FEDE E RAGIONE
Il “personaggio” misterioso della matematica
dal Numero 30 del 14 agosto 2022
di Antonio Farina

Scopriamo come anche la matematica, e nel nostro caso particolare la geometria, può essere strumento per l’elevazione dello spirito a Dio, prendendo spunto dalla riflessione sull’umile numeretto “pi-greco”, che rimanda a grandi misteri trascendenti.

In quanti modi la scienza, quella vera, può avvicinarci a Dio? In moltissimi modi. Potremmo dire quasi in infiniti modi, se non fosse che l’aggettivo “infinito” va adoperato sempre con cautela. La teologia, che è razionale e sapienziale, ha come oggetto di studio immediato Dio stesso e si fonda sulla Parola rivelata e sulla logica del raziocinio umano. La teologia è quindi la regina delle scienze divine. La contemplazione della creazione, della natura, del cosmo e la conoscenza delle leggi perfette che le regolano, anche queste ci portano a scoprire Dio e ci “parlano” delle sue infinite perfezioni: «Poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (Rm 1,19ss). 

In particolare esiste un “linguaggio”, che è quello della fisica, con cui sembra scritto il progetto del mondo. Il linguaggio della fisica è la matematica. Albert Einstein il padre della teoria della relatività conosceva molto bene tale linguaggio e si stupiva della (relativa!) comprensibilità delle leggi naturali, infatti scrisse: «Si può dire che l’eterno mistero del mondo sia la sua comprensibilità. Il fatto che sia comprensibile è un miracolo». La sua sete di conoscenza e un animo scevro da pregiudizi e condizionamenti lo hanno avvicinato alla fede più di quanto comunemente si creda. In altra occasione ebbe a dire: «Da bambino ho ricevuto un’istruzione sia sul Talmud che sulla Bibbia. Sono un ebreo, ma sono affascinato dalla figura luminosa del Nazareno...». Ed anche: «La scienza senza la religione è zoppa...». 

Molti altri uomini di scienza e filosofi sono stati, oppure sono diventati, credenti. La Scienza infatti è un dono dello Spirito Santo elargito agli uomini proprio per il raggiungimento del fine spirituale oltre che per agevolare la sua padronanza del creato. Si potrebbe affermare che la matematica adoperata come strumento di conoscenza della realtà e della natura sia un incentivo, un aiuto potente per credere all’esistenza del Creatore ed Ordinatore di tutte le cose. 

Ma che cosa dire della matematica pura? Cioè la matematica intesa come scienza astratta e puramente concettuale? Ebbene anche in questa nobile attività del pensiero umano possiamo individuare spunti di riflessione e intuizioni che ci conducono direttamente a Dio. Anzi, come ci insegnano i filosofi dell’antica Grecia da Anassimandro ad Eratostene, da Platone ad Aristotele, questa attività intellettuale propedeutica alla fede ha preceduto di millenni quella della Philosophiæ naturalis di Isaac Newton. Senza dubbio nell’antichità le scoperte matematiche erano considerate, molto più di oggi, come dei doni di Dio. Quando si riceve un dono è naturale e spontaneo voler ringraziare il donatore. Infatti una leggenda, abbastanza verosimile, narra che Pitagora e i suoi seguaci nel 500 a.C. in occasione della scoperta del teorema (di Pitagora appunto) abbiano festeggiato l’evento con un olocausto di cento buoi... In qualche modo i pensatori antichi riconoscevano che l’idea, l’intuizione, il “lampo” di un nuovo concetto erano una emanazione, una scintilla del pensiero degli dèi. 

Geometria e trascendenza

La geometria, mirabilmente sistematizzata da Euclide (IV secolo a.C.), offre tantissimi spunti di meditazione che aprono la mente al trascendente: la circonferenza, la retta, il numero ? (pi-greco), i triangoli. Numerosissime rappresentazioni artistiche, soprattutto dipinti e affreschi antichi, raffigurano Dio come un possente anziano con lunga barba bianca e sulla fronte impressa la figura di un triangolo equilatero. L’immaginario del triangolo, il concetto geometrico stesso di triangolo equilatero è quello di una figura al contempo unica e formata da tre lati uguali e inseparabili. È sempre stato considerato come un simbolo, un’allegoria del concetto più alto, trascendente ed ontologico dell’Unità e Trinità divine. Purtroppo un devastante furore iconoclasta ha afflitto la Chiesa d’Oriente nell’VIII secolo soprattutto fomentato dall’imperatore bizantino Leone III Isaurico, e così tante opere artistiche sono state distrutte. 

Consideriamo ancora un esempio: la retta. Possiamo definire la retta come una linea, un insieme denso e connesso di punti dello spazio, che si sviluppa dritta senza un inizio né una fine... anch’essa è una semplice figura geometrica, un’idea astratta che nella realtà materiale in effetti non esiste, ma che ci ispira, ci “parla”, ci rimanda all’infinità di Dio, alla sua eternità senza inizio né termine. Così pure il cerchio e la circonferenza, che è la linea che lo delimita, sono enti semplici e perfetti. Niente è più allegorico e suggestivo del cerchio o della sfera per pensare agli attributi divini di immutabilità, semplicità e perfezione. Insomma un percorso “per aspera ad astra che conduce la mente umana a partire da astrazioni e immagini visive (o come pensano alcuni, dagli elementi di una sorta di “universo platonico” delle idee) all’accesso recondito del trascendente. 

Pi-greco: solo un numero?

Tuttavia il primato assoluto di “ente evocativo” di realtà superiori spetta sicuramente al numero “?”. Cos’è ? e perché è così “trascendente” come lo hanno definito i matematici? Definire ? è abbastanza semplice: è il rapporto (divisione) tra la lunghezza di una (qualsiasi) circonferenza e il suo diametro: cioè circonferenza diviso diametro uguale ?. 

Ora qual è il primo mistero racchiuso nello scrigno di questo numero? Il suo valore ? = 3,141592... I puntini che seguono le prime sei cifre decimali di ? non devono trarre in inganno, indicano una cosa strabiliante: le cifre decimali di ? non finiscono mai. Ma come possiamo capire questo fatto? La nostra mente non è in grado di concepire “qualcosa” di infinito. Le parole non sono adeguate ad esprimere la realtà dell’idea soggiacente. Dobbiamo accontentarci di definire ? come un numero irrazionale, nel senso che non è il rapporto tra due numeri interi e le cui cifre decimali (che seguono cioè la virgola) non hanno una ultima cifra. C’è sempre un “dopo”, senza fine. Solo la mente di Dio può contemplare ? nella sua interezza. Questo fatto sconvolgente ha affascinato i matematici di ogni tempo. Perfino il logico-matematico Bertrand Russell (del tutto ateo) riconobbe che «nessuno potrebbe vedere la faccia di ? e restare vivo»Una sorta di parafrasi della frase che Dio rivolse a Mosè: «Mostrami la tua Gloria!... Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia... Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es 33,18,ss). 

Nella pratica il ? ha un aspetto dimesso e semplice semplice: è sufficiente fare i calcoli con l’approssimazione finita: ? = 3,14. Però è anche vero che la sua reale natura ha scatenato la curiosità di tutte le generazioni di matematici e geometri fin dai secoli più remoti. Tra tutti i popoli dell’antichità, i Babilonesi sono quelli che ne hanno calcolato il valore più preciso. Per loro ? = 3,125. Non solo conoscevano un valore abbastanza accurato di questo numero, ma ci hanno tramandato anche una regola per calcolarlo. Tale metodo è scritto nella tavoletta 7.302 della Yale Babylonian Collection, rinvenuta a Susa, che risale all’anno 1750 a.C. Di poco posteriore è invece quello che è noto oggi come il “Papiro di Rhind” che ci è stato tramandato da uno scriba egiziano di nome Ahmes, intorno al 1650 a.C. Ahmes scrisse: «Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che ne rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio». Naturalmente questo è sbagliato ma offre un valore accettabile di ? = 3,16049. 

Perfino nella Bibbia fa capolino questo numero allusivo. A proposito, infatti, dell’altare costruito nel Tempio di Salomone si legge: «Poi fece il mare fuso: dieci cubiti da una sponda all’altra cioè completamente rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e una corda di trenta cubiti lo circondava all’intorno» (1Re 7,23). Dunque il rapporto tra la circonferenza e il suo diametro è calcolato come 3 (spessore corda incluso). Il Tempio fu costruito nel X secolo a.C. ben 1000 anni prima di Cristo e quindi già allora c’era un’idea grossolana di ?. 

La numerologia biblica, affollatissima di numeri e di descrizioni di numeri fatte a parole, non sempre è stata sorgente di ispirazioni corrette, giuste e gradite a Dio. Il rischio reale (ed è un fatto storico) è quello di cadere, sfociare nell’esoterismo e nell’occultismo. È il caso della cabala. Il termine “cabala” deriva dall’ebraico qabbaláh e significa “ricevere la saggezza”, “rivelazione” e “tradizione”. La cabala rabbinica, trasmessa prima oralmente e in seguito trascritta, è l’insieme degli insegnamenti e delle pratiche esoteriche risalenti al XII-XIII secolo che cercano velleitariamente di “spiegare” il rapporto tra l’eternità propria di Dio, la natura e l’universo attraverso i numeri. Nell’alfabeto ebraico ogni lettera ha un determinato valore numerico, ogni lettera è quindi trasformata in un numero le cui cifre sommate insieme daranno come risultato un altro numero composto da un’unica cifra. Un fatto cervellotico e complicato che certamente allontana da Dio. Nella cabala ebraica i numeri sono fondamentali per capire i segnali che l’universo dà all’uomo. Essa pretende di conoscere il significato nascosto dietro ogni numero o parola in modo quasi magico. Si approda così a una sorta di gnosticismo “numerologico” deteriore – la conoscenza suprema – chiamato “Sephirah”. Errori analoghi furono commessi anche dagli alchimisti medioevali. 

Comunque sia, fatte salve le nostre considerazioni dalla mina vagante, o dal semplice sospetto di gnosticismo, vediamo qual è la storia successiva di ?. Secoli dopo, la sfida del suo calcolo fu ripresa da Archimede (287-212 a.C.), uno fra i massimi pensatori della storia, straordinario matematico, fisico e inventore. Il ragionamento di Archimede in fin dei conti era semplice: se si inscrive un esagono in un cerchio, il perimetro E1 dell’esagono è inferiore alla circonferenza C del cerchio. Circoscrivendo invece il cerchio con un esagono, il perimetro dell’esagono E2 è superiore alla circonferenza C del cerchio. Poiché il perimetro di un poligono regolare è facilmente calcolabile, si può concludere che E1 < C < E2. Inoltre Archimede sapeva che il rapporto tra la circonferenza e il diametro “d” è ?. Si può quindi concludere facilmente che E1/d < ? < E2/d (dove i segni < e > indicano minore e maggiore).

Archimede era cosciente di poter descrivere solo i limiti superiore e inferiore del rapporto, ma se si fa una media dei due valori si ottiene 3,141851, con un errore minore dello 0,03% del valore reale. 

Ricerche e sviluppi nei secoli...

Per continuare la storia delle approssimazioni di ? dobbiamo spostarci in Cina. La Cina fu sede di una fra le più antiche civiltà scientifiche e matematiche. I progressi della Cina nella misurazione del cerchio si ebbero solamente nel 139 d.C. quando Ch’ang Hong, ministro e astrologo dell’imperatore An-ti, scrisse che il quadrato della circonferenza di un cerchio sta al quadrato del perimetro del quadrato circoscritto come 5 sta a 8. A calcoli fatti si trova ? = ?10 ~ 3,162. Questo valore divenne per molti anni l’approssimazione più popolare per ? in tutta l’Asia. Nel 263 d.C. Liu Hui usando il metodo di esaustione con un poligono di 3.072 lati trovò per ? il valore di 3,1416.

L’approssimazione migliore di ? si ebbe però ad opera dell’astronomo del V secolo Tsu Ch’ung-chih. Usando poligoni inscritti di almeno 24.576 lati egli ottenne approssimativamente un valore di ? = 355/113 ~ 3,1415929 che è giusto fino alla quinta cifra decimale!

Per avere delle nuove approssimazioni di ? bisogna aspettare il Medioevo quando anche il continente europeo incomincia ad interrogarsi sul suo valore grazie alla traduzione in latino di testi greci di matematica, come gli Elementi di Euclide. Il primo europeo ad occuparsi di questo fu Fibonacci che con il suo Liber abaci del 1202 contribuì alla diffusione in Europa dei numerali arabi e nel Practica Geometriæ del 1220 utilizzò come valore di ? = 3,141818. Il metodo di calcolo di Fibonacci si fonda sull’approssimazione del perimetro di un poligono regolare di 96 lati inscritto e circoscritto a un cerchio, con la differenza che ora possono essere utilizzati i numeri decimali sconosciuti ad Archimede. Alla metà del Quattrocento il cardinale Niccolò Cusano affermò di avere quadrato esattamente il cerchio, trovando che il rapporto della circonferenza al diametro era di 3,1423. Il suo metodo sarebbe stato in seguito dimostrato falso da Regiomontano (Johannes Müller, 1436-1476). 

Con un balzo di 500 anni arriviamo al 1945 quando D. F. Ferguson calcolò 530 cifre di ? con una formula con arcotangenti. Questo risultato fu il frutto di un intero anno di lavoro con carta e penna, al ritmo medio di poco più di una cifra al giorno. 

Nel 1947 Ferguson, con l’aiuto di una delle prime calcolatrici da tavolo, aveva trovato 808 cifre di ?. Nel 1948 Smith e Wrench trovarono la millesima cifra decimale. 

Oggi con i computer velocissimi e precisissimi quanto conosciamo dell’infinità potenziale delle sue cifre? Anche qui c’è una storia avvincente di vittorie e di sconfitte, di successi e insuccessi, di record e controrecord man mano superati. Nel 1949 G. Reitwiesner, J. von Neumann e N. C. Metropolis usarono il computer Eniac, con 19.000 valvole e centinaia di migliaia di resistori e capacitori, per calcolare 2.037 cifre. Questo calcolo richiese solo settanta ore con una media di una cifra ogni due minuti. Con l’avvento dei computer elettronici a transistor, nel 1954, si poterono calcolare 3.089 cifre in soli tredici minuti (circa 4 cifre al secondo). Nel 1958 le prime 704 cifre in soli 40 secondi, le prime 10.000 cifre in un’ora e quaranta minuti. Nel 1961 con un Ibm 7090 furono trovate 100.265 cifre con un tempo medio di 3 cifre al secondo. Nel 1973 J. Guilloud e M. Bouyer trovarono la milionesima cifra. Nel 1982 si trovò il valore di ? fino all’8.388.608-esimo decimale in poco meno di sette ore. La combinazione di computer sempre più potenti e dell’algoritmo di Gauss-Brent-Salamin hanno lanciato i calcoli di ? verso altezze stratosferiche. Nel 1997 Yasumasa Kanada e Takahashi hanno calcolato e verificato più di 51 miliardi di cifre decimali di ? e, nel 2003, lo stesso Kanada ha calcolato 1.241.100.000.000 cifre, utilizzando 64 computer Hitachi SR8000/MPP, in più di 600 ore! Un grandissimo risultato... eppure davanti a lui si susseguono ancora infinite cifre sconosciute. Un niente rispetto all’infinità numerica! 

Il significato misterioso e sublime di un numero

Il ? diventa così per noi una grande metafora, molto istruttiva per lo spirito e soprattutto, se ne sappiamo far tesoro, rappresenta una grande lezione di umiltà. Da una parte esso conserva il garbo, la semplicità dell’infinità di Dio stesso che è affascinante, sfuggente e inafferrabile, dall’altra continua a esercitare sugli uomini un’attrattiva irresistibile di ricerca e di conoscenza. In fin dei conti nessuno priverà mai ? del manto di arcano che lo avvolge da millenni. Anche gli elementi che lo definiscono sono intrinsecamente misteriosi: la circonferenza, per esempio, è una linea chiusa percorribile (teoricamente) all’infinito, invece il suo diametro è un segmento finito che ha un principio e un termine. 

Il “rapporto” enigmatico tra l’infinità potenziale della circonferenza e la finitezza del diametro occhieggia graziosamente in ? e ci rimanda immediatamente all’eternità di Dio contrapposta alla caducità e fuggevolezza della vita umana. Inoltre la sua parte intera è il numero perfetto 3 (che – come detto – è un chiarissimo simbolo della Santissima Trinità), la sua parte decimale è un numero finito (0,1415926...) ma intrinsecamente inconoscibile perché le sue cifre non hanno un termine. Il ? pertanto ci può far pensare alla Santissima Vergine Maria che pur essendo una pura creatura finita ha portato in sé l’infinità di Dio fattosi uomo! L’infinita maestà di Dio si è umiliata (kènosis) nella natura umana per la Redenzione universale e si è lasciata “contenere”, ospitare dal grembo verginale di Maria in modo figurativamente analogo a quanto accade “all’infinità numerica” che, trasformata in infinitesimi, si è fatta contenere da ?! 

Ricordiamo fra le tante espressioni quella di san Luigi M. Grignion da Montfort: «L’Altissimo, l’Incomprensibile, l’Inaccessibile, Colui che è, volle venire a noi, piccoli vermi della terra, che siamo un nulla. Com’è avvenuto ciò? L’Altissimo discese perfettamente e divinamente per mezzo di Maria fino a noi, senza perdere nulla della Sua divinità e santità». 

La bellezza spirituale di Maria è contemplabile pienamente soltanto da Dio: «Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata...» (Ct 5,12). L’analogia con ? è manifesta: pur essendo un umile e semplice numeretto, il suo effettivo valore resta un mistero noto a Dio solo. Per quanto lontano l’uomo possa spingere il suo sguardo, per quanto in alto lo possa condurre la potenza del suo intelletto e delle sue macchine, per quanto profonde possano essere le sue speculazioni razionali consumate nell’ansia di comprendere il mondo che lo circonda, davanti a sé troverà sempre l’orizzonte irraggiungibile, invalicabile e inafferrabile del mistero e dell’infinito...

 

Note

1 A. Einstein, Out of my later years, pp. 57-58.

2 Ibidem.

3 Cf L. Trivellato, DiCoMat Lab, Università degli Studi di Trento, 2017. 

4 L. Trivellato, DiCoMat Lab, p. 11.

5 Ivi, p. 13.

6 San Luigi M. Grignion da Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, n. 157.

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