L’Ascensione di Cristo è un evento ineffabile, che apre al nostro cuore alla contemplazione. Con essa si è manifestato pienamente il progetto divino e il fine a cui è destinata la natura umana, la quale, per conseguire la meta, deve elevarsi già sulla terra con la virtù teologale della fede.
Nostro Signore Gesù Cristo è salito in Cielo e si è seduto alla destra del Padre suo. È finita questa altalena vertiginosa di apparizioni e sparizioni che ci faceva stare col fiato sospeso dal giorno di Pasqua. L’Ascensione è come la girandola finale degli splendidi fuochi d’artificio: ci lascia tutti abbagliati, ma poi, è la notte e il silenzio.
Certo, ci rallegriamo. Perché entrando in Cielo, Gesù ha aperto anche a noi le porte del Cielo. Il peccato le aveva chiuse, ma Egli ha vinto il peccato e ora noi possiamo guardare al Cielo, come alla nostra vera Patria, là dove Egli è andato a prepararci un posto e dove un giorno, se siamo fedeli, saremo sempre con Lui. Come lo è già, con la sua anima e il suo corpo, l’Immacolata Madre di Dio. Ambedue, il nostro Re e la nostra Regina, il nostro Redentore e la nostra Corredentrice, sono nella Gloria, non soffrono più, hanno vinto, regnano.
Tutto questo lo crediamo, non lo vediamo; lo vediamo con gli occhi della fede, non con gli occhi del corpo. Il Regno del nostro Signore, di Maria Santissima è già iniziato nella Chiesa (ne abbiamo tanti segni attraverso le grazie immense ricevute, le testimonianzie di santità, le vite dei Santi). Ma come è chiaro anche che questo regno non è ancora compiuto “con potenza e gloria grande” mediante la venuta del nostro Re e della nostra Regina sulla terra! Questo Regno quaggiù è ancora insidiato dalle potenze inique. Queste potenze, anche se sono già state vinte radicalmente dalla Risurrezione di Cristo, possono fare male, terribilmente male.
E noi aneliamo a quel momento in cui tutto sarà a Lui sottomesso: «Adveniat regnum tuum», ripetiamo sempre. «Usquequo Domine, usquequo?», fino a quando dovremo subire questa crisi nella tua Chiesa? Questa apostasia delle nazioni cristiane? Quanto tempo ancora fino al trionfo annunziato, previsto, sicuro, del Cuore Immacolato di Maria?
Bisogna riconoscere che siamo un po’ come gli Apostoli nell’epistola: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». A questa domanda, Cristo ha risposto che non era ancora il momento del costituirsi glorioso del Regno messianico atteso da Israele, Regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i Profeti, l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è un tempo ancora segnato dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa. È un tempo di attesa e di vigilanza, un tempo di combattimento. Il tempo della fede e della speranza. Un tempo di prove.
Quando attraversiamo queste prove, dobbiamo sempre ricordarci che Gesù ha già vinto: «Non abbiate paura, ho vinto il mondo». E che Dio non cambia: è eterno e immutabile. «Ego enim Dominus et non mutor» (dice attraverso il profeta Malachia 3,5): Io sono il Signore e non cambio. «Christus heri et hodie»: Cristo ieri e oggi, principio e fine, alfa e omega, ha detto il sacerdote benedicendo il Cero pasquale nella notte di Pasqua. Dio non cambia. Come quella bellissima preghiera di santa Teresa d’Avila, che lei aveva scritto su un pezzo di carta e che portava sempre addosso e che le fu ritrovata addosso dopo la sua morte: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. Con la pazienza tutto si ottiene, chi ha Dio non manca di nulla, solo Dio basta».
Dio non cambia. Dio che ci amava e aiutava quando tutto andava bene, ci ama e ci aiuta ancora quando tutto va male. Siamo noi che cambiamo. Che cambiamo il nostro sguardo sugli eventi. Se avessimo uno sguardo di fede e di speranza sugli eventi, se fossimo convinti che Gesù ha veramente vinto rimarremmo nella pace.
Nelle prove, chiediamo al Signore, e specialmente all’Addolorata, questo sguardo soprannaturale; recitiamo queste belle preghiere, la preghiera di santa Teresa, l’atto di sottomissione alla Volontà di Dio di Madame Elisabeth de France (la principessa Elisabetta di Borbone-Francia): «Quel che mi accadrà oggi, mio Dio, non lo so. Tutto quello che so è che nulla mi accadrà che Voi non abbiate preveduto e diretto al mio maggior bene da tutta l’eternità. Questo solo mi basta. Adoro i vostri santi disegni eterni, impenetrabili; mi sottometto con tutto il cuore per vostro amore, vi faccio un sacrificio di tutto e unisco il mio sacrificio a quello del mio divin Salvatore. Vi domando in suo nome e per gli infiniti suoi meriti la pazienza nelle mie pene e la perfetta sommissione che Vi si deve, purché tutto quello che Voi volete e permettete che accada, riesca a vostra gloria. Così sia».
Dio non cambia. Qual è la conseguenza pratica di questa grande verità dogmatica? È che anche noi non dobbiamo cambiare. Rimanere fedeli alle nostre buone abitudini, continuare a pregare, abbandonarci a Dio mentre Lui sembra averci abbandonati, questo richiede una grande maturità spirituale. Questo atteggiamento ha un grande valore per Dio, è una grande prova di amore: non cercarlo nelle consolazioni, ma accettare senza rivolta questa strada del deserto, questi silenzi del nostro Dio.
Chiediamo la grazia dell’abbandono e del distacco: di separarsi da tutto quello che non è Dio, non volere e desiderare che Dio solo, desiderarlo sempre di più, anche e soprattutto quando si nasconde. «Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo?» (Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di chi avrò paura? - Sal 26). Quando saremo capaci di dirlo con tutto il nostro cuore, anche nelle ore le più difficili della nostra vita, allora significherà che il Regno di Cristo e dell’Immacolata che desideriamo tanto vedere, è già iniziato in noi.