VITA DELLA CHIESA
Il valore ermeneutico del Catechismo
dal Numero 5 del 3 febbraio 2013
di Fabrizio Cannone

Chi comprende l’esigenza della fedeltà cattolica alla Dottrina e alla Tradizione, troverà nel Catechismo della Chiesa Cattolica un importante e autorevole strumento per una sana ermeneutica del Concilio e del Magistero.

    Nel 2012 il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) ha compiuto 20 anni, avendo avuto la sua prima edizione nel 1992 (con la Costituzione Apostolica Fidei depositum). È bene ricordare però che la sua edizione ultima è del 1997 (editio typica latina, con traduzione in lingua italiana nel 1999); edizione quest’ultima definitiva e autorizzata la quale ebbe, per volontà di Giovanni Paolo II, correzioni, integrazioni e migliorie (cf. Lettera Apostolica Laetamur magnopere). Anche il Magistero della Chiesa dunque può auto-rettificarsi, passando da una minor precisione didattico-espositiva ad una maggiore chiarezza, e questo è senz’altro un bene.
    Questo autorevole testo dunque, dal punto di vista dottrinale, è certamente più autorevole dei documenti meno autorevoli dello stesso Vaticano II (come le Dichiarazioni e i Decreti). In esso infatti vi è la sistematizzazione organica e completa di tutta la Dottrina definita, più alcuni elementi pastorali e contingenti, come tali né definitivi né coperti da infallibilità di fede e di morale (cf. ad esempio CCC 840, 1096, 1634...). Il fatto che Benedetto XVI abbia accettato il ritorno degli Anglicani conservatori, sulla base della loro accettazione piena del CCC, apporta nuova autorevolezza dottrinale al testo, il cui valore non può ridursi a quello di una enciclica su uno o più temi: esso infatti tratta tutti i principali temi della Fede (Credo), l’intera Legge morale (Comandamenti), la Liturgia cattolica (Sacramenti) e la più tradizionale preghiera cristiana (Pater noster).
    Appare perciò particolarmente significativo il fatto che la maggioranza dei teologi in voga, in questo ventennio (1992-2012), abbia o criticato o ignorato o apertamente snobbato il Catechismo, a volte dicendo che dopo il Concilio... non c’era più bisogno di un “Catechismo”, così come invece avvenne dopo Trento! Il Concilio infatti, secondo i novatori, avrebbe ridotto se non abolito l’esigenza dottrinale della Chiesa, in nome dell’ortoprassi e della pastorale. A che serve, dicono i diffusori del “fumo di satana”, pensare bene ed avere una buona dottrina se poi ci si comporta male? Il problema però è che Cristo solo ci insegna infallibilmente il criterio del bene e del male, e i progressisti, negando l’esigenza della fedeltà cattolica alla Dottrina e alla Tradizione, hanno deviato su tutta la linea (si pensi ai temi morali).
    Questa illusione, o piuttosto incubo, della fine della dottrina (in nome della pastorale) è potuta durare dal 1965 al 1992, ma dalla promulgazione del Catechismo è andata ad aumentare il bagaglio delle “utopie evangeliche” della scuola di Bologna e del progressismo cattolico mondiale. Il bisogno della verità e della chiarezza, al contrario, è aumentato dopo il Concilio (e il conseguente fumo di satana) ed oggi, dopo la ventennale indifferenza verso il CCC, sarebbe bene interrogarsi sulle ragioni che hanno portato prelati e pastori a usare mille (pre)testi per la catechesi (parrocchiale, scolastica, permanente)... salvo il Catechismo universale romano del 1997.
