MARIA SS.
Il teologo, la mistica, la battaglia: il trionfo dell’Immacolata a Siena
dal Numero 47 del 6 dicembre 2020
di Carlo Codega

Per molto tempo Siena ha rivendicato il primato tra le città italiane in quanto a culto e consacrazione all’Immacolata Concezione. Ripercorriamo con passione e rigore la sua vicenda storica, fatta di scontri teologici e persino scontri armati; per appassionarci sempre più a questo mistero centrale di Maria Santissima.

Non esiste un dogma mariano, come quello dell’Immacolata Concezione, in cui il progresso nella ricezione del dato di fede e la storia dell’umanità, anche nei suoi aspetti più politici e secolari, s’intramino più fittamente tra di loro. E non potrebbe essere diversamente se riflettiamo che il significato più immediato del terzo Dogma mariano è appunto l’opposizione radicale a quel peccato originale, alla luce del quale (o meglio “al buio del quale”) solo si è in grado veramente di dare una lettura unitaria della storia dell’umanità. E ciò che vale per la storia universale della Chiesa e dell’umanità vale anche in contesti più ristretti, nazionali, regionali o addirittura cittadini. È il caso del trionfo del culto dell’Immacolata Concezione a Siena... una storia interessante e paradigmatica; storia di scontri teologici, ma anche di veri e propri scontri armati; una storia che vale la pena ripercorrere con entusiasmo e acribia storica, per appassionarsi sempre più a questo mistero centrale della figura di Maria Santissima, la Madre Immacolata di Dio. Non va dimenticato, peraltro, che Siena ha per molto tempo rivendicato una primogenitura tra le città italiane per quanto riguarda il culto e la consacrazione all’Immacolata Concezione... primogenitura che oggi viene messa in discussione – forse non del tutto a torto – ma che ha sicuramente meritato a Siena il privilegio di figurare nella celebre serie di affreschi del tamburo della cupola della Basilica di Loreto di Cesare Maccari, raffiguranti appunto la Storia del dogma dell’Immacolata Concezione

Siena città mariana

Il punto innegabile è che la gloriosa storia di Siena ha un evidente carattere mariano, orgogliosamente rivendicato dalla città toscana e messo alla base della sua identità storica, della sua autonomia (soprattutto nei confronti della grande rivale Firenze) e, ancor più, dei suoi stessi rituali civici. Si pensi anche solo al fatto che ancora oggi i due celebri palii di Siena – quello del 2 luglio e quello del 16 agosto – si tengono appunto in occasione o immediatamente di seguito a ricorrenze mariane: facile capire il carattere mariano di quello dell’Assunta, mentre non a tutti è chiaro che anche il palio di luglio si ricollega alla festa della Madonna di Provenzano.

Ad ogni modo va detto che il particolare patrocinio mariano invocato dai senesi sulla propria città ha una data di inizio, e questa è quella del 1260, la data della battaglia più celebre del Medioevo senese, la famosa vittoria di Montaperti contro i guelfi fiorentini. Più volte ricordata da Dante nella Divina Commedia – sia in relazione al celebre Farinata degli Uberti che al traditore Bocca degli Abati –, la battaglia vide infatti soccombere il ben più numeroso esercito guelfo, radunato dai fiorentini, di fronte ai ghibellini senesi, ai quali si unirono i ghibellini fiorentini e delle truppe imperiali. Non molti sanno però che i senesi fecero precedere alla battaglia una processione mariana e una particolare cerimonia di offerta a Maria della propria città… e la Madonna non tardò a far percepire il proprio aiuto, determinando il trionfo senese e la fuga rocambolesca dell’esercito guelfo, quella fuga che Dante descrisse come «lo strazio e ‘l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso» (Inferno, canto X, 85).

Fatto sta che da qui nacque un rapporto particolare tra la città toscana e Maria Santissima: già alcuni anni dopo, nel 1266, il sigillo della Repubblica Senese presentava una Madonna in trono, con in mano una Rosa di Gerico e con sotto i piedi la testa di un serpente. Se forse è troppo affrettato vedervi un accenno alla dottrina dell’Immacolata Concezione (secondo gli studiosi è più probabile che il serpente rappresenti i fiorentini), tuttavia la memoria gloriosa di Montaperti fu definitivamente legata al patrocinio di Maria Santissima e questo fu suggellato sulla Porta Camollia, la porta volta verso Firenze davanti a cui aveva avuto luogo la battaglia, con un celebre affresco di Simone Martini.
Ad onore delle cronache va detto poi che proprio questa Madonna Assunta fu la famosa “amata” del giovane Bernardino degli Albizzeschi, il futuro san Bernardino da Siena. Alla zia, incuriosita dalle sue uscite quotidiane, il giovane infatti confessò di andare ogni giorno a visitare la propria amata… ma questa – come si avvide la zia seguendolo – non era altro che la Madonna di Porta Camollia, davanti alla quale il giovane soleva sostare in ginocchio e pregare. Fatto sta che da quel momento in poi, nei momenti bui e difficili della propria storia, i senesi – con a capo i loro governanti – solevano rivolgersi alla Madonna e rinnovare la loro consacrazione.

Tra peste e scontri teologici

Siena fu tra le città più colpite da quella Grande Peste che dal 1348 in poi mieté vittime a volontà in tutte le città italiane. Nella sola ondata del 1348 si calcola che degli 80.000 abitanti di allora, ne fossero rimasti vivi 15.000... una vera ecatombe, che comunque non risparmiò anche le altre città toscane, tra cui Firenze. Per comprendere quale cambiamento epocale fu quello, basti pensare che l’attuale Duomo di Siena, secondo un progetto allora in realizzazione, doveva essere solo il transetto di un immenso Duomo che avrebbe dovuto essere almeno tre volte più grande, e di cui rimangono ancora alcuni resti. Ad ogni modo, quando nel 1363 la peste nera si riaffacciò davanti ai superstiti, la città ricorse all’aiuto soprannaturale della Santissima Madre di Dio: secondo alcuni storici in quell’anno il comune di Siena rivolse un pubblico voto – ovvero emesso dagli stessi governanti a nome di tutti i cittadini – esplicitamente diretto all’Immacolata Concezione della Santissima Madre di Dio. La cosa è sicuramente importante, in quanto all’epoca tale dottrina era ancora molto discussa all’interno della Chiesa Cattolica e solo da pochi decenni il grande teologo francescano, il beato Giovanni Duns Scoto, l’aveva difesa efficacemente in una pubblica disputa alla Sorbona di Parigi nel 1305 e aveva eluso ogni argomento contrario, in particolare quelli che avevano lasciato san Tommaso d’Aquino dubbioso (se non apertamente contrario) su tale privilegio.

Secondo la Scuola domenicana, che si rifaceva troppo pedissequamente alle conclusioni letterali di san Tommaso, era infatti assurdo affermare che la Vergine Maria fosse stata concepita senza peccato originale, in quanto questo è un’eredità che si trasmette con la natura umana. Quindi se Maria era una donna, doveva avere anche il peccato originale, altrimenti sarebbe stata esente dalla Redenzione di Cristo, il che impediva a Cristo di essere considerato il Redentore di tutto il genere umano. Davanti a queste argomentazioni, la Scuola francescana – iniziata proprio da Duns Scoto – sosteneva invece che il privilegio di essere stata concepita senza peccato originale non escludeva Maria né dal genere umano, né dalla Redenzione, in quanto Ella piuttosto era stata pre-redenta, preservata dal peccato originale, per divenire la Madre di Dio. Da qui in poi pertanto la dottrina dell’Immacolata Concezione divenne la “tesi francescana”, mentre furiose e interminabili discussioni si accesero tra le due scuole, che spesso non si risparmiavano toni duri e vere e proprie rappresaglie reciproche.

