APOLOGETICA
Giambattista Vico: altro che storicista!
dal Numero 40 del 16 ottobre 2016
di Corrado Gnerre

Un ottimo filosofo cattolico e un buon profeta: Giambattista Vico fu in pari tempo un anticartesiano, un antiempirista e un antilluminista. La sua filosofia dà lo scacco al moderno antropocentrismo e al tecnologismo scientista.

Tempo fa già parlammo del famoso filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744). Ritorniamoci con qualche approfondimento, perché si tratta non solo di un ottimo filosofo cattolico, ma anche di un buon “profeta”... nel senso che ha saputo ravvisare una serie di contraddizioni della modernità. Purtroppo a scuola non viene insegnato bene e lo si fa passare come una sorta di “storicista”, cosa che non fu.

Non solo natura, ma anche uomo

Vico fa respirare un po’ di “ossigeno filosofico” in un tempo ammorbato da gravi errori filosofici. Pensate che egli fu contemporaneamente: anticartesiano, antiempirista e antilluminista. Che volere di più? Non due ma tre piccioni con una sola fava... e in questo caso: con una sola filosofia!
Va detto che la cultura filosofica dell’epoca era tutta orientata al razionalismo e all’empirismo, è tutta rivolta all’indagine della natura trascurando il mondo dell’uomo, cioè dello spirito, dell’interiorità umana. Vico questo non lo accetta. Ritiene un errore che ci si concentri sulla realtà naturale prescindendo dalla storia umana.
Cartesio aveva detto che l’essenza vera dell’uomo fosse la razionalità, Vico, pur riconoscendo importanza alla ragione, afferma invece che l’uomo non è costituito solo di ragione, ma anche di fantasia e sentimento. Attenzione: non “solamente”, ma “anche” di fantasia e sentimento.

Non “verum est certum”, ma “verum est factum”

Vico ebbe una grande intuizione filosofica che espresse con una formula rimasta famosa: verum est factum.
Mentre Cartesio aveva identificato il vero con il certo (verum est certum), Vico identifica il vero con il fatto. Cartesio riteneva la verità frutto di un’elaborazione razionalistica; Vico invece del riconoscimento di un fatto. Secondo il Filosofo napoletano, per conoscere veramente una cosa, è necessario conoscere il modo di farla, non di pensarla.
Ma vediamo di approfondire.
Vico riprende la definizione classica di “scienza”: “scire per causas”, cioè “conoscere attraverso le cause”. Da qui afferma che può conoscere la causa di qualcosa, e quindi fare veramente scienza, soltanto chi ha causato quella cosa, ossia chi l’ha prodotta. Solo così si può davvero penetrare nel processo attraverso il quale quella cosa è stata generata.
Da questo ragionamento Vico deduce due princìpi fondamentali:
1) verum est factum: il vero s’identifica con il fare.
2) verum et factum convertuntur: il vero e il fatto s’identificano, la verità si manifesta nel fatto e il fatto è testimonianza di verità.

Dio conosce la verità di tutto... l’uomo di poco

Da questa convinzione derivano almeno due conseguenze.
La prima è la distinzione tra certezza e verità: l’uomo raggiunge la certezza di molte cose, ma la verità di poche, perché poche cose l’uomo può produrre da sé.
La seconda conseguenza è il fatto che solo Dio può conoscere la verità di tutte le cose, perché Egli solo può fare tutte le cose.
Applicando il criterio del verum est factum, Vico afferma che l’uomo non può conoscere pienamente la propria persona, Dio e la realtà perché non è autore né di se stesso né di Dio né del mondo.
Da qui due sonori “schiaffi” al pensiero moderno.
Schiaffo all’antropocentrismo, perché l’uomo può trovare la ragione e il senso della propria vita solo in Dio.
Schiaffo al tecnologismo scientista, perché l’uomo può servirsi ma non stravolgere la natura in quanto essa è al di sopra di ogni potenzialità umana. Un conto è lavorare sulla natura, altro è annullarla. In questo Vico è stato un ottimo “profeta”: lo sviluppo tecnologico, per quanto sofisticato, non riuscirà mai ad annullare il limite umano. Oggi (ringraziamo Dio!) abbiamo macchine che spostano tonnellate di materiale e che fanno in poco tempo lavori per cui prima occorrevano giorni, mesi e anni; ma poi, dinanzi ad una semplice alluvione, l’uomo è impotente... e soccombe.

L’uomo può conoscere pienamente solo la Storia

Vico conclude che il campo in cui l’uomo davvero può conoscere la verità è il campo storico, perché la Storia è fatta dall’uomo. La “scienza nuova” di cui Vico si ritiene inventore (e lo è certamente) è appunto la scienza storica.
Prima di lui la Storia non era considerata “scienza” ma “arte letteraria”; egli invece puntualizza che la Storia è una scienza perché soddisfa i due requisiti fondamentali del sapere scientifico, concretezza ed universalità: studia vicende particolari (concretezza) soggette a leggi sempre valide (universalità). Ed è inoltre una scienza vera perché in essa si attua il principio verum est factum, in quanto il suo oggetto sono i fatti compiuti dall’uomo.

L’uomo non può annullare il mistero della realtà

Se la Storia è una vera scienza, perché è prodotta dall’uomo, per Vico anche la matematica lo è ma fino ad un certo punto. Essa è sì costruita dall’uomo, ma è finzione astratta, cioè una creazione convenzionale che non può essere applicata al mondo delle cose.
In ciò c’è molto d’interessante. Anche con queste affermazioni Vico vuole smontare la pretesa razionalista di ridurre il reale ad equazione matematica. La realtà, quella vera, è invece più grande dell’uomo, sfugge alla capacità intellettiva di esaurirne il mistero.
In questo caso Vico è perfettamente d’accordo con quelle famose parole che Shakespeare fa dire ad Amleto: «Ci sono più cose in cielo e in terra che non nella tua filosofia, Orazio».

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