APOLOGETICA
Il Surrealismo e l’odio luciferino del reale
dal Numero 19 del 15 maggio 2016
di Corrado Gnerre

Il movimento francese d’avanguardia del Surrealismo (come poi l’intera postmodernità) ha tutti i caratteri di un “delirio di onnipotenza”, e sembra esserne il capolinea. Dopo aver visto il sogno di rendere l’uomo autosufficiente infrangersi sugli scogli della realtà, lungi dall’accettarlo, si è passati alla distruzione della realtà stessa.

Il “limite” non mortifica, bensì realizza

Se, da una parte, il senso del limite costringe l’uomo a valutare la propria finitezza e forse (ma non sempre) ad avvertire il rammarico di non poter essere di più; dall’altra, costituisce la definizione dell’uomo e il fondamento più convincente dell’utilità di una vita sottoposta alle regole e alle leggi. Insomma, proprio perché “non basto a me stesso”, vuol dire che “dipendo da un altro”, proprio perché “non basto a me stesso”, vuol dire che la soluzione del mio esistere non può essere “in me stesso”. Da questo punto di vista il limite non è solo una negazione, un’impossibilità, ma diviene l’occasione per conoscere meglio se stessi e sapersi definire nel proprio stato di uomo bisognoso di un significato che non può darsi da solo.
Per far questo, però, c’è bisogno di una pre-condizione, che non è sempre facile da accettare. È il convincersi umilmente che la verità è data all’uomo e non è un prodotto della sua coscienza, un qualcosa che può creare a suo piacimento. Occorre la pre-condizione di accettare il senso dell’autorità, di capire di non poter bastare a se stessi. Un po’ come il bambino di fronte al giocattolo, i suoi occhi si riempiono di stupore perché sa che quell’oggetto gli è dato e non lo ha fatto lui, si presenta meravigliosamente ed improvvisamente al suo sguardo. Ha scritto Tresmontant: «La nostra esistenza, la nostra natura, il nostro corpo, la nostra anima sono per noi una sorpresa e un oggetto inesauribile di stupore». 

Invece che ammettere il fallimento... si sceglie la distruzione

Il delirio “rivoluzionario” (intendendo per “rivoluzione” la sovversione dell’ordine naturale) ha costantemente lottato contro questa pre-condizione. Questo delirio, infatti, si fonda sull’illusione di rendere l’uomo autosufficiente e norma a se stesso. Il mito di un progresso senza limiti, la pretesa di sconfiggere definitivamente la sofferenza e la morte nascono all’interno e in funzione di questo delirio. Pertanto il riconoscimento del limite in questa prospettiva appare come un atto improprio, quasi “sacrilego”. 
Ma il risultato e il relativo fallimento sono sotto gli occhi di tutti. Il sogno dell’onnipotenza umana è naufragato sugli “scogli” del reale che mai può essere negato... e così, in conseguenza di questo “naufragio”, l’uomo si è ritrovato ancora più piccolo, limitato, solo, fastidioso “mistero a se stesso”.
Eppure su questo fallimento (e qui sta il mistero) il delirio rivoluzionario non si è arreso. Se è vero che l’uomo non può divenire illimitato, è pur vero che questa impossibilità è vincolata dalla realtà e dalla logica... e allora non resta che distruggere tanto la realtà quanto la logica. È il sogno gnostico che non è mai sparito sul palcoscenico della storia. La regina cattiva della favola di Biancaneve, dopo aver saputo che è finito il suo tempo e che non è la più bella del reame, invece di accettare la dura sentenza, decide di distruggere lo specchio, cioè la fonte della verità. Sta qui il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Nella modernità vi è l’illusione di un’onnipotenza umana nella realtà (le certezze religiose si sostituiscono con certezze scientifiche); nella postmodernità, constatato il fallimento della prima, si passa ad una seconda illusione, e cioè ad un’onnipotenza umana nel sogno e nell’irrazionale (si nega il concetto stesso di certezza, religioso o scientifico che sia).

Dentro la “post-modernità”

All’interno della postmodernità troviamo tanti movimenti. Uno dei più rappresentativi è senz’altro il surrealismo. Un movimento filosofico, ma soprattutto artistico e letterario, che ha segnato il XX secolo coinvolgendo poeti, pittori, cineasti e intellettuali di almeno tre generazioni.
Il surrealismo si prefisse di esprimere la profondità dell’io liberandolo dalla razionalità, dal realismo della visione e del linguaggio. Domanda importante per capire: ma perché la ragione e la realtà danno così fastidio al surrealismo? Perché tanto la ragione quanto la realtà vincolano al riconoscimento del dato oggettivo e quindi al riconoscimento dell’autentica natura umana che è quella limitata e creaturale.
Illudendosi di poter togliere di mezzo la ragione e la realtà, il surrealismo partorisce un certo modello di arte che deve scaturire da ciò che il pensiero detterebbe in assenza d’ogni controllo esercitato dalla logica, al di fuori d’ogni preoccupazione estetica e morale. Da qui la rivalutazione del sogno, del meraviglioso, del causale e dell’azione rivoluzionaria. In tutto questo c’è tanto l’influenza di Sigmund Freud (1856-1939) quanto quella di Karl Marx (1818-1883): l’arte deve mirare a raggiungere il punto in cui reale ed immaginario coincidono (influenza di Freud), cercando di trasformare radicalmente il mondo (influenza di Marx).