Fatto sta che da lì in poi il calendario liturgico senese incluse tra le sue solennità principali anche quella dell’8 dicembre, cioè l’Immacolato Concepimento della Beata Vergine Maria. Quella era una scelta di campo per la città di Siena... una scelta di campo che comunque la rese terreno fecondo per la coltivazione e la diffusione del culto all’Immacolata Concezione. Provvidenzialmente infatti nel XV secolo – forse quello più aspro nel dibattito tra le due scuole – per Siena passarono due veri e propri paladini dell’Immacolata Concezione. Il primo, lombardo di nascita, era fra’ Francesco Sansone di Brescia che, come maestro dello studio francescano e poi come superiore, rimase a Siena dal 1457 al 1475 – tanto da meritarsi l’appellativo anche di Francesco di Siena – per poi diventare Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori. Il secondo, invece, fu fra’ Francesco della Rovere, anch’esso frate francescano conventuale e maestro di teologia allo Studio di Siena, ma soprattutto futuro papa Sisto IV. Non conosciamo molto sulla loro dimora senese e sul loro influsso sulla devozione all’Immacolata, ma ciò che sappiamo di certo è che nel 1477 lo stesso Sisto IV invitò fra’ Francesco Sansone a Roma per discutere davanti alla sua presenza contro il capofila degli anti-immacolatisti, il domenicano Vincenzo Bandello. Questa seconda celebre disputa – dopo quella di Duns Scoto – sancì il successo della tesi dell’Immacolata Concezione e convinse Sisto IV – già personalmente entusiasta – ad usare anche del suo potere pontificio per sancire l’introduzione nel calendario della Chiesa della festa dell’Immacolata Concezione.

A Siena tra teologia e politica

Tuttavia, le due bolle pontificie di Sisto IV (Cum praecelsa del 1477 e Grave nimis del 1480) con cui si dava a chiunque la possibilità di festeggiare l’Immacolato Concepimento di Maria e che tentavano di porre freno alle opinioni contrarie, non furono accolte da tutti nello stesso senso. I Domenicani, in particolare, pur senza criticare il magistero pontificio, non rinunciarono alla loro posizione teologica, anzi la rinfocolarono e la rincalzarono con nuovi argomenti. Dall’altra parte ammettevano la possibilità per l’8 dicembre di celebrare l’ufficio non “In Conceptione Beatae Virginis Mariae”, ma “In santificatione Beatae Virginis Mariae”. Ovvero, la posizione domenicana, sostenendo che necessariamente Maria doveva essere stata concepita con il peccato originale, ammetteva che in un momento immediatamente successivo fosse stata santificata in grembo: per questo pur non volendo festeggiare la Concezione, i Domenicani festeggiavano comunque l’8 dicembre la Santificazione di Maria. Ciò in realtà non comportò alcun alleggerimento dei conflitti teologici tra Francescani e Domenicani, che spesso anzi erompevano in aperti conflitti, forieri anche di disordini pubblici. Senza arrivare all’eccesso dei Domenicani di Berna che nel 1509 avevano inscenato una finta apparizione ai danni di un fratello laico, nel quale la presunta Vergine Maria avrebbe rivelato di non essere stata concepita immacolatamente – venendo poi condannati al rogo – anche a Siena, città apertamente immacolatista, si percepirono queste tensioni.

Il 7 dicembre 1510, durante una predica del francescano fra’ Giovanni Gualberto Rovai, i frati domenicani ivi presenti eruppero in alte grida quando il Francescano – forse con tono provocatorio – sostenne che lo stesso san Tommaso d’Aquino, capofila della Scuola domenicana, non si era mai espresso contro la Concezione Immacolata della Vergine. A quel punto il popolo, scandalizzato dalla reazione dei Domenicani, li cacciò violentemente dal Duomo, perché la predica potesse continuare. Ormai infatti a Siena anche la processione e la Messa dell’Immacolata erano di quelle “in cui esce la Signoria”, ovvero a cui partecipavano ufficialmente tutte le più importanti cariche politiche. In effetti in quegli anni si assisteva a una tensione sempre più crescente tra la popolazione – quasi totalmente schierata su posizioni immacolatiste – e le due comunità domenicane di Santo Spirito e di san Domenico, mentre notevole successo riscuotevano le comunità francescane – soprattutto quella conventuale di san Francesco – e quella, parimenti immacolatista, dei Servi di Maria.

