di una fallace felicità mondana: «Due amori danno origine a due Città. Cioè: la terrena, l’amore di sé fino al disprezzo di Dio; la celeste, l’amore di Dio fino al disprezzo di sé. Inoltre, quella basa il suo orgoglio in se stessa; l’orgoglio di questa è in Dio; la prima cerca la gloria fra gli uomini; per la seconda è gloria massima Iddio, testimone della coscienza. Quella, leva alta la fronte nella sua gloria; questa dice al suo Dio: “Tu sei la mia gloria. Sei tu che levi alta la fronte”. In quella, nei suoi prìncipi e nelle nazioni che sottomette, prevale la libidine di dominare; in questa i capi consigliando e i sudditi obbedendo si servono scambievolmente nella carità. Quella nei suoi grandi ama la sua fortezza; questa dice al suo Dio: “Amerò te, o Signore, mia fortezza”. E perciò, in quella, i saggi vivendo secondo l’uomo, andarono dietro ai beni del loro corpo o dell’animo loro o d’ambedue. [...]. In questa invece non vi è alcuna sapienza dell’uomo, se non quella pietà con la quale si adora rettamente il vero Dio, aspettando Lui stesso come premio nella società dei Santi, non solo degli uomini ma anche degli Angeli» (4).

NOTE
1) Leone XIII, Lettera enciclica Immortale Dei, del­l’1.11.1885.
2) R. de Mattei, La sovranità necessaria, Il Minotauro, Roma 2001, p. 17.
3) R. Pernoud, Luce del Medioevo, trad. it., Gribaudi, Roma 1978, p. 98.
4) Aurelio Agostino, De Civitate Dei, XIV, 27.

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