Il 10 agosto del 1931, vidi il sindaco di San Giovanni Rotondo, il cav. Francesco Morcaldi, da tutti chiamato, in paese, “don Ciccio”, dirigersi verso la stanza n. 5, al primo piano del convento. Aveva in braccio un bambino di circa un anno.
Informato da me che il Padre era nella stanzetta, bussò alla porta dicendo: «Sono don Ciccio, aprimi un attimo».
«Cavalié – rispose Padre Pio dall’interno – non ti posso aprire».
«Un... minutino, Padre, voglio darti gli auguri».
«Grazie, cavalié, il Signore ti benedica».
«Ti prego, aprimi un po’, benedici questo bambino».
«Il bambino lo benedico lo stesso, da qui».
Il Padre non aprì. Fu inutile ogni preghiera. Il Morcaldi mi guardò triste e se ne andò.
Io che sapevo della loro buona amicizia, rimasi di stucco, mi strinsi nelle spalle e non proferii parola. Ammirai però la fortezza d’animo del Padre. Era il periodo della segregazione e, per lui, l’ubbidienza veniva prima di ogni cosa.
Raccontai questo episodio più volte a confratelli ed amici.
Lo ricordai anche a don Ciccio che, compiaciuto, sorrise.
Tutti rimasero, per l’ubbidienza di Padre Pio, ammirati ed edificati.
Il tempo è oro
Da fratino, durante la ricreazione, spesso osservavo Padre Pio passeggiare per il viale centrale del giardino genuflettere, rialzarsi, camminare ancora e genuflettere di nuovo per alcuni secondi, con un solo ginocchio.
Arrivato in fondo al viale, dove ancora oggi si alza una croce coperta da una nicchia alpina, eccolo fermarsi di nuovo, genuflettere con entrambe le ginocchia e stare immobile per oltre 10 minuti.
Non conoscevo la causa e ne chiesi la spiegazione al Padre direttore il quale si espresse così: «Padre Pio è nemico dell’ozio e quando passeggia in giardino ne approfitta per fare la Via Crucis, recitare il Rosario, oppure meditare la Passione e la morte di Gesù». Faceva così intendere che non bisogna perdere tempo, perché il tempo è oro.
Dopo la Confessione Padre Pio ai fratini diceva sempre: “Pregate, figlioli, pregate sempre. Fuggite l’ozio perché è il padre dei vizi. Pregate e meditare spesso la Passione e Morte di Gesù».
“Rimarranno in cinque”
Negli anni 1930-’32, a San Giovanni Rotondo eravamo venticinque collegiali. Padre Pio era il nostro confessore ordinario ed esercitava su di noi una potente attrazione per la sua santa vita e perché spesso ci stava vicino a pranzo e a ricreazione.
Il nostro direttore, Padre Fortunato da Serracapriola, era molto legato al Padre e una volta gli chiese: «Padre spirituale, dopo tanti sacrifici, chissà quanti di questi ragazzi arriveranno al sacerdozio?». Il Padre, senza scomporsi disse: «Rimarranno soltanto in cinque!». Così è stato!
Tale confidenza me la fece il Padre direttore, quando, dopo tanti anni, lui parroco ed io suo vice, nel convento di Sant’Anna ricordammo il passato.
Dei venticinque studenti, infatti, cinque sono rimasti in religione: Fra Ludovico Rinaldi, Padre Cristoforo Cocomazzi, Padre Vittorio Massaro, Padre Pietro Tartaglia, che fu ministro provinciale e morì nel Tchad (Africa), mentre era in santa visita, ed il sottoscritto, che ha avuto la fortuna di amministrare il sacramento degli infermi al venerato Padre Pio.
Padre Paolo Covino,
Ricordi e testimonianze, pp. 49; 51; 55