SPIRITUALITÀ
La campagna a Gesù: san Martino di Tours
dal Numero 41 del 7 novembre 2021
di Paolo Risso

Dal termine “pagus” (villaggio di campagna) deriva la parola “pagani”. Perché? Nel secolo IV il rifiuto del Cristianesimo era particolarmente ostinato proprio nelle campagne, a causa del radicamento di forme religiose immemorabili legate ad antichi riti della natura. C’è un nome che riassume e illumina la difficile e poi trionfale storia della diffusione del Vangelo nelle campagne: Martino di Tours.

Nonostante l’attuale indifferenza per le realtà di Dio, è ancora noto a molti l’episodio del soldato romano Martino che cavalcando in una fredda giornata d’inverno, al vedere un povero che tremava dal gelo, taglia metà del suo mantello e gliela dà per coprirsi. Ad altri è nota la poesia “San Martino” del Carducci, che recita «La nebbia agli irti colli, piovigginando sale...». Ma chi fu san Martino, così da essere ancor popolare oggi? 

 

Dove è piantata la Croce

Dall’istante in cui Gesù risorto è salito al Cielo, mandando i suoi Apostoli «a evangelizzare tutte le nazioni» (Mc 16,15), sono passati tre secoli. All’inizio del IV secolo, dopo tante sofferenze e tanti eroismi, il Cristianesimo è giunto alle soglie della vittoria. Salvo Giuliano l’Apostata (361-363 d.C.) gli imperatori dopo Costantino lo sostengono. Ora invece di essere perseguitato e quasi clandestino, si mostra in piena luce. Nelle sue vele soffia il vento dello Spirito Santo... e della storia. Anche tra i pagani, il suo successo è tenuto come un fatto reale. È la fioritura completa nel sole, di una gemma davvero turgida di vita.

Le conversioni si moltiplicano. Non c’è alcuna provincia che non abbia ricevuto il “messaggio lieto” (il Vangelo): in tutto l’imperium è piantata la Croce!

L’espansione del Cristianesimo segue di pari passo la sua penetrazione. Tutte le classi sono raggiunte dalla sua propagazione. Due elementi resteranno ancora più refrattari: l’aristocrazia e la campagna. Nelle alte classi sociali, fin dai tempi di Pietro e Paolo, certamente si contano parecchi cristiani. Ma restano non pochi spiriti che rifiutano la nuova fede, per triste fedeltà alle usanze romane, attaccamento alla mitologia, disprezzo per i poveri ora cristiani, beffa di gaudenti che non ne vogliono sapere di moralità e... pretesti simili.

Nelle campagne il rifiuto del Cristianesimo dipende da cause istintive che dipendono da forme religiose immemorabili, legate alla terra, gli antichi riti della natura, le superstizioni e i miti dalle radici profonde. Dalla parola “pagus” (il villaggio di campagna) deriva così la parola “pagani” per designare “gli infedeli”. Il termine è usato la prima volta in un decreto ufficiale del 370.

Il Cristianesimo, nonostante il suo vigore, non penetrerà presto in questi luoghi di resistenza. Per quanto difficile il compito, la Chiesa se lo assume. In molte regioni, molti missionari portano il Vangelo ai contadini. In Dacia (l’attuale Romania), Niceta di Ramesiana converte i Bessi imparentati con i Traci altrettanto feroci. In Italia Vigilio vescovo di Trento, una volta evangelizzata la pianura, manda missionari nelle rubi valli alpestri, dove alcuni moriranno martiri. In Gallia, è Vittorio di Rouen a convertire i nomadi delle pianure fiamminghe.

Ma un nome riassume e illumina questa difficile aspra storia della diffusione del Vangelo di Gesù nelle campagne, appunto il celebre nome di san Martino di Tours.

 

Il soldato diventa vescovo

La Chiesa nelle Gallie, al momento dell’editto di Costantino (313) conta 30 vescovadi. Cinquant’anni dopo ne avrà 60, tutte sedi chiamate a una grande missione. Le sedi della Gallia, guidate da capi di alti meriti, come Reticio d’Autun, Febadio d’Agen, e soprattutto da Ilario di Poitiers, hanno una vita onesta, pacifica e semplice, ma questa modestia nasconde e alimenta un’immensa volontà di apostolato. Sì, di apostolato, perché noi credenti in Gesù dobbiamo ritrovare il gusto e al capacità di convertire.

In questa Gallia già intensamente cristianizzata, verso il 338 d.C. arrivò un giovane soldato 20enne, chiamato Martino. Era nato in Pannonia (attuale Ungheria) da un ufficiale pagano... Convertito nella sua fanciullezza, Martino a 14 anni sognava di consacrarsi a Gesù per sempre – miles Christi –, ma suo padre lo fece arruolare nell’esercito. La vita in caserma non turbò il suo ideale di dedizione a Gesù solo.

Un giorno ad Amiens, dove Martino stava di guarnigione, incontrò un mendicante che tremava nella cruda brezza della Piccardia. Martino, fedele alla carità di Cristo, tagliò la sua clamide e ne diede metà al povero. La notte seguente, Martino che era ancora catecumeno, vide Gesù che portava la metà del mantello che gli aveva regalato, per suo amore. Si fece battezzare, si congedò dall’esercito e si mise sulla vera strada, in obbedienza alla sua vocazione, manifestata fin da fanciullo.

Ebbe la fortuna di avere come maestro sant’Ilario di Poitiers, il luminare della Chiesa gallica, “l’Atanasio d’Occidente”. Al seguito del grande Vescovo, progredì in dottrina e in santità. Nella sua modestia e umiltà, per il momento rifiutò il diaconato, ma intanto lavorava accanto al suo maestro. Lo prese allora un rimorso di coscienza. Poteva abbandonare al paganesimo i genitori e gli amici in Pannonia? Non poteva!

Martino ritornò sul Danubio e convertì sua madre; poi dovette fuggire in fretta. Soggiornò in Italia, dove maltrattato e perseguitato dagli ariani, negatori della divinità di Cristo, si rifugiò in una isola della Liguria dove visse da eremita, cosa che l’Occidente cominciava ad imparare. Visto che il suo maestro e padre, Ilario di Poitiers, rientrava allora dall’esilio, Martino lo raggiunse in Gallia e iniziò quella grande opera di fondazione di monasteri che è uno degli aspetti della sua sconfinata azione.

Alla morte di sant’Ilario, il popolo di Tours acclama Martino come vescovo. Martino ha fama di essere un santo, un apostolo, un taumaturgo che compie guarigioni. Egli vuole sottrarsi all’onore e al pesante onere dell’episcopato, ma il suo popolo lo porta a Tours con astuzia, ben custodito. Racconta Sulpicio Severo che gli altri prelati arricciano il naso e si domandano se si può fare vescovo un uomo così semplice da essere trasandato. Dicono: «Non sa neppure pettinarsi!».

 

Il “pastore” della campagna

Con il consenso del papa regnante, Martino è consacrato vescovo e inizia un singolare ministero. Per conto suo, continua a vivere come un monaco poverissimo. Fissa la sua dimora – la sua casa vescovile, simile a un monastero – a 4 chilometri da Tour, in quel Marmoutier che lui stesso ha fondato. Non sembra neppure un presule, nelle opere, nello stile di vita.

Intraprende subito l’evangelizzazione delle campagne. “Assiso” su un asino o su un mulo, se ne va di villaggio in villaggio. Chiama a Gesù tutti i più poveri, gli abbandonati. Le strade della Turenna e del Berry lo vedono passare nella sua semina del Vangelo. Per opera sua, Amboise, Langeais, Tournon, Clion, Livrous diventano parrocchie. Avanza fino all’Alvernia, nel Saintonge. Predica a Parigi e dintorni e nella valle del Rodano. Dove passa, sostituisce i templi agli “dèi falsi e bugiardi”, con chiese e oratori dedicati a Gesù, l’uomo-Dio.

La fama diffonde il rumore dei suoi miracoli. Alcuni vescovi, anche quelli che avevano arricciato il naso alla sua nomina, lo chiamano a intraprendere vere missioni nelle campagne dei contadini. Quando muore a Candes, durante una delle sue missioni al popolo, nel 397, la sua popolarità giunge a tal punto che nessun altro santo – all’infuori della Madonna – può vantare in terra di Francia tante chiese a lui dedicate.

Più di 4.000 chiese sono ancora sotto il suo patronato, 475 borghi portano il suo nome. La Chiesa riconoscerà in lui il primo dei grandi confessori dell’Occidente e nella Liturgia farà un posto pressoché uguale a quello degli Apostoli. San Gregorio di Tours, suo successore, gli dà il soprannome di “patrono speciale del mondo”.

Ecco come Sulpicio Severo racconta la sua morte, facendo il ritratto del santo Vescovo: «Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo, un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes [...]. Si trattenne per qualche tempo in quella chiesa finché la pace fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero (dove viveva) sentì che le forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò i fratelli, li avvertì della sua morte ormai imminente. Tutti si rattristarono e dicevano tra le lacrime: “Perché o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo bene che tu desideri essere con Cristo, ma il tuo premio è al sicuro. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù!”.

Martino allora non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l’intensità della sua preghiera [...] e rese la sua anima a Dio». 

Già: ancora oggi il gregge di Dio è assalito da lupi rapaci, spesso travestiti da agnelli. Che Gesù ci mandi dei pastori forti, dotti e santi, che abbiano a cuore la salvezza delle anime e delle nazioni. Come martino che portò gli ultimi pagani (da “pagus”, villaggio di campagna!) a Gesù unico Salvatore (non ci sono altri salvatori né altri “uomini della Provvidenza”). Pastori come li descrisse sant’Agostino nel suo sermone De Pastoribus (discorso che mi fa tremare ogni volta che lo leggo). Le campagne ritorneranno a Gesù... e anche le città.

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