Tale tensione peraltro non era dovuta a mere dispute teologiche ma anche a un particolare non secondario: la quasi totalità dei membri delle due comunità domenicane site a Siena era fiorentina e, proprio in quegli anni, la secolare rivalità tra le due maggiori città toscane stava conducendo ad un aperto conflitto, dato il non troppo celato desiderio di egemonia di Firenze su tutta la Toscana. Ora, alla mente di uno schietto senese, non doveva essere troppo difficile giungere da queste premesse a una conclusione scontata: è evidente che quella Madonna che aveva salvato Siena dall’assalto fiorentino del 1260, e che ora veniva particolarmente onorata dai senesi nella sua Immacolata Concezione, dovesse trovare come nemici “interni” proprio dei domenicani “fiorentini”... quasi delle quinte colonne teologiche (e perché no, anche politiche) della nemica Firenze. In realtà un personaggio solo non quadrava in questa “semplificazione popolare” della situazione teologico-politica senese, ma di questo personaggio per ora citiamo solamente il nome, fra’ Ambrogio Caterino Politi, al secolo Lancillotto Politi, già letterato senese, poi fattosi frate domenicano per l’attrazione esercitata su di lui dalla figura di fra’ Gerolamo Savonarola.

La “santa viva” Margherita Bichi

Siamo però nel 1525 quando i nodi vengono al pettine e i fatti si dispiegano in tutta la loro coerenza. Nel 1525, con la battaglia di Pavia, l’imperatore Carlo V infligge una sonora batosta ai suoi nemici, ovvero in particolare ai francesi – che bramavano mantenere l’egemonia in Italia – ma anche agli alleati peninsulari, che a quel momento contavano anche i Medici fiorentini e lo stesso pontefice, il quale all’epoca era in effetti un altro della famiglia de’ Medici, Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici. Nella stessa Siena una sommossa portò alla rimozione del regime filomediceo e filofiorentino del Consiglio dei Nove, in favore del cosiddetto “governo dei libertini”. Gli esiliati del precedente governo, però, si rivolsero immediatamente a Clemente VII che, non potendo tollerare un tale scacco politico, apprestò insieme a Firenze un forte esercito per mandare a domare la riottosa Siena. Occasione migliore non si prestava per i fiorentini per disfarsi di un nemico secolare e conquistare i suoi territori, mentre l’Imperatore – occupato su troppi fronti – non avrebbe potuto fare nulla per evitare il tracollo dell’alleato italiano.

Attaccata dal mare la Maremma e posto l’assedio alla fortezza di Montalcino, l’esercito mediceo non tardò ad affacciarsi alla vista di Siena, ponendo il suo campo proprio di fronte a Porta Camollia, mentre i senesi non potevano far altro che rifuggire lo scontro e giocarsela con una serie di sortite dai fianchi. Tra le mura delle città ormai da oltre una settimana si disperava di un possibile successo, data la sproporzione delle forze in campo: agli oltre 10.000 effettivi dell’esercito mediceo, si potevano contrapporre al massimo un migliaio di uomini armati, al quale accostare i popolani. Se non che l’aiuto provenne proprio dal Cielo.

Viveva allora a Siena una donna penitente con fama di santità, Margherita Bichi, una di quelle “sante viventi” che costellarono la storia di Siena dopo santa Caterina. Margherita, di importante famiglia senese che contava anche magistrati tra le sue fila, aveva lasciato la vita familiare per condurre una vita di preghiera e di penitenza, sotto la guida dei padri francescani del convento di san Francesco... neanche da dire che, proprio da loro, Margherita assunse una profonda devozione per l’Immacolato Concepimento di Maria. Priva dello zelo violento del predicatore Brandano – che inveiva contro la corruzione del papato – la Bichi piuttosto, per ispirazione divina, fece sapere ai governanti che l’assedio delle truppe papali e fiorentine costituiva un castigo di Dio per la troppa licenziosità e immoralità della vita cittadina. Per questo, facendosi portavoce delle richieste divine, chiedeva che si indicessero non feste civili o popolari – sempre destinate a scadere nella crapula – ma un triduo di preghiere e penitenze collettive, con Confessione e digiuni, e che si concludesse con una solenne processione verso il Duomo, nel quale si sarebbe benedetto uno stendardo raffigurante l’Immacolata Concezione, perché proprio Lei, Maria Santissima, la protettrice di Siena, avrebbe di nuovo difesa la città, dimostrando al contempo la verità del suo titolo di Immacolata Concezione.

Il governo discusse la proposta e, senza troppe remore, la mise in atto: il 17 luglio la bandiera fu approntata e già il 18 la si poteva benedire nel Duomo, da parte del vescovo di Pienza, Girolamo Piccolomini. A questo punto i governatori chiesero di nuovo alla Bichi cos’altro si dovesse fare per scongiurare una terribile sconfitta, ed ella rispose con tre richieste ancora più impegnative. Secondo la pia Margherita il governo avrebbe dovuto da lì in poi festeggiare con la massima solennità la festa dell’Immacolata Concezione, avrebbe dovuto tacitare – pena l’esilio – tutti quelli che contestavano la legittimità del privilegio e del titolo di Immacolata Concezione e, infine, la domenica successiva tutti i magistrati, “confessi e contriti”, avrebbero dovuto far celebrare una Messa all’Immacolata e rinnovare il voto pubblico, secondo il rituale già usato nella battaglia di Montaperti.

Le proposte vennero nuovamente accettate e, in effetti, domenica 22 luglio i magistrati adempirono la richiesta della Bichi, consacrando la città all’Advocata senensium, venerata particolarmente come Immacolata Concezione.

Il miracolo di Porta Camollia

Ma la sera del 24 luglio sembrava che ormai non ci fosse più niente da fare… dopo le scaramucce dei giorni precedenti, il giorno dopo l’esercito fiorentino-papale avrebbe probabilmente scagliato l’attacco definitivo, con grande disponibilità anche di armamenti pesanti. Non in pochi temevano anche che spie e fiancheggiatori si trovassero già dentro le mura e facessero penetrare gli assedianti proditoriamente... alcuni sospettavano degli stessi frati domenicani, che oltre essere fiorentini, erano anti-immacolatisti, e non avevano partecipato al fervore religioso del popolo senese dei giorni precedenti. Fu così che la sera del 24 luglio due membri della famiglia Politi, Alessandro e Camillo, si recarono da Margherita... questa volta la loro richiesta non era quella di nuove pratiche devozionali, bensì di un vero e proprio piano di battaglia. Alla pia donna tuttavia non mancò nemmeno questo: la Vergine – secondo la Bichi – aveva scelto Alessandro Politi per guidare un gruppo di armati fuori da porta Fortebranda, dietro lo stendardo con la croce di Cristo, perché aggirassero l’accampamento nemico e lo attaccassero sul lato.

Nel contempo – al segnale convenuto, di cui la mistica seppe indicare anche il preciso istante – da porta Camollia, la porta della Vergine, il condottiero Giovanni Maria Pini sarebbe dovuto uscire con i suoi armati e con gli stessi volontari popolani dietro lo stendardo bianco dell’Immacolata, attaccando frontalmente i nemici.

I militari, muti di fronte a un piano tanto preciso, si attennero alle parole di donna Margherita e così, mentre il Politi sconfiggeva dei mercenari corsi e, nel buio della notte, si approssimava all’accampamento, da dentro le mura suonò la Campana del Palazzo Pubblico. Al segnale i battenti di Porta Camollia si aprirono lasciando fuoriuscire lo stendardo dell’Immacolata seguito dai cavalieri e dalla milizia popolare, mentre in tutte le chiese della città donne e bambini si raccoglievano in preghiera attorno ai sacerdoti. Al contempo anche il Politi guidò i suoi cavalieri e fanti verso l’accampamento... L’effetto fu devastante: l’esercito mediceo non si aspettava un tale attacco – tanto proditorio quanto, alle umane viste, disperato – e, preso da una convulsa frenesia, si diede a una fuga disordinata. Uno dei condottieri fiorentini – secondo le cronache – fu visto scappare a piedi e con le sole mutande.

Cosa aveva portato un esercito di 10.000 uomini, tra cui mercenari e veterani, a spaventarsi davanti all’accorrere di un esercito dieci volte inferiore e piuttosto raccogliticcio? Alcuni da Montalcino avevano visto delle strane nubi delinearsi nel cielo, e c’era chi diceva di aver visto la Madonna stessa coprire la città con il suo manto. Razionalmente parlando la risposta rimane sospesa, ma sta di fatto che la stranezza di questo evento d’armi fu notata da un personaggio – non sospettabile di inclinazioni devote – quale Francesco Vettori che scrisse all’altrettanto razionalisteggiante Niccolò Machiavelli: «Voi sapete che io mal volentieri mi accordo a creder cosa alcuna soprannaturale; ma questa volta mi pare stata tanto straordinaria, non voglio dire miracolosa; e mi pare simile a certe istorie che ho lette nella Bibbia, quando entrava una paura negli uomini che fuggivano, e non sapevano da chi». Tale esito soprannaturale di un conflitto – preparato soprannaturalmente con la penitenza e l’invocazione dell’Immacolata Madre di Dio – è meno difficile da credere a noi, che ben sappiamo quale sia la potenza di Colei che la Sacra Scrittura dice essere «terribile come un esercito schierato in battaglia» (Ct 6,4).

I domenicani fiorentini e il senese fra’ Ambrogio Caterino

La nostra storia non si conclude però con il trionfo militare senese per mano dell’Immacolata, e nemmeno con le ovvie e magniloquenti cerimonie che ne seguirono e che furono tutte tese ad esaltare l’opera della Madonna, la salvaguardia della fiera autonomia senese e il privilegio dell’Immacolato Concepimento. In un circolo difficilmente spezzabile infatti il trionfo di Porta Camollia, da una parte, dimostrava come Dio proteggesse l’indipendenza della signoria senese dalle brame fiorentine e, dall’altra parte, provava l’innegabile verità dell’Immacolato Concepimento di Maria. In tal modo essere vero senese era diventato sinonimo di essere sostenitore dell’Immacolata Concezione, in un periodo in cui i confronti e scontri dottrinali erano ancora vivi. In tal modo però in Siena non sembrava esserci più spazio per qualcuno, al contempo fiorentino e avverso al culto dell’Immacolata: l’Ordine domenicano. Già sospettati di aver tramato e operato nell’ombra per il successo degli assedianti, i nodi vennero al pettine quando dal governo cittadino venne l’ordine di celebrare ovunque, in ogni chiesa, la festa dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre. Naturalmente i magistrati comunali non avevano il potere di imporre qualcosa dal punto di vista ecclesiastico, ma da tutto ciò che riguardava il lato civile non avevano intenzione di indietreggiare ed erano pronti a mettere in atto la seconda delle condizioni della vittoria, già pronunciata da Margherita Bichi. In poche parole l’opinione teologica domenica – e la conseguente prassi liturgica – divenne a Siena un affare di Stato: nel momento in cui si riconosceva nell’Immacolata la propria Regina e Salvatrice, automaticamente i Domenicani – colpevoli di avversare un suo privilegio – si rendevano rei di lesa maestà. Il 28 novembre 1526 pertanto, dato che ancora i Frati Predicatori non volevano garantire la possibilità di festeggiare l’Immacolata Concezione nella loro chiesa, la Signoria senese espulse tutti i frati nativi di Firenze che dimoravano nel convento di Santo Spirito, compreso il priore. Ma tale scontro senese si proiettò anche contro tutto l’Ordine domenicano, il quale tuttavia, con spirito diplomatico, trovò nel suo stesso organico la carta migliore da giocare. Nonostante da alcuni anni vivesse una situazione molto forte di tensione in seno all’Ordine dei Frati Predicatori, padre Ambrogio Caterino Politi – di cui abbiamo già accennato – aveva due titoli di grande valore per poter risolvere questo impasse senese: in primo luogo era senese di famiglia aristocratica, tanto che il fratello era quell’Alessandro eroe e protagonista della battaglia della Camollia; in secondo luogo – cosa quasi unica tra i Domenicani – era assolutamente favorevole e personalmente devoto alla verità dell’Immacolata Concezione, avvicinandosi anzi in tante posizioni filosofiche e teologiche alla famiglia francescana e alla sua teologia ufficiale, quella che prendeva le mosse dal beato Duns Scoto. Sembra che lo fosse non solo per convinzione intellettuale ma anche per aver ricevuto alcuni anni prima una grazia di guarigione proprio dall’Immacolata. Probabilmente i suoi superiori ignoravano un terzo dettaglio che giocava a suo favore: ancora da laico – con il nome di Lancillotto Politi – aveva scritto un poema sulla battaglia di Campaldino, illustrandolo con una stampa nella quale la Madonna copriva con il suo manto Siena, e tale immagine – dopo la battaglia appena accaduta – era ritornata in auge.

Proprio padre Ambrogio Caterino (che doveva i suoi nomi a due santi senesi, il beato Ambrogio Sansedoni e santa Caterina da Siena) fu mandato come priore a Santo Spirito per rilassare le tensioni con il governo cittadino – allora guidato da un altro fratello, Giambattista – ma con la precisa indicazione che non si venisse meno alle indicazioni del maestro generale dell’Ordine, che impediva di celebrare Messe per l’Immacolata Concezione, ripiegando piuttosto sulla Santificazione di Maria. Dopo alcuni tentativi di mediazione e dopo un appello anche al Sommo Pontefice il problema si presentò in tutta la gravità all’approssimarsi dell’8 dicembre 1527. Di per sé il Sommo Pontefice lasciava a ogni domenicano la libertà di celebrare secondo le convinzioni personali, ma il continuo diniego dei superiori maggiori dell’Ordine impediva effettivamente di metterlo in atto… dall’altra parte l’offerta del Politi di lasciare ufficiare nella chiesa del convento qualsiasi altro sacerdote, non era ritenuta sufficiente dalle autorità cittadine.

Fatto sta che – sciolto ogni residuo dubbio – il Politi l’8 dicembre 1527 si presentò all’altare con i paramenti bianchi e le insegne priorali, cantando davanti all’intera comunità dei frati in coro la Santa Messa per l’Immacolato Concepimento di Maria. Al momento in cui il Politi nel prefazio pregò per l’Immacolato Concepimento di Maria, anziché per la sua Santificazione, un grande brusio attraversò il coro dei predicatori... ne sorse un grande scandalo: la comunità si ribellò a fra’ Ambrogio Caterino, mentre l’intera città si strinse attorno a questo figlio prediletto. Alla fine il Politi fu rimosso dai superiori e la sua posizione nell’Ordine divenne ancora più isolata, ma la pietra era stata tratta e per i senesi questa fu la miglior celebrazione della loro Immacolata Regina. Qualche anno dopo la soppressione dei Domenicani riformati (quelli che derivavano dal Savonarola e a cui apparteneva il Politi) e il terribile incendio della chiesa di san Domenico a Siena, durante la novena dell’Immacolata del 1531, diedero nuovo adito alla magistratura senese per rivolgersi ai superiori dell’Ordine domenicano e chiedere che partecipassero al culto pubblico senese per l’anno 1532. Questa volta – visto il precedente di qualche anno prima – l’Ordine domenicano acconsentì e anzi, di lì a poco, rimandò a Siena anche fra’ Ambrogio Caterino Politi, il quale, proprio nella sua beneamata Città dell’Immacolata, poté pubblicare il suo trattato teologico più celebre, una Disputa sull’Immacolata Concezione. Negli anni a seguire il Frate senese non solo fu un abile apologeta contro il luteranesimo – adoperandosi soprattutto in un apostolato ad personam perché molti luterani tornassero alla Chiesa Cattolica – ma si spese per la promozione del privilegio dell’Immacolata, portando anche la discussione nelle aule del Concilio di Trento.

