RISPOSTA AI LETTORI
L’ultima volta che mi sono confessato...
dal Numero 39 del 4 ottobre 2015

Buongiorno, la settimana scorsa il sacerdote che mi ha confessato non mi ha fatto recitare l’atto di dolore e non mi ha imposto la penitenza. Questo nonostante fossi in peccato mortale! Inoltre al mio desiderio di inginocchiarmi mi ha detto di stare pure seduto. Ora ho il dubbio che tale confessione sia valida e forte è il mio desiderio di potermi comunicare. Il mio è solo un eccesso di zelo o debbo ripetere la confessione? (Emanuele A.)

Caro Emanuele, è giusta la tua preoccupazione per una buona e santa Confessione, dato che tutti vogliamo liberarci dal peccato e vogliamo che la nostra Confessione sia valida agli occhi di Dio. Sia il sacerdote che il penitente devono porre in essere degli atti previsti dal rituale per lo svolgimento del rito. Purtroppo non tutti i sacerdoti educano se stessi ed i fedeli alla forma giusta per un corretto svolgimento del Sacramento.
Ci sono però dei fatti essenziali che non si possono omettere. Per la validità del rito è necessario, dopo l’accusa del peccato ed il sufficiente dolore e proponimento di non più offendere il Signore da parte del penitente, la formula di assoluzione pronunciata dal sacerdote prevista oggi dalla Chiesa e così formulata dal rituale in lingua italiana: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Rito della Penitenza, n. 19, Liberia Editrice Vaticana 1989, p. 26). L’antico Catechismo di San Pio X ammetteva per la validità del Sacramento, quando il rito era ancora solo in latino, le semplici parole Ego te absolvo (n. 678).
Se il sacerdote ha pronunciato una di queste formule e se tu ti sei presentato pentito al Sacramento con il proponimento di non più peccare e accusando per quanto possibile tutti e singoli i peccati mortali, devi stare certo che la Confessione è valida anche se il sacerdote si è dimenticato di darti la penitenza e ti ha fatto mettere seduto e non in ginocchio.
Effettivamente bisognerebbe confessarsi ancora al confessionale, come previsto esplicitamente dal Diritto Canonico (can. 964, 2-3), quindi si dovrebbe stare in ginocchio, e solo «per giusta causa», si dovrebbe predisporre un altro modo di celebrare il Sacramento.
Per quanto riguarda la penitenza, o soddisfazione, non esiste una disciplina univoca su di essa. Si dice solo nel rituale che essa va fatta: «Il genere e la portata della soddisfazione si devono commisurare ad ogni singolo penitente, in modo che ognuno ripari nel settore in cui ha mancato, e curi il suo male con una medicina efficace» (Rito della Penitenza, n. 6/C, p. 19).
Se il confessore per cattiva abitudine non la dà oppure se ne dimentica è bene farne una per conto proprio, conforme al peccato che si vuole riparare: «Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve “soddisfare” in maniera adeguata o “espiare” i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche “penitenza”» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992, n. 1459).

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits