MARIA SS.
Il Fiat dell’amore e del dolore...
dal Numero 12 del 23 marzo 2014
di Don Dolindo Ruotolo

L’Annunciazione: un evento sublime che sconvolge la storia dell’umanità. è la potenza di quel Fiat di amoroso consenso a Dio che assume proporzioni d’immenso dolore nel suo sviluppo. Di seguito solo quale spunto di una realtà da meditare profondamente per capire le grandezze di una mirabile Creatura.

In ogni operazione della grazia, Dio non forza la creatura, per quella divina riverenza con la quale la tratta; vuole perciò il libero consenso di lei e la sua cooperazione. è questa la profonda ragione con la quale ad ogni grazia che si domanda occorre la preghiera, e nel pregare l’unione alla Divina Volontà.
L’Incarnazione del Verbo di Dio è la più grande grazia che l’uomo, e con Lui tutta la creazione, ha avuto dalla divina Bontà. Era nell’eterno disegno di Dio, ma si compì dopo la preghiera dei giusti dell’Antico Testamento con il consenso di Maria Santissima. Con la preghiera ardente del suo Cuore, Maria lo chiamò dal Cielo, e poiché doveva determinarsi in Lei la sua venuta in terra, Ella pregando lo chiamò e con il suo Fiat lo accolse nel suo Seno.
Maria pregando si offriva a Dio interamente per la sua consacrazione verginale, e poiché era Immacolata per anticipata Redenzione e piena di grazia, chiamava il Redentore offrendogli quella ricchezza d’amore che per Lui aveva anticipatamente avuta. Questo carattere della preghiera di Maria è adombrato nel Sacro Cantico dall’invito della sposa allo sposo, e dalla risposta dello sposo: Venga il mio diletto nel suo giardino, e mangi il frutto dei suoi pomi. E lo sposo risponde come una cosa già fatta, poiché Maria, orto chiuso, è già arricchita di grazia per l’elezione sua a Madre del Verbo: Sono venuto nel mio giardino, sorella mia sposa, ho colto la mia mirra con i miei aromi – ho mangiato il favo con il mio miele –, ho bevuto il mio vino e il mio latte.
Lo Spirito Santo rese Maria Madre del Verbo Incarnato e perciò fu Sposo di Lei, orto chiuso, giardino del Redentore. Da Lei il Verbo di Dio colse la sua mirra, l’Umanità, per essere vittima d’immolazione. Assumendo l’Umanità colse dalla Madre la mirra con i suoi aromi, per le sublimi virtù con le quali Maria si unì a Lui nel dolore e nel sacrificio. Nel Seno di Maria si formò il Cuore di Gesù, favo di miele per la divina dolcezza, il Cuore che si arricchiva di sangue quasi vino di olocausto, man mano che cibandosi al petto di Maria e bevendo il suo latte si formava e circolava nelle sue vene, per effondersi tutto nell’Immolazione della Croce e donarsi tutto nella Mensa eucaristica.
Per il compimento di questo Mistero d’amore, Maria pregava, pregava, ma per la sua umiltà non pregava perché si realizzasse in Lei.
Ogni preghiera di Maria era un’estasi di amore a Dio, un sospiro e un’invocazione al Redentore.
Comunemente noi immaginiamo Maria nella vita domestica; i pellegrini che vanno in Terra Santa vanno a vedere la fontana dove attingeva Maria e se la immaginano con la brocca sulla spalla; vanno a Loreto e vedono con commozione qualche stoviglia di Nazareth conservata nella Santa Casa, e pensano a Maria che preparava e ministrava il cibo alla sacra Famiglia. Non suppongono qual era la vita interiore di Maria quando l’Angelo fu mandato a Lei da Dio, per avere il consenso dell’anima sua all’Incarnazione del Verbo nel suo Seno. Possiamo intuirlo in questo tratto del Cantico che nel testo s’intitola Scena di dolce intimità. La visita notturna dello sposo alla sposa che dorme... Fu un momento grandioso di amore di Dio verso la sua prediletta creatura, che domandava un consenso di amore da Lei che si stimava un nulla dinanzi a Lui.
