RECENSIONI
Il DNA dell’italianità
dal Numero 43 del 20 novembre 2022
di Fabrizio Cannone

Un libretto ricco di saggezza e di consigli, ma espressi con un linguaggio dolce e affascinante. Dopo due secoli, queste pagine non risultano affatto invecchiate, segno che l’Autore ha saputo descrivere l’uomo per quello che è in sé e non per quello che passa presto sulla scena del mondo.

Nella lunga e gloriosa epopea nazionale italiana non mancano davvero i santi, gli eroi, i poeti, gli inventori, gli scienziati, i grandi in qualunque ramo dello scibile umano e di qualsivoglia disciplina.
A volte, in campo cattolico, si è troppo riservati verso autori e figure, che sono note nei libri di storia per le loro imprese politiche o scientifiche, e di cui si ignora l’afflato spirituale. Non raramente infatti anche in grandi personalità storiche, antiche e recenti, lo spirito cristiano – che è un po’ il DNA dell’italianità – esiste e persiste malgrado le apparenze.
Nell’ambito per esempio del cosiddetto Risorgimento, oltre a personaggi certamente loschi e meschini come il Cavour, ci furono personalità diverse e ben più compatibili con la migliore tradizione della nazione.
Si pensi all’abate Rosmini, beatificato da Benedetto XVI, al beato Faà di Bruno (militare, matematico e sacerdote) e allo stesso Alessandro Manzoni, citato con stima da tanti papi, dall’Ottocento ad oggi. E di cui andrebbe al più presto ripubblicata un’opera di altissima apologetica quale furono le Osservazioni sulla morale cattolica (1819).
Per non parlare di un classico dell’italianità, oggi dimenticato e rimosso, come il patriota Silvio Pellico (1789-1854). Il quale, con Le mie prigioni, ha raggiunto forse uno dei picchi di vendite di libri nell’Ottocento.
Fede & Cultura di Verona ha appena ripubblicato un aureo trattatello del Pellico intitolato I doveri degli uomini, uscito in prima edizione nel 1834.
Nella saggia introduzione Antonio Gaspari ricorda che il cardinal Bagnasco, quando era presidente della CEI, disse che «la ricorrenza per i 150 anni dell’Unità d’Italia», celebrata nel 2011, avrebbe dovuto spingere tutti i cittadini verso «un nuovo innamoramento del nostro essere italiani» (p. 5).
Secondo Gaspari il Pellico è un personaggio, tra i molti che illustrano il nostro Ottocento, che svetta «ai primi posti per qualità letteraria, patriottismo, virtù morali, passione» (p. 7).
Purtroppo i cattolici e i teologi che si credono aggiornati hanno da tempo espunto il patriottismo dalla loro religiosità, credendo così di essere al passo coi tempi e meglio accettati nel contesto della globalizzazione. Al contrario Silvio Pellico in 32 brevi e toccanti capitoletti ci ricorda l’importanza dei doveri umani: tra cui la devozione a Dio, alla nazione, alla terra, alla famiglia. Senza escludere, ovviamente, l’intera umanità dei redenti.
Per il patriota piemontese, «all’idea del dovere l’uomo non può sottrarsi». Anzi, «l’adempimento del dovere è talmente necessario al nostro bene», che senza di esso non esiste felicità.
Quali doveri però? Anzitutto, quelli che la natura stessa ci inculca e che la coscienza ci chiarisce, oltre ogni ragionevole dubbio. Non potendo vederli tutti, limitiamoci al primo indicato dal Pellico. E cioè l’amore – doveroso – per la verità.
«La verità è Dio. Amar Dio ed amare la verità sono la stessa cosa» (p. 14). «La coscienza dell’uomo – continua il Nostro – non ha riposo se non nella verità».
Questo libretto consta di 130 pagine di saggezza e di consigli, ma espressi con un linguaggio dolce, quasi da libro Cuore. Eppure, dopo quasi due secoli, esse non risultano invecchiate di una ruga. Segno che l’Autore ha descritto l’uomo per quello che è in sé e non per quello che passa presto sulla scena del mondo. Ovvero un essere pensante che esiste proprio perché è stato pensato. Cogitor [e non cogito], ergo sum.
Le pagine del Pellico sul patriottismo, sull’amor paterno, sul rispetto dei vecchi, degli infanti e delle donne, sulla gentilezza, sulla cortesia, sull’amicizia, sulle ricchezze, sul matrimonio ne fanno un piccolo grande capolavoro. 

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