Un po’ di storia...

Il surrealismo nacque in Francia come movimento d’a­vanguardia in seno ad un altro movimento, il dadaismo, sorto contemporaneamente in Svizzera e in America verso il 1916 con l’intenzione di demistificare tutti i valori della cultura attraverso un’azione che esaltasse l’idea di primitivismo, di spontaneità creativa ed irrazionale.
Se proprio si vuole una data ufficiale, possiamo dire che il surrealismo nacque nel 1919, anno di fondazione della rivista “Littérature” voluta da intellettuali come André Breton (1896-1966), Louis Aragon (1897-1982), Paul Eluard (1895-1952) e Philippe Soupault (1897-1990).
L’esponente più significativo fu proprio Andrè Breton che, influenzato soprattutto dalle opere di Sigmund Freud (1856-1939) e di Lautreamont (1846-1870), teorizzò la liberazione del linguaggio dell’inconscio tramite una “scrittura automatica”, cioè non più controllata dalla ragione. Nella sua riflessione ha un ruolo centrale il concetto di “surrealtà” (da cui la definizione di “surrealismo”), che indica una dimensione in cui convergono stati opposti come sogno e veglia.
Eccoci tornati al punto di prima: dal momento che l’uomo non può divenire onnipotente, più che rinunciare alla pretesa, bisogna demolire i vincoli della realtà e della logica che costringono continuamente alla constatazione della limitatezza umana. 
Dunque, è chiaro come il surrealismo (così come la postmodernità) siano all’interno del delirio di dissoluzione, che a sua volta è figlio del fallimento del sogno di un antropocentrismo radicale. Meglio distruggere tutto che constatare di vedere fallire le proprie pretese. E a proposito di distruzione di tutto, fu proprio Andrè Breton ad affermare che l’azione più “surrealista” è (sono sue testuali parole) «prendere una pistola e sparare a caso sulla folla». 

La pittura deve rappresentare una realtà illogica


Per quanto riguarda la pittura, i surrealisti hanno proposto due prospettive pittoriche che sono perfettamente in coerenza con la ragion d’essere di questo movimento culturale.
La prima è la pittura delle associazioni incongrue, la seconda quella delle associazioni libere. In entrambe il modello di riferimento è l’esperienza onirica, cioè il sogno.
Nella prima si abbinano illogicamente le figure, cioè le cose, proprio come avviene solitamente nel sogno. A riguardo le opere dello spagnolo Salvator Dalì (1904-1989) sono l’esempio più appropriato. Nella seconda si dà spazio al puro spontaneismo. Il pennello scorre o punteggia sulla tela senza che ci sia una logica che lo guidi, così come avviene per i pensieri onirici: si presentano senza una logica come successioni di suggestioni senza senso.

Una precisazione importante: un conto è il “surrealismo”, altro il “genere fantastico”

Una precisazione è importante. Molti confondono il surrealismo con l’uso della fantasia, per esempio con il fantasy per quanto riguarda la letteratura. Nulla di più inesatto.
L’uso della fantasia non è per “sovvertire” il reale, bensì per andare “oltre” il reale stesso. Non si tratta di un gioco di parole né di una precisazione troppo pignola, bensì ciò che abbiamo appena detto sottende un significato importante. “Sovvertire” il reale significa rinunciare al reale stesso, riscriverlo, non prenderlo in considerazione, denunciarlo come fuorviante, ritenerlo non vero... sovvertirlo, appunto. Invece altra cosa è andare “oltre” il reale, perché ciò significa prendere in considerazione il reale ma cercando di capirlo meglio; e, per far questo, occorre spesso saper andare oltre ciò che immediatamente si vede. Per esempio, se voglio capire l’essenza di una cosa dovrò sì partire dal dato sensibile (l’osservazione), ma dovrò anche, attraverso l’intelletto, coglierne l’essenza universale. Ebbene, la fantasia delle favole tradizionali, o del genere detto appunto fantasy, non è un rifiuto del reale, bensì una capacità di sublimarlo per scorgere quel piano oltre il naturale che non si scorge immediatamente ma che pure è determinante per capire il reale stesso.
Insomma, la fantasia è una chiave di lettura, perché non c’è reale senza mistero; e il fantasy, a differenza del surrealismo, non promuove la sovversione ma la riconduzione dell’uomo al significato... come fanno bene le favole tradizionali.

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