Le occupazioni di Maria sulla terra erano per Lei come un sonno; non ne era assorbita. Il suo Cuore vigilava, era tutta in Dio, e ogni azione in Lei era preghiera sospirante al Redentore.
Per la profonda umiltà di Maria quel consenso non era facile. Velatamente, il Verbo di Dio doveva essere il suo diletto, perché voleva farsi suo Figlio, e picchiava alla sua porta anche quando le faceva considerare lo stato nel quale era ridotto il suo popolo, e le offese che faceva a Dio.
Nell’Annunzio dell’Angelo sentì la voce di Dio che la invitava a dare il suo consenso all’Incarnazione del Verbo. Questi veniva agli uomini che vivevano nella notte del peccato e cercava in Maria un rifugio dove fermarsi.
Maria nell’Annunzio si sgomentò, la sua umiltà ebbe il sopravvento e temette, mentre il Diletto picchiava. Maria, che l’aveva tanto sospirato, non dette subito il suo consenso. Le si annunziava una maternità, e la vide come impossibile in Lei. Si era spogliata di ogni veste terrena con la sua consacrazione verginale; aveva lavati i suoi piedi. Qui è la parte per il tutto, e nei piedi è l’espressione dei movimenti, dei passi della sua vita poiché il suo corpo purissimo era tutto e solo di Dio, viveva per Lui e come avrebbe potuto avere le macchie di un connubio? Ma il Diletto aprì lo spiraglio della porta, deponendovi la mirra. Voleva assumere in Lei l’umana carne, figurata dalla mirra, ma senza ledere la sua Verginità e perciò si eclissò.
Subentrò allora la ricerca dell’amore per accogliere il Diletto; l’Infinito Amore doveva donarle il Diletto, il Figlio Divino, e Maria nell’intendere il mistero si umiliò ancora e dette il Fiat dell’amore, dando Essa i segni che dovevano farlo riconoscere come Redentore alle figlie di Gerusalemme, nel suo dolore e nella sua immolazione.
Al Fiat dell’amore, infatti, subentrò in Maria quello del dolore, nella sua piena unione alla Volontà di Dio. Al consenso per il compimento dell’Incarnazione del Verbo, seguì la cooperazione sua, nell’offerta dolorosa del Figlio suo come vittima di riparazione e di espiazione. Sotto questo aspetto, Maria è veramente Corredentrice del genere umano.
Noi. meditando Maria annunziata dall’Angelo, la stimiamo felice e ci sembra facile il suo Fiat, ma esso fu detto dopo ansietà di dolore e continuò in ogni momento della sua vita che, per il Fiat amoroso, fu un Fiat doloroso. è un dolore che possiamo dire ancora inesplorato. Il Verbo si fece carne in Lei. Lo Spirito Santo fecondandola depose la mirra; l’Umanità assunta del Verbo si sviluppava secondo le leggi della maternità. Eppure l’Angelo le aveva annunziato come figlio il Figlio eterno di Dio. Essa lo aveva meditato e amato come Dio infinito; era il suo Diletto e si era eclissato nel suo seno. Adorava l’Infinito e si sentiva piccola e povera nell’avere Colui che i cieli erano incapaci di contenere. Un dolore alimentato dalla profonda umiltà.
O Maria, o Maria, chi può scrutare la grandezza dell’anima tua, tutta gloria di Dio? Perciò cantasti sulle armoniose e squillanti note della tua umiltà: Magnificat anima mea Dominum.
La fede di Maria fu veramente grande in un intreccio di dolori che le dovevano far dire continuamente Fiat, dato che i misteri dell’Incarnazione del Verbo si compivano in Lei, per Lei e con Lei.

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