MARIA SS.
L’Addolorata presso la Croce. Il Santo Sepolcro
dal Numero 12 del 25 marzo 2018
di Carlo Codega

Se il mistero della Croce rimane immutabile e sempre divinamente fecondo pur nello scorrere delle stagioni umane, tutto ciò che è inserito in questo mistero partecipa della sua perenne vitalità. Così, contemplando Maria sul Calvario, si può ben dire che Ella rimane fissa ai piedi della Croce nell’avvicendarsi di ogni umana generazione da salvare.

Lasciata la IV stazione della Via dolorosa, con il commovente incontro tra Gesù e Maria, i nostri passi si dirigono inesorabilmente verso la mèta di quel tragico itinerario: il Calvario, pronto ad accogliere sulla sua arida cima la croce di Cristo, dalla quale sarebbe venuta la salvezza per il mondo. Diverse tradizioni qui si intrecciano e in parte si contraddicono, in quanto molte piccole chiese e cappelle pretendevano di essere state il luogo ove Maria Santissima avrebbe assistito alla crocifissione e morte del Figlio. Eppure la genuina semplicità del testo evangelico ci fa lasciare da parte queste tradizioni per andare direttamente a ciò che è veramente certo e importante: «Stabat iuxta crucem Jesu», ovvero «stava presso la croce di Gesù» (Gv 19,25)... ecco dunque dove dirigere i nostri passi, proprio alla vetta del Calvario, lì dove il sangue del Redentore, mischiato alle lacrime di Maria è divenuto una benefica cascata di grazia e di redenzione per tutta l’umanità.

Il Monte Calvario nella basilica

La convulsa storia della Basilica del Santo Sepolcro con le sue alterne vicende quasi bimillenarie non è facile da riassumere, ma è ben compendiata dalle lotte e dalla confusione che spesso alberga in questo luogo santo, assai di frequente anche tra i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane. Ben si sa che dopo la ribellione ebraica guidata da Simone Bar Kochba all’inizio del II secolo d.C., l’imperatore Adriano volle cancellare tutte le memorie storiche e religiose del riottoso popolo ebraico ma, nel fare questo, anche i luoghi santi cristiani ne fecero le spese: sopra la tomba di Gesù – già venerata sin da allora – venne addirittura eretto un tempio all’impudica Venere! Sarà solo con l’avvento al trono imperiale di Costantino che iniziò la vera e propria storia della basilica. L’imperatore, dopo il miracoloso ritrovamento della croce di Gesù in una cisterna abbandonata, da parte della madre sant’Elena, volle nel 325 la costruzione di una grandiosa basilica, nel tipico stile paleocristiano.
Dovendo ospitare due insigni reliquie della fede, fu necessario trovare però una soluzione ingegnosa: mentre il Santo Sepolcro, con un grande lavoro di scavo e sterro della collina in cui era inserito, fu inquadrato in una grandiosa costruzione circolare – l’Anastasis –, la cima del Calvario fu invece lasciata all’aperto in un grandioso atrio colonnato tra la basilica vera e propria (il Martyrium) e l’Anastasis. Oltre al fatto che il cortile in questione era luogo di preghiere e anche di vere e proprie funzioni liturgiche (come attesta la pellegrina Egeria), dietro al Calvario si apriva una piccola chiesetta sopraelevata che guardava tramite una finestra proprio alla cima del monte della Redenzione.
Questa particolare configurazione della basilica costantiniana, pur sopravvivendo al terribile incendio provocato dall’invasione persiana nel VII secolo, non poté nulla contro il decreto del fanatico sultano Al-Hakim nel 1009, che la fece completamente radere al suolo. Fu l’imperatore Costantino Monomaco a prendersi cura, qualche decina d’anni dopo, della ricostruzione ma di lì a poco, nel 1099, la conquista crociata di Gerusalemme, portò a un completo ripensamento dell’intera Basilica compresa la parte che ci interessa.
Come è noto già da alcuni secoli l’entrata aveva dovuto essere spostata in quanto l’accesso principale della costruzione costantiniana, compreso il Martyrium stesso, erano divenute musulmane dopo che il califfo Omar – che aveva risparmiato i luoghi santi su intercessione del santo vescovo Sofronio – vi aveva pregato. In tal modo l’entrata era stata spostata già dal VII secolo sul lato sud, il lato dove sorge il monte Calvario, e lì rimase, seppur ingrandita e abbellita dai crociati. L’atrio porticato di Costantino venne coperto, per farne un immenso coro adatto alla preghiera liturgica (il Catholicon), mentre per meglio valorizzare lo sperone roccioso del Calvario (alto ben 5 m dal suolo) i crociati costruirono un piano sopraelevato, in modo da permettere ai pellegrini di venerare e toccare realmente con mano il luogo della Crocifissione. Da quel momento la zona della Basilica che c’interessa rimase sostanzialmente uguale. Anche oggi, salendo per le ripide scalette appena a destra dell’entrata, si vede chiaramente come questo piano sia diviso in due parti ben distinte: sulla destra vi è la cappella della crocifissione, affidata ai “latini”, ovvero ai frati francescani di Terra Santa, con un altare e un mosaico che ricorda l’evento doloroso; sulla sinistra invece lo sfarzo di lampade ad olio, di metalli preziosi e di profumi ci lascia facilmente intendere che il vero e proprio luogo della morte di Gesù, sia invece affidato ai cristiani ortodossi greci, che lo curano con venerazione e attenzione.

La Madre dei dolori

Tra l’altare della crocifissione e la sommità del Calvario – lì ove fu infissa la Croce – si fa spazio una discreta e silenziosa presenza: un altarino dedicato alla Madonna Addolorata fu qui costruito, quasi a individuare lo spazio fisico ove la Madonna dovette trovarsi durante la lunga agonia di Gesù crocifisso. L’esiguità di questa presenza non elimina comunque la sua capacità di catturare l’attenzione dei pellegrini: tra il minimalismo modernizzante della cappella latina – ove un mosaico tenta di riprodurre lo stile antico senza particolare successo – e lo sfarzo devozionale della cappella greca – ove la luce delle lampade ad olio e i profumi catturano i sensi in un atmosfera di sospensione sacrale – il bel busto settecentesco dell’Addolorata ci riporta alla mente lo stile delle chiese occidentali del periodo della Controriforma, con il loro tentativo di coniugare la semplice e robusta devozione popolare con le altezze della spiritualità e della teologia cattolica.
Fu la regina Maria di Portogallo a donare questa scultura nel 1770 per onorare l’Addolorata, a cui era molto devota, non solo perché questa era una devozione tramandata quasi ereditariamente dai membri della famiglia regnante portoghese, ma anche perché ben rappresenta la sofferenza che questa pia regina dovette provare per restaurare il sano Cattolicesimo portoghese compromesso dall’Illuminismo del predecessore. Ad ogni modo il busto rappresenta la devozione latina alla Madonna Addolorata, sorta nell’ambito dell’ordine religioso dei Servi di Maria ma diffusasi universalmente. Il Cuore dell’Addolorata è infatti trapassato da una spada, ricordando in tal modo come il preannuncio del santo vecchio Simeone («E a te una spada trapasserà il cuore») – che riguarda l’intera vita di Maria – si sia concretizzato proprio nella Passione e Morte di Gesù.
Da una parte la cappella della crocifissione con il suo stile decorativo scarno ed essenziale ci ricorda la bruttezza di quell’ambiente – una cava abbandonata e sassosa – e la tragicità di quegli attimi, in cui Maria rimase quasi sola e abbandonata da tutti gli Apostoli (tranne san Giovanni) a contemplare la morte del Figlio, in mezzo alle violenze della soldataglia romana e agli scherni della plebaglia giudea. Dall’altra parte la sacralità ostentata e orientale della cappella del Calvario sembra quasi trascinarci in un’altra dimensione, in cui i tenui bagliori delle lampade ad olio si riflettono negli argenti che ornano le rappresentazioni iconiche e si mischiano ai fumi dell’incenso, in modo da catturare i nostri sensi e quasi trascinarli via dalla terra che calchiamo. In mezzo invece sta la concretezza della Tradizione cattolica occidentale, in cui la spiritualità è immediatamente condensata in pratica di vita e santità concreta e fattiva: è la Madonna Addolorata a farci da maestra su questa via, indicandoci come proprio nell’accettazione dei dolori e delle sofferenze quotidiane, stia il modo migliore di partecipare all’opera della Redenzione. Ciò che il santo vecchio Simeone le aveva predetto, divenne per Lei un programma di vita da vivere quotidianamente in spirito di continua offerta delle sofferenze e delle fatiche che le costava la sua condizione, comprendendo come quella spada di dolore fosse proprio quella crocifissione e quel martirio quotidiano, di chi conosce quale sia la volontà di Dio e, per quanto dolorosa, la accetta e si uniforma. Che la Madre dei dolori c’insegni a non sfuggire i dolori della vita quotidiana ma ad apprezzarne la sublimità e ad unirci all’offerta del divino Redentore!

Ai piedi della croce: la Corredentrice

Prima ancora di spostarci dall’altarino dell’Addolorata alla roccia del Calvario, va detto che i Francescani festeggiano in due occasioni l’anno su quest’altare: la prima, insieme alla Chiesa universale, è il 15 settembre, quando, appena dopo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, trova spazio nel calendario liturgico quella dell’Addolorata. La seconda, condivisa solo dall’Ordine serafico e dalla Chiesa di Gerusalemme capita sempre il venerdì di Passione, ovvero il venerdì prima della Domenica delle Palme. Questa festa, ufficialmente chiamata “Sette dolori di Maria”, è nota però anche come la vera e propria festa della Madonna Corredentrice.
Il titolo di Corredentrice si fonda su una verità semplice e intuitiva. Gesù opera la liberazione dell’umanità dalla schiavitù del peccato e della morte, soffrendo e patendo per noi, fino a morire in croce per noi. Il suo Sangue versato è come il prezzo pagato per ricomprare quell’umanità che con il peccato di Adamo si era venduta a Satana e alla morte: per questo si parla di Redenzione, che indica il “riscatto” dell’umanità peccatrice. Ancor più che il sangue materialmente inteso, però, la Redenzione e la salvezza dell’umanità è operata tramite l’offerta di Gesù al Padre, cioè tramite la sua obbedienza «fino alla morte e alla morte di Croce» (Fil 2,8). In quest’opera però Gesù non agisce completamente solo, in quanto la Madonna si unisce all’offerta di Gesù, sia rinunciando ai suoi diritti materni su di Lui sia offrendo se stessa in unione a Gesù: facendo ciò, anch’Essa si uniforma completamente alla volontà di Dio, proprio come il Figlio. In questo modo Ella compatisce, cioè soffre insieme a Gesù crocifisso, per quanto non fisicamente ma solo interiormente e spiritualmente: mentre Dio volle che una lancia materiale trafiggesse il Cuore di Gesù, volle anche che una spada solo spirituale trafiggesse quello di Maria. Ma se Maria compatisce con Gesù e tale sofferenza è salvifica, allora significa che Maria coopera alla Redenzione dell’umanità, ed è dunque a giusto titolo Corredentrice. Ella sola è la vera Corredentrice, in quanto solo Lei partecipò alla Redenzione in questo modo singolare e unico, in questa unione completa e totale, che poteva essere solamente di un essere umano privo del peccato originale. Tuttavia questo stesso spirito di offerta sacrificale per la salvezza dei peccatori deve essere anche il nostro, per essere in unione con Gesù e Maria dei cooperatori alla salvezza dell’umanità!  