L’eredità immacolatista a Siena

In ogni caso tutto ciò che derivò da questa complicata e sfaccettata vicenda fu un aumento del culto e della devozione all’Immacolato Concepimento di Maria, in un momento in cui la verità del privilegio mariano non otteneva ancora un universale consenso. In particolar modo a Siena poi tale verità divenne un aspetto del sentire comune e patriottico del popolo senese... negare quel privilegio significava ormai negare il patrocinio di Maria sulla città e quindi negare anche il proprio essere senese. Da qui una grande stagione di “Immacolatizzazione” del culto mariano e della religiosità senese: su tutte le porte della città – a imitazione di porta Camollia – fu imposto per legge che trovasse posto una raffigurazione della Madonna; la sorgente basilica dei Servi di Maria fu dedicata – forse prima in tutto il mondo – proprio all’Immacolata Concezione, così come un monastero femminile non più esistente, mentre numerose cappelle sorgevano in tutte le chiese – persino nel Duomo – sotto questo augusto titolo.

Più tardi anche la chiesa e il convento dei cappuccini furono dedicati all’Immacolata. In particolare la chiesa di San Francesco fu la sede principale del culto dell’Immacolata e della memoria della battaglia di porta Camollia: proprio qui, nella cappella della famiglia Politi, trovò posto il corpo di Margherita Bichi, e per l’occasione anche la cappella fu ridedicata all’Immacolata Concezione di Maria. Quasi tutta la committenza artistica di quel periodo è legata all’Immacolata direttamente – come il capolavoro di Carlo Maratta nel Duomo – oppure indirettamente, come lo è per il culto di sant’Anna, evidente modo di richiamare il concepimento di Maria.

Il culto senese non rimase rinchiuso nelle anguste mura cittadine, ma ebbe un influsso potente sulla chiesa universale: tra gli strenui difensori dell’Immacolata Concezione davanti ai Padri del Concilio di Trento vi fu proprio l’arcivescovo di Siena, Francesco Bandini Piccolomini. Non è poi da dimenticare che un importantissimo passo in avanti verso il dogma dell’Immacolata si ebbe con la bolla papale Sollicitudo omnium ecclesiarum (1661) – con cui si estendeva alla Chiesa universale il culto e con cui si chiariva l’oggetto della festa – che fu emanata proprio da quell’Alessandro VII, Fabio Chigi, il cui culto all’Immacolata Concezione era impresso nella sua nascita senese. Non solo però i vincitori vennero attratti irresistibilmente al culto e alla teologia immacolatista, ma anche i vinti: infatti da Porta Camollia in poi anche a Firenze si poté assistere a una stagione artistica e devozionale largamente inclinata a venerare l’Immacolato Concepimento di Maria, tanto che nel 1527 nel voto pubblico per la cessazione della peste, la città si impegnò proprio a festeggiare con il massimo onore il triduo in preparazione alla festa dell’8 dicembre.

E così in un unico abbraccio amoroso l’Immacolata Madre di Dio strinse i vinti e i vincitori, i beneficiati e i danneggiati, mostrando come non c’è persona che non possa trovare rifugio e comprensione sotto il manto immacolato di Maria.

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