    Benedetto XVI ha ripreso il senso della Tradizione, in ambito di catechesi, quando ha promulgato, nel 2005, il Compendio (CCCC), utilizzando, anche nella forma, il linguaggio che fu dell’immortale Catechismo di san Pio X. Si può dire che il Compendio di Benedetto XVI sta al CCC, come quest’ultimo sta al Concilio, nel senso che oltre ad averlo sintetizzato lo ha anche riletto alla luce dell’intera Dottrina cattolica tradizionale. Un solo esempio: se nel CCC non è contenuta ad litteram tutta la dottrina conciliare, ma solo quella più autorevole e sostanziale, a volte con vistose integrazioni e decisive precisazioni (cf. CCC 2109), così nel Compendio vi è una ulteriore riduzione del contingente all’essenziale. Se per esempio nel CCC ci sono almeno 8 numeri dedicati all’ecumenismo, nel Compendio il lemma non figura neppure nell’indice delle materie. Come mai? Perché evidentemente un Compendio della Fede deve contenere ciò che è essenziale alla Fede: ora nessuno per essere cattolico deve credere all’ecumenismo, il quale può definirsi una prassi, un metodo, una strada, ma non certo un dogma da credere, come i dogmi del Credo o quelli solennemente definiti (tipo Immacolata, Infallibilità, Assunzione e Purgatorio).
    Mostriamo in modo accessibile a tutti le migliorie che il CCC ha apportato al Concilio, attraverso un solo esempio. Tale esempio mostrerà altresì al lettore attento il valore ermeneutico del CCC, valore accuratamente celato dalla teologia neoterica.
    Il documento conciliare forse più discusso fu la Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, uno dei documenti meno autorevoli dal punto di vista formale: non si tratta infatti per volontà del Sommo Magistero né di una Costituzione Dogmatica (come Dei Verbum e Lumen gentium), né di una Costituzione pastorale (come Gaudium et spes), né di una mera Costituzione (come Sacrosanctum Concilium), né di un Decreto (come i nove celebri decreti conciliari da Inter mirifica a Presbyterorum Ordinis), ma di una semplice Dichiarazione (come la Nostra aetate e la Gravissimum Educationis). C’è chi ha parlato, come padre Florian Kolfhaus, a proposito delle dichiarazioni conciliari di frutto del munus praedicandi della Chiesa: testi meramente orientativi che debbono poi essere applicati, valutati caso per caso, aggiornati, rettificati e integrati se occorre. Per la Dignitatis humanae occorreva di certo.
    Quest’ultima infatti fu la sorte della Dichiarazione sulla libertà religiosa, testo che sbalorditivamente non faceva alcun cenno chiaro ed esplicito alla dottrina tradizionale e patristica della Regalità sociale di Cristo, ribadita in modo non si potrebbe più forte nell’enciclica Quas primas di Pio XI (1925). Né faceva riferimento all’assenza di diritti da parte dell’errore in quanto tale, né all’assoluta inesistenza di un diritto alla libertà di scelta religiosa da un punto di vista morale. Alcuni poterono pensare perfino che la Chiesa con la Dignitatis humanae si fosse messa sulla linea, assolutamente irrecepibile, dei Diritti dell’Uomo proclamati dalla diabolica Rivoluzione francese. Ebbene, il CCC ai numeri autorevolissimi 2108 e 2109, dichiara con volontà ermeneutica forte: 1) che non esiste “licenza morale all’errore” (e che quindi, visto che tutte le religioni non vere ne insegnano, tutte dovrebbero essere almeno parzialmente contenute dallo Stato); 2) che non esiste un “diritto all’errore” (contro la dottrina dei cattolici liberali che accettano a priori ogni forma di governo e costituzione); 3) che la libertà religiosa dei cittadini non deve essere né illimitata (liberalismo assoluto all’americana), né limitata solo in senso positivistico (liberalismo moderato europeo), ma deve essere in conformità «all’ordine morale oggettivo» (e dunque si ritorna al concetto che non c’è libertà e diritto, contro la verità dogmatica, cosa peraltro nettamente ribadita dalla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II).
    Il CCC è dunque un testo importante per una sana ermeneutica del Concilio e del Magistero in genere. Ma se esso ha migliorato e chiarito la Dignitatis humanae, e il Compendio ha limato lo stesso CCC, perché non auspicare altre limature ermeneutico-magisteriali andanti nello stesso senso?

Casa Mariana Editrice
Sede Legale
Via dell'Immacolata, 4
83040 Frigento (AV)
Proprietario: Associazione CME Il Settimanale di Padre Pio. Tutti i diritti sono riservati. Credits