Da Madre di Dio a Madre degli uomini

Avviciniamoci dunque alla Croce per scoprire ancor più il mistero di quest’unione dei Cuori di Gesù e di Maria. Sul Calvario tre belle icone bizantine – di grandezza pressoché reale – ci ricordano come al momento dell’agonia e della morte di Gesù, accanto alla Croce vi fossero Maria Santissima e san Giovanni, l’apostolo fedele che, stringendosi alla tunica di Maria, evitò di fuggire con tutti gli apostoli e, pur con fede imperfetta, diede pubblica testimonianza della sua fedeltà a Gesù in quei momenti angoscianti.
Come è ben noto, una delle sette parole di Gesù sulla Croce – tramandata dallo stesso san Giovanni nel suo Vangelo – è dedicata proprio a Maria Santissima: con le sue parole Gesù indica a Maria in Giovanni il figlio («Ecco tuo figlio») e indica a san Giovanni in Maria Santissima la madre («Ecco tua madre»), come un regalo all’apostolo fedele. La Chiesa ha sempre inteso queste parole non come una mera sistemazione di problemi pratici, come se, a causa della sua morte, Gesù volesse affidare la madre sola al discepolo prediletto, perché l’aiutasse nella vecchiaia. Bensì in queste parole la Chiesa ha letto la pubblica ratifica della maternità di Maria Santissima sulla Chiesa e su tutti gli uomini. Già concependo Gesù, Maria aveva reso il suo grembo «vasto come l’infinito» (San Germano di Costantinopoli), ovvero concependo il Verbo incarnato, unendo la Persona divina alla natura umana nel suo seno, aveva permesso in qualche modo che l’umanità si unisse alla divinità, trovando la salvezza e la santificazione. Ora però, proprio nel momento della sua morte, Gesù lascia con queste parole solenni una preziosa eredità alla Chiesa e a tutta l’umanità: Maria, la Madre di Dio, è anche Madre degli uomini. Non madre in senso metaforico o “adottivo” ma vera madre, perché come la madre terrena coopera con Dio alla nostra nascita al mondo, così Maria Santissima ha cooperato con Dio alla nostra nascita alla grazia, in quanto corredentrice del genere umano. Dall’Addolorata, alla Corredentrice, alla Madre universale... quanti misteri di grazia si svolgono sotto questa Croce benedetta che da segno di morte e di dolore diviene, per l’azione divina, segno di rinascita e di vittoria!

“Stat Maria dum orbis volvitur”

Come è ben noto l’Oriente cristiano conosce come forma artistica quasi esclusivamente l’icona, rifiutando invece alla base non solo la scultura ma anche l’evoluzione della pittura in senso realista, così come è avvenuto in Occidente da Giotto in poi. L’icona bizantina non vuole essere una rappresentazione realista – nel senso della realtà che vediamo e tocchiamo – e pertanto non cerca mai di dipingere figure tridimensionali ma si limita alla bidimensionalità, così da creare figure ieratiche, fisse, quasi astratte e inquadrate in un irreale sfondo dorato, che rifiuta da principio qualsiasi collocazione spazio-temporale. In tal senso l’icona orientale vuole cogliere l’aspetto immutabile ed eterno delle cose, quasi come ad entrare nella mente eterna di Dio, dove «non c’è mutazione né ombra di cambiamento» (Gc 1,17). Ciò ci aiuta a comprendere un’importante realtà della crocifissione di Gesù: il sacrificio della Croce dell’anno 33 d.C. è in realtà un mistero che continua nel tempo, un mistero quasi eterno, che sfida il tempo e la storia. Come dice la Lettera agli ebrei, Gesù, Sacerdote eterno, «entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12). Il mistero della Croce continua infatti in Cielo dove Gesù glorioso continua la sua offerta di adorazione e di lode al Padre, e continua sui nostri altari, dove si riattualizza ogni volta che un sacerdote celebra la Santa Messa. Per questo i certosini – la cui vita è una volontaria sottrazione al mondo – inventarono un celebre detto per ricordare agli uomini l’importanza del Sacrificio di Gesù: Stat crux dum orbis volvitur, ovvero “La Croce rimane ferma mentre il mondo gira”. Il mondo gira per la necessità fisica delle leggi gravitazionali; gira, nel senso che la storia continua, momento dopo momento, senza che nessuno, se non Dio, la possa arrestare; gira anche nella mutevolezza dei tempi, nelle civiltà, nelle vicissitudini della storia e degli uomini. Ma sopra tutto questo divenire e mutare c’è una cosa che non muta: il Crocifisso che dall’alto della croce continua a offrirsi in sacrificio di soave odore al Padre, operando così la salvezza dell’umanità. Se l’intero mistero della Croce partecipa di questa eternità, anche Maria ne fa parte, così che contemplando sul Calvario l’icona di Maria Santissima ai piedi della croce, rivestita di una preziosa livrea argentea, possiamo a giusto titolo dire: “Stat Maria dum orbis volvitur”, Maria rimane fissa ai piedi della Croce mentre il mondo continua a mutare e la storia a scorrere!

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