
Quando nel settembre 1928 andai per la prima volta da Padre Pio, ero da pochi anni dal protestantesimo passato al Cattolicesimo, e ciò feci per convenienza sociale. Non avevo Fede, almeno oggi capisco che ero soltanto illuso d’averla.
Cresciuto in una famiglia anticattolica per eccellenza, ed imbevuto di pregiudizi contro i dogmi, che una affrettata istruzione non poteva estirpare, ero sempre però avido delle cose segrete e misteriose. Trovai un amico che m’introdusse nei misteri dello spiritismo. Stanco, però, ben presto di questi inconcludenti messaggi d’oltre tomba, mi portai con fervore nel campo occultistico, magie di tutti i colori ecc. Feci poi la conoscenza di un signore che, con aria misteriosa, si dichiarò di essere in possesso dell’unica verità: “la teosofia”. Ben presto diventai suo discepolo, e sul comodino da notte andavano accumulandosi libri dai titoli più lusinghieri ed attraenti. Maneggiai con sicurezza ed importanza le parole “reincarnazione, logos, brahma, maya”, aspettando con ansia quel certo che di grande, di nuovo, che doveva pur avvenire.
Non so perché, ma credo più di tutto per accontentar mia moglie, continuai lo stesso, di quando in quando, ad accostarmi ai Sacramenti, e questo era il mio stato d’animo, quando sentii parlare per la prima volta di quel Padre cappuccino che mi fu descritto come un Crocifisso vivente, operante miracoli continui. Incuriosito da una parte, ma diffidente nello stesso tempo, perché il fatto avveniva in seno alla Chiesa Cattolica, mi decisi ugualmente di andare sul posto e vedere con i miei occhi. Il primo incontro con Padre Pio mi lasciò un po’ freddo, perché mi rivolse solo poche parole asciutte, mentre mi aspettavo un’accoglienza più affettuosa, se non altro come premio del sacrificio del lungo viaggio. Poco dopo m’inginocchiai al confessionale, al tribunale di Dio. Padre Pio mi fece subito capire che nelle precedenti confessioni avevo taciuto alcune cose gravi e mi chiese se ero in buona fede, al che risposi ch’io la confessione la ritenevo buona istituzione sociale, educativa, ma non credevo affatto nella divinità del Sacramento, ma già scosso per le impressioni avute soggiunsi: «Ora però, Padre, io credo». Il Padre, intanto, con espressioni di grande dolore, mi diceva: «Eresia, quindi tutte le sue Comunioni eran sacrileghe... bisogna fare la confessione generale, faccia l’esame di coscienza e si ricordi quando si è confessato bene l’ultima volta. Gesù è stato più misericordioso con lei che con Giuda». Poi con occhio severo, guardando sopra la mia testa, con voce forte disse: «Sia lodato Gesù e Maria» e se ne andò in Chiesa. Quando il Padre tornò al confessionale, mi ripeté la domanda: «Dunque, da quando si è confessato bene l’ultima volta?». Risposi: «Padre, siccome io ero...» ma a questo punto il Padre m’interruppe, dicendo: «Bene, Lei si è confessato bene quella volta quando è tornato dal viaggio di nozze, lasciamo tutto il resto, e cominciamo di qui». Io rimasi senza parola, con commosso stupore capii che avevo toccato il soprannaturale, ma il Padre non mi lasciò tempo di riflettere e nascondendo la conoscenza di tutto il mio passato, sotto forma di domande, enumerava con precisione e chiarezza tutte le mie colpe, precisando anche il numero delle Messe perdute. Dopo che il Padre aveva specificato tutti i peccati mortali, mi fece, con parole impressionanti, comprendere tutta la gravità di queste colpe, aggiungendo con un tono di voce indimenticabile: «Lei ha sciolto un inno a satana, mentre Gesù nel suo sviscerato amore, si è rotto il collo per lei». Mi diede poi la penitenza e mi assolse.
Arbesch Federico
Alberto Del Fante
Per la storia. Padre Pio di Pietrelcina
il primo Sacerdote stigmatizzato,
1943, pp. 317-321.