FEDE E CULTURA
Il dono più bello che Dio ci abbia potuto fare
dal Numero 1 del 8 gennaio 2017
di Alfredo Incollingo

Quello del Natale è un evento che ancora genera scandalo, incentrandosi nel mistero di un Amore disinteressato che certamente stride con l’utilitarismo che anima l’agire contemporaneo. Eppure, è un mistero che ha molto da dire all’uomo di oggi, a cominciare dal recupero di quell’unità “anima-corpo” che oggi si è smarrita.

Doni, doni e doni. Il Natale non sembra essere altro che una cascata di regali da scambiarsi durante la notte della Vigilia. Baci, abbracci e parole d’affetto rendono questa festa ancora più calda e confortevole: l’amore e la gioia inebriano l’atmosfera e i rancori e le antipatie dell’anno paiono ormai un ricordo... per poco. Il Natale è ridotto a un’atarassia che dura poche ore, poi si ritorna al vizio e alle noie. Dov’è finito l’Eterno? Senza la Sua presenza, che è viva e concreta, l’amore natalizio è blando, perché è umano e finito. Il Natale non è shopping, non si riduce al dono o agli abbracci: il nostro Dio d’amore, che si è incarnato nel seno della Vergine Maria, finalmente nasce come uomo, pur conservando la sua natura divina. È una bella favola e, come afferma Gilbert K. Chesterton, la fiaba più di un trattato di filosofia sa parlare di cose reali agli uomini con la meraviglia, stupefacendo, che non vuol dire che siano finte o menzognere. I pagani si scandalizzarono di un Dio che preferì abbandonare il Cielo per la Terra per salvare anche chi non gli era grato. Ancora oggi genera scandalo perché un amore disinteressato dimostra la nullità dell’utilitarismo che giustifica l’agire contemporaneo.
L’Europa al giorno d’oggi ha dimenticato questo gesto di vera carità e preferisce circondarsi di luci e di oggetti pur di nascondere il suo orizzonte esistenziale vuoto. Non ha un fine né un senso. Questo cataclisma morale si esplicita soprattutto nel linguaggio che sta prontamente sostituendo ogni riferimento al Santo Natale e a Gesù. L’espressione Buone Feste ha ormai preso il posto di Buon Natale per rendere più laica la celebrazione e per non offendere, così si dice, chi ha altre fedi. Si arriva perfino a negare il Presepe e i canti natalizi nelle scuole per non turbare il corpo docente e gli alunni.
Aveva ragione Gilbert K. Chesterton quando in Lo spirito del Natale con la sua tipica vena ironica spiegava il tentativo tutto moderno di ridurre Cristo ad un principio umanitario. La stessa teologia dava ragione allo gnosticismo, facendo di Gesù un saggio o un buon uomo depositario di un sapere mistico. Il materialismo e lo spiritualismo sono le due tendenze inconciliabili nella modernità, due modi estremi e sbagliati di intendere la realtà e l’esistenza. Lo spirito e la materia sono due entità estranee, ormai incomprensibili insieme per una ragione folle, come l’intendeva Chesterton (“Il folle non ha perso la ragione, ma il contatto con la realtà”). L’intelletto tomista aveva saputo accordare entrambi, ma il razionalismo ha infranto l’idillio. Per reazione ha prodotto il suo esatto contrario l’esasperazione nell’accordarsi con lo spirito. Cosa c’entra tutto questo con il Natale? In Gesù si contemplano due nature, quella umana e quella divina: Dio ha scelto la materia quale strumento della Salvezza e non solo lo spirito. Le stesse lettere paoline, per esempio, invitano a preservare il Tempio dello Spirito che è il corpo: «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi?». Benedetto XVI nella sua sublime Enciclica Deus caritas est così affermava a riguardo: «L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza».
Cristo è il nostro farmakos, la nostra cura morale e fisica, che placa i dissidi interiori e ci allontana dalle false dottrine. Solo in Gesù troviamo quell’unità che ci fa sentire persone, individui razionali e metafisici in comunione con Dio Padre.
Dono è la parola chiave per comprendere il Natale, insieme al verbo donare. Il Signore agisce con carità e lo ha fatto facendosi uomo e sacrificandosi sulla Croce per noi. Chi avrebbe potuto fare un dono più grande? Nessuno, solo Gesù. Il Padre ha dimostrato il suo amore per le creature morendo sulla Croce per rimetterci dai nostri peccati.
In questi giorni di frenesia per i regali e per le grandi abbuffate mettiamoci a sedere o passeggiamo e meditiamo sulla nascita di Cristo. Facciamolo tenendo a mente le parole di Chesterton: «I regali di Natale sono simbolo di una protesta permanente fatta per conto del “dare” come distinto da quel mero “condividere” che i moderni sistemi di valore presentano come equivalente o superiore al primo. Il Natale rappresenta questo eccezionale e sacro paradosso: dal punto di vista spirituale, se Tommy e Molly si dessero a vicenda una moneta da sei penny, compirebbero una transazione di valore superiore rispetto alla condivisione di uno scellino». A Natale veneriamo un Bambino, non uno qualsiasi, ma il Figlio di Dio, che ogni anno fino alla fine dei tempi ci annuncerà il Suo messaggio di Salvezza.

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits